Sei attacchi in due mesi contro i campi rom riaccendono i riflettori sui gruppi estremisti attivi in Ucraina. E le autorità stanno a guardare, o peggio, li premiano, com’è accaduto ai neonazisti di C14, finanziati dal governo per le loro “iniziative nazional-patriottiche”
Sei attacchi negli ultimi due mesi. L’ultimo, solo pochi giorni fa alle porte di Leopoli, ha causato il primo morto. Le violenze contro i campi rom in Ucraina stanno diventando un’emergenza. E finora polizie locali, Sbu e autorità in genere sono stati a guardare.
La situazione sta talmente andando fuori controllo da aver spinto – ancora prima dell’ultimo evento mortale – Human Rights Watch, Amnesty International, Freedom House e Front Line Defenders a scrivere una lettera congiunta al ministro degli Interni, Arsen Avakov, e al procuratore generale di Kiev, Yuri Lutsenko. Le quattro organizzazioni umanitarie accusano le autorità ucraine di aver creato un «clima di impunità che non può far altro che incentivare altri attacchi» e chiedono che i gruppi estremisti nel Paese siano perseguiti.
Lo stesso allarme è stato lanciato anche dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović.
La preoccupazione, purtroppo, non riguarda solo gli attacchi ai rom.
Il problema (irrisolto) dell’estrema destra
A oltre quattro anni dalla Maidan, l’Ucraina ha ancora un problema irrisolto con un sottobosco di gruppi estremisti, filonazisti e xenofobi che, come raccontano tristemente le cronache, non si limitano alle sole parole. Va chiarito ancora una volta, non è la dimensione di queste formazioni, il loro peso nella società o nella vita politica a preoccupare. Da questo punto di vista, siamo ben al di sotto della soglia di guardia, purtroppo già superata in altri Paesi europei che hanno la pretesa di avere istituzioni più forti e una più lunga storia democratica dell’Ucraina.
A inquietare gli attivisti per i diritti umani è invece l’immobilismo del governo, della polizia, della politica di Kiev. Il disinteresse per una serie di crimini violenti che hanno come obiettivo minoranze ai margini della società.
Un immobilismo che qualche volta sembra rasentare la connivenza.
È il caso, che ha fatto alzare più di qualche sopracciglio, del gruppo neonazista C14 che, secondo un’inchiesta del Kharkiv human rights protection group, ha ricevuto soldi pubblici per finalità di «educazione patriottica». Si tratta di fondi per circa 40mila euro con i quali il ministero della Gioventù e dello Sport ucraino ha finanziato iniziative «nazional-patriottiche» di membri del C14 insieme a membri del partito nazionalista Svoboda.
Affiliati a C14 sono responsabili di diversi recenti attacchi a campi rom in tutta l’Ucraina, come quello con gli spray urticanti contro donne e bambini del 20 aprile scorso sulla collina di Lysa nella periferia di Kiev, ripreso anche in un video; o quello del 22 maggio a Ternopil’, in cui un campo è stato dato alle fiamme; o ancora quello del 7 giugno di nuovo a Kiev. Ma anche il violento attacco contro attivisti Lgbt lo scorso 18 giugno durante il Gay pride di Kiev. In quest’ultimo caso, la polizia ha fermato una cinquantina di violenti, ma più che altro per scontri e resistenza agli agenti. E gli episodi minori neanche si contano.
Dare la colpa alla Russia
La matrice neonazista di questo gruppuscolo non è in discussione. C in cirillico è S, iniziale di slova, слова, parole. C14 si rifà alle 14 parole di David Lane, leader defunto del gruppo suprematista americano The Order: «We must secure the existence of our people and a future for white children». È una formazione apparsa di recente, in parte come spin off di Svoboda, il partito estremista che svolse un ruolo di primo piano nelle occupazioni violente dei palazzi del potere nei giorni della Maidan. Ma che ha anche contatti stretti con la galassia dell’estrema destra nazionalista, da Pravyi Sektor al Natsionalyikorpus, al Karpatska Sich.
Un mondo – minoritario, certo, e ininfluente sul piano politico – con il quale l’Ucraina deve prima o poi fare i conti. Per una questione morale, prima di tutto, perché le autorità di Kiev non possono permettere l’esistenza di una minaccia costante contro le minoranze, contro una parte dei propri cittadini: qualcosa che va contro tutti i valori più genuini della Maidan.
E poi perché questi gruppi, spesso armati e organizzati come paramilitari, sono una forma di anti Stato, che mette in discussione lo Stato di diritto e il monopolio sull’uso della forza. Due capisaldi della democrazia di ispirazione europea di cui l’Ucraina legittimamente ambisce a fare parte a pieno titolo.
E infine per una ragione utilitaristica. Perché questi neonazisti allo sbaraglio offrono continue occasioni alla propaganda russa per screditare l’Ucraina.
Stando attenti però a non cadere nell’opposto. La polizia di Leopoli ha identificato otto sospetti per l’attacco mortale del 23 giugno. Hanno tra i 16 e i 20 anni e fanno parte di una formazione mai sentita prima, “Giovani sobri e arrabbiati”.
Secondo il capo dell’Sbu, Vasyl Hrytsak, dietro ci sarebbe la Russia. «Non ne sono sicuro, ma potrebbe essere», ha detto durante una conferenza stampa. L’Ucraina farebbe però bene a guardarsi un po’ dentro per estirpare una volta per tutte questa gramigna.
@daniloeliatweet
Sei attacchi in due mesi contro i campi rom riaccendono i riflettori sui gruppi estremisti attivi in Ucraina. E le autorità stanno a guardare, o peggio, li premiano, com’è accaduto ai neonazisti di C14, finanziati dal governo per le loro “iniziative nazional-patriottiche”