L’ex Primo Ministro laburista australiano e profondo conoscitore della Cina spiega perché Pechino non abbandonerà Mosca e quali sono le red lines nel rapporto con Washington
Gli addetti ai lavori si interrogano da ormai due mesi sul ruolo della Cina rispetto al conflitto in Ucraina, avviato dalla Russia a fine febbraio. Pechino sta faticosamente cercando di trovare un equilibrio sul palcoscenico internazionale, dialogando con Kiev ed esplicitando al Paese est europeo la propria solidarietà per via delle vittime civili, allo stesso tempo addossando le responsabilità dell’intervento militare russo su Nato e Stati Uniti.
La natura del rapporto tra Cina e Russia fa discutere fin dalla pubblicazione del joint statement del 4 febbraio, in particolar modo i menzionati no limits alla partnership strategica. Potrebbe il Partito comunista cinese fare un passo indietro nel suo rapporto con la Federazione, vista la violenza perpetrata da Mosca sul territorio ucraino? “Troppi interessi strategici cinesi poggiano sulla relazione con la Russia”, spiega Kevin Rudd, già Primo Ministro dell’Australia, Ministro degli Esteri di Canberra e conoscitore della Cina.
“La Cina non vede la Russia come un problema, preferisce focalizzarsi sugli Stati Uniti sia a livello regionale che globale. E l’intervento russo in Ucraina è visto come un evento da sfruttare in chiave strategica, un diversivo per americani, per il Medio Oriente, per il Nord Africa e per l’Europa”, aggiunge l’ex Primo Ministro. Per Rudd, la Cina sta dismettendo tattiche diplomatiche aggressive, portando avanti una strategia per il dominio finalizzata a “riprogettare l’ordine mondiale in maniera tale da soddisfare interessi, valori e potere” di Pechino.
Per questo motivo, Rudd — che recentemente ha pubblicato un libro intitolato The Avoidable War — appoggia la mossa del Pm australiano Scott Morrison, che lo scorso anno ha sottoscritto con Stati Uniti e Regno Unito il patto Aukus, “risposta naturale alla crescita militare cinese”. La firma dell’accordo trilaterale per la sicurezza ha rischiato di incrinare i rapporti con l’Unione europea, avendo Canberra cancellato un precedente contratto con la Francia per la produzione di sottomarini ma, ancor di più, limitato, in questo modo, il peso dell’Europa nell’Indo-Pacifico.
“Ma attenzione: la Cina ha investito enormemente nelle spese militari, nei sistemi offensivi, sull’arsenale nucleare, insieme ai test missilistici ipersonici”, evidenzia l’ex leader laburista. Ecco perché è fondamentale gestire la competizione strategica in modo da non sfociare in una crisi, in un conflitto. Ma come? “Serve un meccanismo simile a quello esistente tra Washington e Mosca dopo la crisi missilistica di Cuba”, sostiene Rudd.
I Presidenti delle due nazioni dovrebbero nominare, ciascuno, due o tre persone di assoluta fiducia capaci di “identificare un numero di red lines strategiche, linee da non oltrepassare”. Tra questi limiti, i temi caldi relativi a Taiwan, il dispiegamento militare, regole di condotta nel Mar Cinese meridionale, le infrastrutture critiche. In tutte le altre aree si accetta la massima competizione. Questo non cancella la possibilità di poter cooperare su tematiche quali il cambiamento climatico o le pandemie globali. “Certo, questa proposta non preverrebbe la guerra, ma ne ridurrebbe i rischi: sfido i critici a offrire un’alternativa”.
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