La pandemia che ha scosso l’Ue dalle fondamenta ha visto anche sbocciare i germogli dell’Europa del domani: maggiore competenza sanitaria, Eurobond, inizio di una unione fiscale
La pandemia che ha scosso l’Ue dalle fondamenta ha visto anche sbocciare i germogli dell’Europa del domani: maggiore competenza sanitaria, Eurobond, inizio di una unione fiscale
E se fosse il sofa-gate la scintilla della Conferenza sul futuro dell’Europa? Guardando al calendario degli eventi, il paradosso è presto servito. L’incidente diplomatico della sedia mancante per la presidente della Commissione Ursula von der Leyen – finita sul divano mentre il capo del Consiglio europeo Charles Michel si accomodava al fianco di Recep Tayyip Erdoğan, in occasione del bilaterale di inizio aprile ad Ankara −, insomma, ha dimostrato che il re è nudo, o quasi. E che l’Unione europea è intrappolata dalla stessa natura anfibia del suo processo di integrazione a cavallo fra Europa degli Stati e Europa sovranazionale. La sala protocollare turca non avrebbe fatto altro che svelare quanto è già sotto gli occhi di tutti: l’Ue ha due presidenti, entrambi con sovrapponibili competenze di rappresentanza esterna. La visita di Michel e von der Leyen è riuscita forse a risvegliare la consapevolezza che occorre rivedere l’assetto istituzionale dell’Ue; un compito che i più destinavano forse alla Conferenza sul futuro dell’Europa, l’appuntamento per ripensare l’avvenire della comune casa europea che a Bruxelles è sulla bocca di molti da tanto tempo, ma è stato sull’agenda di pochi fino a qualche settimana fa.
Non che godesse di cattiva pubblicità (soprattutto visti gli sponsor, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron), ma la Conferenza sul futuro dell’Europa (CoFoE) s’è trovata da una parte ostaggio della prima ondata della pandemia – il che ha costretto a un inevitabile rinvio di un anno – e dall’altra delle dispute fra istituzioni sull’individuazione di chi avrebbe tenuto le redini del processo (gli europarlamentari spingevano per uno di loro, in particolare l’ex leader liberale Guy Verhofstadt, federalista inviso però al consesso degli Stati membri, che premeva per una figura meno militante come l’ex premier danese Helle Thorning-Schmidt). Con salomonica (in)decisione, la leadership della CoFoE è andata ai vertici delle tre principali istituzioni insieme (Commissione, Parlamento e Consiglio), che hanno nominato un comitato esecutivo incaricato della gestione, con interventi, a titolo di osservatori, anche di rappresentanti dei Parlamenti nazionali, delle autonomie locali e delle parti sociali. Una burocrazia multistrato non è il migliore degli inizi, ma quel che conta è il risultato; e le premesse non mancano. All’indomani del solenne lancio del 9 maggio, si aprono per l’Ue mesi in cui, dopo tanti bassi, potrebbe tornare a soffiare l’entusiasmo costituente.
Ma cos’è davvero la Conferenza sul Futuro dell’Europa? Non un tradizionale evento spalmato su qualche giorno, ma un massiccio processo di consultazione che vuole mettere al centro cittadine e cittadini europei. Il lancio era inizialmente previsto per il 9 maggio 2020, a 70 anni esatti dalla dichiarazione Schuman, l’intervento con cui l’allora ministro degli Esteri francese propose la creazione della CECA, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio che vide effettivamente la luce poco dopo – il 70esimo anniversario s’è celebrato, da remoto, il 18 aprile −. Ma il 2021 offre anche un altro “tondo” ancoraggio storico a dare rinnovato impulso all’operazione: l’80esimo del Manifesto di Ventotene, la proposta di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi “di creare un potere democratico europeo” che vide la luce nelle stanze del confino anti-fascista sull’isola pontina, la sorgente ideale dell’integrazione europea.
All’origine della Conferenza, si diceva, c’è Macron, che s’è spesso sentito erede politico di Valéry Giscard d’Estaing, all’Eliseo sul finire degli Anni Settanta e che nella seconda giovinezza, all’alba del Duemila, guidò i lavori della (sfortunata) Convenzione sul Futuro dell’Europa, incaricata di redigere il Trattato costituzionale. In una tribuna pre-elettorale su scala continentale alla vigilia delle europee del 2019, Macron propose il lancio di una “Conferenza per l’Europa” tra le ricette “per il Rinascimento europeo”: un processo che dovrà prendere in esame “tutti i cambiamenti necessari al nostro progetto politico, senza tabù alcuno, neppure la revisione dei Trattati – scriveva −. Una Conferenza da strutturare attorno a delle assemblee cittadine (come quelle che lo stesso presidente aveva parallelamente avviato in Francia nel quadro del Grand Débat National, ndr), ma in cui coinvolgere anche universitari, parti sociali, leader spirituali”.
Alcuni mesi più tardi, il lancio di una Conferenza sul futuro dell’Europa fu ripreso organicamente all’interno delle priorità politiche della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, con tanto di vicepresidente dedicata – la croata Dubravka Suiča – e invitata a viaggiare estensivamente in lungo e in largo per l’Ue per avviare confronti su larga e piccola scala. L’esplosione della pandemia ne ha digitalizzato le missioni e ha costretto a riconsiderare il funzionamento stesso della CoFoE. Il processo si è così anch’esso spostato online – o, al massimo, tradotto in formato ibrido.
Il 19 aprile, Commissione, Parlamento e Consiglio hanno inaugurato il portale futureu.europa.eu, disponibile nelle 24 lingue ufficiali dell’Ue, e attraverso cui tutti gli europei provvisti di connessione Internet (e di un’utenza da abilitare tramite il sistema “EU Login” o social media) possono partecipare al dibattito, proporre contenuti, organizzare o trovare eventi, e seguire l’andamento del processo. Il portale è organizzato attorno a una decina di temi chiave per questo inedito esercizio di democrazia deliberativa su scala continentale: si va dal contrasto al cambiamento climatico alla transizione digitale (i due pilastri della strategia di ripresa post-pandemia dell’Ue), dalla salute allo stato di diritto, dalla migrazione a istruzione e cultura. In aggiunta, c’è una casella libera per chi vorrà inserire temi a piacere. La tecnica di selezione ha un retrogusto da Grande Fratello: le idee che riscuoteranno più successo saranno infatti individuate da un algoritmo e formeranno la base per i dibattiti cittadini (Bruxelles l’ha annunciato negli stessi giorni in cui si preparava a svelare le regole Ue, una prima assoluta, sull’intelligenza artificiale). Il premier ungherese Viktor Orbán l’ha capito subito e senza indugi ha riproposto sulla piattaforma quei “valori cristiani” di cui si fa scudo nella battaglia politica europea.
Il rischio concreto, avvertono in molti, però, è di tagliar fuori tutto un segmento di europei che non sono connessi, ma l’altra faccia della medaglia è la possibilità di coinvolgere il maggior numero di cittadini possibile, anche (se non soprattutto) gli euroscettici e quelli normalmente non coinvolti nel dibattito pubblico Ue: secondo un sondaggio Eurobarometro, tre europei su quattro pensano che la CoFoE avrà un effetto positivo sulla democrazia nell’Unione, e la metà si dice pronta a partecipare in prima persona. Per l’Ue che presidia sempre di più i social network, anche un nuovo canale di comunicazione disintermediata.
Sulla (velocizzata) tabella di marcia, Parigi torna a essere protagonista e a far valere tutto il proprio peso: il piano originale era infatti quello di un processo su due anni, da concludersi nella primavera 2022, durante la presidenza francese del Consiglio dell’Ue. Caratteristica mantenuta, nonostante lo slittamento di un anno dell’avvio della CoFoE, con i dibattiti cittadini previsti già in autunno e le Conclusioni della plenaria da presentare in primavera e comunque prima dell’inizio della campagna elettorale per le presidenziali francesi, il cui primo turno si terrà ad aprile. Dopo l’ingresso trionfale nell’esplanade del Louvre sulle note dell’Inno alla Gioia, nel 2017, Macron punta così a ripresentarsi ai francesi con solide credenziali (franco-)europee.
In pubblico, le tre istituzioni dimostrano concordia quanto alla via da seguire (e del resto il varo della Conferenza è stato così difficile che la prudenza è d’obbligo), ma nell’Europarlamento c’è chi scommette che la scadenza di marzo sarà un momento per fare il punto e che, una volta innescato, il gran dibattito continuerà anche in seguito, perlomeno a livello politico. I deputati europei hanno, dalla loro, l’opportunità di tenere aperto il confronto, dando seguito alle richieste emerse nella CoFoE, e rendendo quel che resta del mandato fino al 2024, una legislatura costituente, in costante scambio con i rappresentanti delle Assemblee nazionali.
Nei documenti preliminari, del resto, il Parlamento incoraggia l’ipotesi della modifica dei Trattati, mentre il Consiglio punta i piedi e invita a mantenere i lavori della CoFoE nel perimetro delle competenze dell’Ue o “degli ambiti in cui un’azione dell’Ue può portare beneficio ai cittadini”. Ecco che entra in scena la salute, tema su cui la Commissione ha più volte ammesso di dover creare un ponte tra le legittime aspettative dei cittadini e la più arida realtà delle limitate competenze dell’Unione (che nel coordinamento dei negoziati congiunti per il pre-acquisto dei vaccini, ad esempio, ha trovato un inedito spiraglio di manovra).
Nel contesto della pandemia, l’estensione delle competenze in materia sanitaria potrebbe essere l’assist per mettere mano ai Trattati. Qualche apertura è arrivata dalla leader ancora oggi più in vista del Consiglio europeo, nonostante le riserve di una vasta coalizione di 12 Paesi medio-piccoli, che esprimono variegate coalizioni di governo (dalla Danimarca all’Irlanda, dall’Austria a Malta), intenzionati a mantenere la CoFoE come un esercizio politico e non una carta bianca in mano ai cittadini.
Angela Merkel, invece, interpellata a metà aprile, ha riecheggiato il mantra “senza tabù” di Macron. Ed è una notizia. Nei sedici anni al potere che hanno visto l’evoluzione della Menschen della Germania Est nella Mutti di tutti i tedeschi, la Cancelliera ha provato a resistere alle tentazioni di modificare i Trattati fondativi (l’ultima volta furono riformati a Lisbona nel 2007). Adesso, giunta al crepuscolo dell’ultimo mandato – e con la battaglia per la successione nelle urne federali del 26 settembre del tutto aperta – prova a indicare la rotta: “Cambiare i Trattati non è un fine in sé”, ma “si può parlare di nuovi poteri e nuove competenze per l’Europa, se hanno senso”.
Pochi, nitidi e ambiziosi obiettivi, magari, in modo da favorire il focus e il lavoro di mediazione politica. E agire in sintonia a Ventisette, evitando le forze centrifughe rappresentate da geometrie variabili e diverse velocità. Per trovare motivazione, si può cominciare dalla politica estera, senza una revisione formale del testo ma attivando la cosiddetta “clausola passerella”, come suggerito già da von der Leyen nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione: sono i Trattati a prevedere, in casi specifici, il transito dal voto all’unanimità a quello a maggioranza qualificata. Si tratterebbe di un momento importante, secondo molti osservatori, per far compiere all’agenda internazionale dell’Ue il necessario salto di maturità, perlomeno in tema di sanzioni.
La pandemia che ha scosso l’Ue dalle fondamenta ha del resto visto anche sbocciare i germogli dell’Europa del domani. La posta in palio è stimolarne la crescita e sostenerne il consolidamento. Anche perché i soliti “pericoli” sono in agguato. Prendiamo la pronuncia con cui la Corte costituzionale tedesca ha sbloccato la firma della ratifica parlamentare della decisione di aumento delle risorse proprie, passaggio indispensabile per l’emissione degli Eurobond necessari a finanziare Next Generation EU: l’ok di oggi non esclude nuovi stop futuri, perché per i giudici l’indebitamento della Commissione sui mercati sembra confermarsi un intervento di natura eccezionale e non un primo passo verso una permanente Unione fiscale.
Danno d’immagine ma anche momento-verità, insomma, il sofa-gate ha rotto l’incantesimo e suonato la carica. La Conferenza sul futuro dell’Europa può essere la scialuppa di salvataggio lanciata a un’Ue che cerca di mantenere la barra dritta, ma naviga a vista.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
E se fosse il sofa-gate la scintilla della Conferenza sul futuro dell’Europa? Guardando al calendario degli eventi, il paradosso è presto servito. L’incidente diplomatico della sedia mancante per la presidente della Commissione Ursula von der Leyen – finita sul divano mentre il capo del Consiglio europeo Charles Michel si accomodava al fianco di Recep Tayyip Erdoğan, in occasione del bilaterale di inizio aprile ad Ankara −, insomma, ha dimostrato che il re è nudo, o quasi. E che l’Unione europea è intrappolata dalla stessa natura anfibia del suo processo di integrazione a cavallo fra Europa degli Stati e Europa sovranazionale. La sala protocollare turca non avrebbe fatto altro che svelare quanto è già sotto gli occhi di tutti: l’Ue ha due presidenti, entrambi con sovrapponibili competenze di rappresentanza esterna. La visita di Michel e von der Leyen è riuscita forse a risvegliare la consapevolezza che occorre rivedere l’assetto istituzionale dell’Ue; un compito che i più destinavano forse alla Conferenza sul futuro dell’Europa, l’appuntamento per ripensare l’avvenire della comune casa europea che a Bruxelles è sulla bocca di molti da tanto tempo, ma è stato sull’agenda di pochi fino a qualche settimana fa.
Non che godesse di cattiva pubblicità (soprattutto visti gli sponsor, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron), ma la Conferenza sul futuro dell’Europa (CoFoE) s’è trovata da una parte ostaggio della prima ondata della pandemia – il che ha costretto a un inevitabile rinvio di un anno – e dall’altra delle dispute fra istituzioni sull’individuazione di chi avrebbe tenuto le redini del processo (gli europarlamentari spingevano per uno di loro, in particolare l’ex leader liberale Guy Verhofstadt, federalista inviso però al consesso degli Stati membri, che premeva per una figura meno militante come l’ex premier danese Helle Thorning-Schmidt). Con salomonica (in)decisione, la leadership della CoFoE è andata ai vertici delle tre principali istituzioni insieme (Commissione, Parlamento e Consiglio), che hanno nominato un comitato esecutivo incaricato della gestione, con interventi, a titolo di osservatori, anche di rappresentanti dei Parlamenti nazionali, delle autonomie locali e delle parti sociali. Una burocrazia multistrato non è il migliore degli inizi, ma quel che conta è il risultato; e le premesse non mancano. All’indomani del solenne lancio del 9 maggio, si aprono per l’Ue mesi in cui, dopo tanti bassi, potrebbe tornare a soffiare l’entusiasmo costituente.
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