Macron ha puntato tutto sull’asse franco-tedesco per lo sviluppo di una “Europa della Difesa”: diverge tra i due Paesi l’idea di emancipazione dalla Nato
La costruzione di un’Europa della Difesa passa anche per i matrimoni di convenienza. Francia, Germania e Spagna a metà maggio hanno annunciato l’accordo decisivo per lanciare il Sistema di combattimento aereo del futuro (Scaf). Un progetto presentato nel 2017 dal Presidente Emmanuel Macron e dalla Cancelliera Angela Merkel, che prevede lo sviluppo di un complesso programma, composto da droni, un cloud e un caccia di sesta generazione destinato a sostituire i Rafale e gli Eurofighter dal 2040. Il tutto, per una spesa complessiva stimata tra i 50 e gli 80 miliardi di euro.
L’intesa trovata da Parigi, Berlino e Madrid è arrivata al termine di lunghe trattative, segnate da attriti diplomatici e rivalità industriali. Al centro delle tensioni, i dossier riguardanti la divisione e il trasferimento delle proprietà intellettuali del sistema tra i tre gruppi implicati nel progetto: Dassault Aviation, Airbus e Indra. Preoccupate dal dover consegnare nelle mani dei rispettivi concorrenti informazioni strategiche riservate, le aziende partner hanno negoziato duramente per mesi prima di giungere ad un compromesso. La Francia mantiene la leadership dei lavori del programma, che è stato suddiviso in diversi “pilastri”, ognuno guidato da un gruppo. Un perfetto equilibrio tra le parti, sul quale poggia la fase di studi “1B”, che durerà fino al 2024 con un costo complessivo di 3,5 miliardi di euro equamente divisi. In seguito si aprirà la “fase 2”, che dovrebbe mandare in cielo il primo dimostratore per il 2027.
Lo Scaf sembra ormai sulla buona strada. Dopo gli insuccessi del passato, Parigi e Berlino hanno provato a rilanciare una cooperazione con un programma faraonico, destinato a superare il piano bilaterale per inserirsi a livello europeo. “Lo Scaf è la base della difesa aeronautica europea. Se il programma arriverà al termine ci saranno effetti su tutto il settore industriale, anche perché il sistema è destinato ad aprirsi ad altri paesi”, afferma Edouard Simon, direttore di ricerca sulle questioni di sicurezza e difesa all’Istituto delle relazioni internazionali e strategiche (Iris) di Parigi.
Ma le trattative dei mesi scorsi hanno fatto emergere le difficoltà legate allo sviluppo di una maggiore integrazione europea della difesa. Nato da un’iniziativa franco-tedesca, con la Spagna subentrata solamente nel 2019, il progetto si è scontrato con ostacoli di natura politica e culturale, oltre che industriale, emersi tra i due principali partner.
Sul piano operativo, le esigenze di Francia e Germania divergono radicalmente, con la prima orientata verso un equipaggiamento adatto alle operazioni esterne a differenza della seconda, più concentrata sulla sicurezza interna e continentale, nonostante un sempre maggiore interessamento ai teatri internazionali. “Nei programmi di cooperazione degli armamenti il punto più difficile consiste nel mettersi d’accordo sui bisogni”, spiega Simon. “Generalmente si cerca di non omogeneizzare il programma, creando diverse versioni in base alle necessità. Nello Scaf la sfida consiste nel far convergere le necessità e questo sarà possibile solo attraverso un’armonizzazione parziale del sistema”, aggiunge lo specialista.
Il dialogo è stato rallentato anche dalle differenti amministrazioni. Mentre Parigi ha affidato il dossier alla Direzione generale dell’armamento (Dga), organo del ministero della Difesa responsabile degli equipaggiamenti, Berlino ha dovuto attendere il via libera del Bundestag arrivato in extremis a fine giugno, seppur con qualche riserva. Il Parlamento tedesco ha autorizzato i finanziamenti della fase “1B”, lasciando però in sospeso quelli per il periodo successivo destinato a sviluppare il dimostratore. Un gesto percepito dall’altra parte del Reno come un ulteriore segnale di diffidenza, sintomo di uno scetticismo latente che di certo non giova alla cooperazione.
Tra schermaglie diplomatiche e industriali, i due partner sono riusciti a mantenere i nervi saldi, tessendo nel giro di pochi anni una cooperazione fondamentale per il futuro dell’industria militare europea, ad oggi frammentata ed eterogenea. “Pochi paesi in Europa hanno una visione contrapposta come Francia e Germania. Ma quando questi due partner raggiungono una posizione comune, si crea una base sulla quale si può costruire un consenso condiviso da molti”, sostiene Simon. Nell’ottica di un rafforzamento dell’autonomia strategica, l’obiettivo è quello di costruire un’architettura inclusiva, capace di aumentare l’indipendenza dell’Europa nel settore degli armamenti, soprattutto nei confronti dell’alleato statunitense. Un’impresa che deve fare i conti anche con la concorrenza.
Lo Scaf, infatti, non è l’unico super-caccia in cantiere nel Vecchio continente. A competere con il “sistema dei sistemi” c’è il Tempest, altro velivolo di sesta generazione sviluppato dal Regno Unito, in collaborazione con Svezia e Italia. “In Europa siamo in grado di far coesistere due sistemi?”, si chiede Simon, sottolineando che questa situazione mostra “la sfida in termini di capacità di investimento e di rischi industriali”. I due progetti viaggiano su rotte parallele, anche se non è da escludere una futura convergenza, al momento fuori dai radar.
Lo sviluppo della sovranità europea nel settore della Difesa, però, non passa solamente per i cieli. Parigi e Berlino sono impegnate anche nel Main Ground Combat Sistem (Mgcs): un programma guidato dalla Germania e destinato a realizzare un nuovo carro armato che andrà a sostituire i Leopard 2 tedeschi e i Leclerc francesi nel 2035. Ma il dossier ha accumulato ritardo, per motivi simili a quelli che hanno rallentato il “cugino” Scaf.
Macron ha puntato tutto sull’asse franco-tedesca nel quadro dello sviluppo di una “Europa della Difesa” destinata a dare maggiore indipendenza all’Unione. Un concetto in divenire, ancora soggetto a fraintendimenti tra i partner, soprattutto quando si parla di rapporti con la Nato, come emerso anche dalla querelle a mezzo stampa che nel novembre dello scorso anno ha contrapposto Macron alla Ministra della Difesa tedesca, Annegret Kramp-Karenbauer, secondo la quale “gli europei non potranno sostituire il ruolo capitale che hanno gli Stati Uniti come garanti della loro sicurezza”. Un “controsenso della storia”, per il presidente francese, che ha ricordato l’importanza di essere “sovrani” con la “propria difesa”.
Dietro questo botta e risposta si cela una lampante dimostrazione della divergenza di vedute. Il dinamismo mostrato da Macron nei rapporti transatlantici ha dovuto fare i conti con la prudenza della Cancelliera Merkel, più attenta nell’evitare strappi con Washington. Il Presidente francese respinge ogni volontà di entrare in rotta di collisione con la Nato, ma non lesina stoccate, come quando nel 2019 denunciò lo stato di “morte cerebrale” dell’Alleanza transatlantica in un’intervista rilasciata all’Economist. Un modo per dare uno scossone ai rapporti tra Ue e Stati Uniti, senza spingersi troppo in là come fece il suo predecessore, Charles de Gaulle, che nel 1966 fece uscire Parigi dal comando integrato della Nato. L’Europa “che deciderà il destino del mondo” profetizzata dal Général è ancora un miraggio, per questo Macron punta su una maggiore sovranità continentale per consolidare la sicurezza europea, senza dimenticare le priorità francesi.
“Le posizioni di Francia e Germania non hanno le stesse radici, ma si trovano d’accordo sul fatto che gli europei devono fare di più, anche per rafforzare la relazione transatlantica. L’autonomia strategica europea non ha la vocazione di tagliare i ponti con la Nato”, spiega Simon. “La posizione della Francia, verso la quale si stanno avvicinando sempre di più Germania e i paesi dell’Europa dell’est, punta ad una maggiore autonomia europea perché Washington si sta concentrando sempre di più nella regione del Pacifico e un’escalation di tensione tra Cina e Stati Uniti porterebbe ad un disimpegno americano dal continente europeo”, continua lo specialista. Ma la strada verso la costruzione di un’Europa della Difesa sembra essere ancora lunga.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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L’intesa trovata da Parigi, Berlino e Madrid è arrivata al termine di lunghe trattative, segnate da attriti diplomatici e rivalità industriali. Al centro delle tensioni, i dossier riguardanti la divisione e il trasferimento delle proprietà intellettuali del sistema tra i tre gruppi implicati nel progetto: Dassault Aviation, Airbus e Indra. Preoccupate dal dover consegnare nelle mani dei rispettivi concorrenti informazioni strategiche riservate, le aziende partner hanno negoziato duramente per mesi prima di giungere ad un compromesso. La Francia mantiene la leadership dei lavori del programma, che è stato suddiviso in diversi “pilastri”, ognuno guidato da un gruppo. Un perfetto equilibrio tra le parti, sul quale poggia la fase di studi “1B”, che durerà fino al 2024 con un costo complessivo di 3,5 miliardi di euro equamente divisi. In seguito si aprirà la “fase 2”, che dovrebbe mandare in cielo il primo dimostratore per il 2027.