
TTIP promette una maggiore compatibilità delle norme e il rilancio dell’economia, ma il negoziato presenta anche dei rischi.
Negli ultimi mesi nel dibattito europeo si è data grande enfasi al tema del Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti al momento in fase di negoziazione tra Stati Uniti e Unione europea, elemento molto positivo, perché la discussione non riguarda solo una questione economica. Al contrario, chiama in causa i valori, gli standard sociali, ambientali, di tutela dei consumatori e di sicurezza. Standard messi a dura prova dal fatto che il mondo sta cambiando così rapidamente che tutte le decisioni sono in qualche modo legate tra di loro e hanno un impatto sulla vita dei cittadini del mondo.
Proprio per quest’ultima ragione, il TTIP rappresenta una grande opportunità per rafforzare i valori e il modello di società europeo, così come è andato costituendosi all’interno dell’Ue.
Questo accordo può essere lo strumento per fissare norme transatlantiche comuni, stimolando una corsa verso l’alto che arrivi a coinvolgere altri Paesi. E l’intervento della società civile sarà fondamentale al fine di influenzare la direzione dei negoziati. È inesatto parlare di deregulation, al contrario, la posta in gioco è una maggiore regolamentazione. L’Ue si siede al tavolo con un bagaglio di regole che hanno consentito di raggiungere in generale tutele migliori e più ampie e questa è l’identità che costituisce la base del negoziato.
Quella che nel passato è stata descritta in maniera critica come “iper-regolamentazione” europea oggi può essere utilizzata come il confine al di sotto del quale non andare.
Questo trattato ha implicazioni molto profonde, anche dal punto di vista simbolico. La sola presenza degli USA come controparte smuove sentimenti antichi che hanno a che fare col rifiuto dell’imperialismo culturale americano e con l’identificazione degli USA con una serie di valori negativi e inadeguatezze sul piano regolamentare. Questa forte simbologia ha complicato, fin dal primo momento, entrare nel merito di cosa veniva effettivamente discusso e con quali confini.
Non ha certo giovato l’iniziale atteggiamento di “segretezza” adottato dalla Commissione europea, la quale ha accettato solo a ottobre 2014 di rendere pubblico il mandato negoziale contenente i limiti all’interno dei quali era possibile la discussione, impegnandosi in una nuova azione di trasparenza voluta proprio dal Parlamento europeo.
Si tratta di un passo importante e di un cammino tuttora in corso, sostenuto dalle sollecitazioni costanti del Parlamento in materia di trasparenza, che ha permesso e permetterà di rassicurare i cittadini su diversi punti: dal mandato è, ad esempio, escluso l’ambito della produzione culturale e audiovisiva che non sarà discusso durante le negoziazioni, mentre l’Ue chiede che vengano presi impegni pubblici sul lasciare inalterate le regole per quanto riguarda la gestione dei servizi pubblici essenziali.
In questo link (http://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=1230) sono raccolti tutti i documenti fino a questo momento resi accessibili al pubblico. Come spesso accade, anche in questo caso solo abbandonando posizioni ideologiche ed entrando nel concreto delle singole negoziazioni è possibile avere un’idea realistica della portata di questo accordo e della positività o meno delle sue conseguenze.
Per questo motivo, in questo momento appare corretta, da parte del Parlamento che in materia di politica commerciale è co-legislatore, una posizione pragmatica, in quanto si avvicina una nuova e decisiva fase dei negoziati, in cui le posizioni sono avanzate ma non ancora definite e divergono su molti capitoli.
E’ importante seguire i cicli di negoziati attentamente prima di costruire una valutazione finale, la quale dovrà essere strettamente legata al reale contenuto dell’accordo al termine del processo. Facilita non poco, in questo senso, l’atteggiamento di totale apertura e collaborazione dimostrato dalla nuova Commissione. La nuova Commissaria al Commercio Estero, Cecilia Malmström, ha dato prova di tenere in considerazione il ruolo del Parlamento in questo come nei tanti altri accordi commerciali in fase di negoziazione.
Può risultare difficile vedere, caso per caso, le posizioni assunte dalle due controparti e decidere, in base ad esse, la propria, ma la posta in gioco è troppo alta per permettersi un atteggiamento meno pragmatico di questo. In un momento come quello attuale, in cui l’Ue soffre ancora i colpi di una crisi economica che l’ha ridotta in ginocchio, una delle poche reali speranze di crescita e di ripresa è rappresentata proprio dal commercio verso gli Stati terzi, verso i Paesi emergenti che solo recentemente sono usciti da uno stato di povertà e rappresentano mercati inesplorati e desiderosi di prodotti e stili di vita europei.
Nello specifico sul TTIP il Parlamento europeo ha un alto livello di ambizione e non si vuole firmare un assegno in bianco. Va usato tutto il potere di questa istituzione per agire sui negoziati e svolgere il ruolo di rappresentanti degli interessi e delle preoccupazioni dei cittadini. Se alcune condizioni che sono cruciali per il Parlamento europeo non saranno soddisfatte, prima fra tutte, che non vengano toccate le tutele dei lavoratori e ambientali raggiunte in Europa, il Parlamento europeo non darà il consenso all’accordo.
E’ auspicabile un dibattito sempre più ampio e informato, che spesso stenta ad avviarsi: un esempio è la pubblicazione, da parte della Commissione, dei risultati di una consultazione sul meccanismo di risoluzione delle controversie Stato-investitore (ISDS), uno dei punti sensibili all’interno dell’accordo. Su 150.000 risposte ricevute in totale, sono stati circa 52.000 i commenti dalla Gran Bretagna, quasi 34.000 dall’Austria, 32.500 dalla Germania. Dall’Italia sono arrivate solamente 222 risposte. C’è molta strada ancora da fare perché ci sia reale consapevolezza su quanto viene deciso.
TTIP promette una maggiore compatibilità delle norme e il rilancio dell’economia, ma il negoziato presenta anche dei rischi.