L’11 ottobre 2013, alle ore 17, un peschereccio che trasportava oltre 400 persone, in maggioranza famiglie siriane, compresi quasi 150 bambini, è affondato a 111 km da Lampedusa e 218 da Malta: duecento persone sono morte nel naufragio.

L’Odissea dei migranti nel Mediterraneo
Ad un anno dalla strage Amnesty International ha pubblicato un rapporto scioccante sulla condizione dei migranti nel Mediterraneo. Secondo Amnesty, il numero di migranti che raggiungono le coste europee via mare è esiguo rispetto agli arrivi regolari. Tra il 2009 e il 2012, i migranti di lungo termine entrati nell’Unione europea sono stati oltre un milione e settecentomila. Invece, tra il 1998 e il 2013, i rifugiati e migranti che hanno raggiunto in maniera irregolare le coste dell’Ue sono stati poco più di 600 mila.
Nel 2014, il numero di rifugiati e migranti irregolari che hanno varcato i confini europei meridionali via mare ha raggiunto quota 130 mila. Secondo l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) dall’inizio del 2014 nel mondo almeno 4 mila persone hanno perso la vita mentre tentavano di migrare via terra e via mare, di cui fino a 3.072 nel Mediterraneo. E così, dal 2000, sono almeno 40 mila le persone morte nel mondo mentre tentavano di migrare. Ma il vero bilancio è probabilmente più alto, poichè molti decessi si verificano in zone isolate e non registrate.
Secondo il report di Amnesty, la traversata in mare dei migranti è un’esperienza estremamente traumatica. Oltre alle difficoltà del viaggio in mare, prevalentemente dalle coste libiche e a bordo di barconi improvvisati, sovraffollati e inidonei alla navigazione, i migranti spesso perdono la rotta, finiscono il carburante, incorrono in rotture del motore, iniziano a imbarcare acqua, sono vittime della disidratazione perché è raro che a bordo ci sia acqua potabile, restano intossicati dai fumi del motore o asfissiati per il sovraffollamento e la mancanza d’aria degli spazi contigui al motore nel fondo dell’imbarcazione.
Il rapporto di Amnesty ad un anno dalla strage
Ecco la testimonianza di Abdel, operaio siriano di 37 anni: «Lo scafista si era organizzato per venire a prendermi assieme alla mia famiglia. Nel gruppo c’erano circa 300 siriani e all’incirca 500 africani di varie nazionalità. I libici coinvolti nell’operazione venivano ogni giorno alla spiaggia armati di pistola ed eravamo terrorizzati. Ho visto alcuni africani che venivano picchiati e alcuni persino percossi a morte con pezzi di legno e ferro. Gli africani avevano la peggio perché li trattavano come se non fossero neppure esseri umani».
Il rapporto di Amnesty Vite alla deriva analizza poi in maniera approfondita le problematiche dell’attuale sistema che regola le operazioni di Ricerca e soccorso in mare (Sar) nel Mediterraneo centrale, il loro impatto sui diritti umani di rifugiati e migranti, e il progressivo fallimento degli stati coinvolti, specialmente l’Italia e Malta. I due Paesi non sono riusciti a raggiungere un accordo in merito all’estensione delle rispettive zone Sar, che in parte si sovrappongono. L’interpretazione del concetto di difficoltà in mare e di luogo sicuro per lo sbarco dopo il salvataggio restano estremamente confuse.
Non si placa la crisi libica

I primi a pagare le conseguenze della grave crisi libica sono proprio i migranti. Gli scontri tra militari filoHaftar e truppe islamiste non si placano. Almeno 29 soldati sono stati uccisi in due esplosioni nel capoluogo della Cierenaica, Bengasi. Altri 60 militari sono rimasti feriti nelle violenze alle porte dell’aeroporto di Bengasi. Nella seconda città libica i militari foli Haftar hanno lanciato un’operazione nelle scorse settimane per riprendere le basi delle forze speciali controllate dai jihadisti Scudo di Misurata. Si aggrava il bilancio degli scontri infra tribali che dilaniano il paese. È di almeno tre morti e due feriti il bilancio degli scontri scoppiati a Sebha, nel sud della Libia. All’origine delle tensioni ci sarebbe l’uccisione di un uomo della tribù Awlad Suleiman da parte di uomini armati della tribù Qhadafia, alla quale apparteneva Muammar Gheddafi. Il parlamento di Tobruk ha votato la fiducia per il governo dell’ex ministro della Difesa, Adullah alThinni. L’esecutivo filoislamista asserragliato nel parlamento di Tripoli è guidato invece da Omar alHassi. I rappresentanti delle due fazioni opposte si sono incontrate a Gadhames con la mediazione delle Nazioni unite. Al tavolo negoziale mancavano i leader delle milizie armate di Misurata. Erano assenti anche rappresentanti dell’opposizione moderata di Bengasi, dove Ansar al Sharia è de facto al potere. Negli incontri non hanno preso parte rappresentanti egiziani e del Qatar direttamente coinvolti nel conflitto.
L’11 ottobre 2013, alle ore 17, un peschereccio che trasportava oltre 400 persone, in maggioranza famiglie siriane, compresi quasi 150 bambini, è affondato a 111 km da Lampedusa e 218 da Malta: duecento persone sono morte nel naufragio.