Al futuro governo l’arduo compito di salvare il Paese dalla recessione.
Alle elezioni generali di ottobre, l’Argentina eleggerà i suoi governanti per i prossimi 4 anni: il presidente, 22 dei 24 governatori delle province e quasi tutti i sindaci dei più di 5.000 municipi del Paese. In più, con il voto si rinnoveranno la metà della Camera dei deputati e un terzo del Senato della Nazione.
Il governo della Presidente peronista Cristina Fernández de Kirchner va incontro all’appuntamento elettorale con diversi problemi, in primo luogo di natura politica. Il peronismo governa ininterrottamente da 14 anni, vale a dire per due terzi del periodo trascorso dal ritorno della democrazia nel 1983.
La sua coalizione ha però subito delle spaccature, come si è visto un anno fa, quando al voto per il rinnovo del Parlamento un argentino su tre ha votato le forze politiche dell’opposizione. Il contesto economico si presenta anch’esso complesso: negli ultimi cinque trimestri le attività economiche si sono contratte, si sono accentuati i disequilibri fiscali interni ed esterni, il mercato del lavoro è in crisi e si assiste al crollo verticale degli investimenti.
In effetti, nonostante una pressione fiscale record del 35% del Pil, due volte la media dell’America Latina, il disavanzo fiscale nel 2014 è stato di oltre il 5% del Pil, a fronte dell’1% registrato nei vicini Cile e Colombia o in Brasile, di poco superiore al 3%. Il deficit fiscale è conseguenza di una spesa pubblica che cresce più dell’inflazione, che l’anno scorso si è attestata attorno al 40%, ed è alimentata in primo luogo dai sussidi ai prezzi dell’energia e alle assunzioni. In Argentina, quasi il 22% della popolazione è impiegata nel settore pubblico, mentre nei paesi dell’Ocse solo cinque superano questa percentuale – i quattro scandinavi e la Francia – e in Cile solo un lavoratore su dieci è in qualche modo impiegato dello Stato.
Le discutibili cifre ufficiali mostrano che l’incremento dell’occupazione nel settore pubblico registrato da quando la Presidenta Kirchner ha assunto l’incarico nel 2007 è stato del 21%, a fronte di un modesto 8% in quello privato. Anche il conto esterno della bilancia dei pagamenti è stato deludente l’anno scorso, con la caduta simultanea sia delle esportazioni sia delle importazioni di oltre il 10%.
La contrazione generalizzata dell’import, promossa dal governo per alleggerire le tensioni nel settore dell’export, esclude la spesa estera di energia che l’anno scorso ha toccato i 13 miliardi di dollari a causa della stravagante politica di sostegno generalizzato ai consumi energetici.
La caduta delle esportazioni, invece, è dovuta alla combinazione di tre fattori. Il primo è la perdita della competitività, evidenziata dall’arretramento del tasso di cambio rispetto all’inflazione, 40% inferiore alla media osservata durante la presidenza del marito di Cristina, Néstor Kirchner, nel periodo 2003-2007. Il secondo è la difficoltà di approvvigionamento di prodotti importati a causa di restrizioni quantitative. Il terzo è il rallentamento delle economie dei partner commerciali, in primo luogo il Brasile. Complessivamente, alla fine del suo mandato, la Presidente Cristina Fernández de Kirchner lascerà un paese più povero, dove la ricchezza pro capite – secondo dati ufficiali poco affidabili – sarà inferiore a quella del 2011 quando era stata rieletta con il 54% dei voti. Ne risulta che l’Argentina, per liberarsi dell’etichetta di paese con la peggiore performance economica tra i 20 dell’America Latina, deve uscire dalla recessione e recuperare i due punti di Pil perduti l’anno scorso.
Gli scarsi risultati ottenuti durante il secondo mandato della Kirchner, al contrario di quanto sostengono i suoi funzionari, non sono conseguenza di un contesto internazionale avverso, prova ne è il 142° posto occupato dall’Argentina tra i 153 paesi emergenti nel periodo 2012-15, misurato in base alla sua performance economica.
È stato invece proprio il contesto storico internazionale favorevole ad aver permesso all’Argentina di accumulare tra il 2003 e il 2014 surplus commerciali per più di 160 miliardi di dollari, ovvero, tre volte gli investimenti necessari per sviluppare il giacimento di Vaca Muerta, il secondo al mondo di idrocarburi non convenzionali. Ciononostante, dal punto di vista sociale, oggi in Argentina un cittadino su quattro e due famiglie su dieci vivono in povertà.
Alle elezioni in programma a ottobre, secondo la maggior parte degli osservatori, gli Argentini dovranno scegliere tra continuità o cambiamento.
I candidati vicini al governo, secondo tutti i sondaggi, possono sperare soltanto di diventare il primo partito di minoranza. Le altre forze politiche stanno perciò discutendo possibili accordi preelettorali per evitare la frammentazione dell’ultima elezione presidenziale quando la Presidente distanziò di 40 punti il candidato classificatosi secondo.
Se le forze dell’opposizione riuscissero ad allearsi in una o più formazioni, le elezioni del 2015 potrebbero segnare una svolta storica: per la prima volta in Argentina si andrebbe al ballottaggio per eleggere il nuovo presidente, perché nessuno dei candidati sembra avere i numeri per poter vincere alla prima tornata.
A dieci mesi da queste elezioni che si preannunciano decisive, gli Argentini hanno solo una certezza: questo governo non prenderà i provvedimenti economici necessari per fare uscire il Paese dalla recessione, combattere l’inflazione e alleviare la disoccupazione.
Al futuro governo l’arduo compito di salvare il Paese dalla recessione.
Alle elezioni generali di ottobre, l’Argentina eleggerà i suoi governanti per i prossimi 4 anni: il presidente, 22 dei 24 governatori delle province e quasi tutti i sindaci dei più di 5.000 municipi del Paese. In più, con il voto si rinnoveranno la metà della Camera dei deputati e un terzo del Senato della Nazione.