Giovedì scorso un’ inaspettata virata della vita mi ha portata a dover lasciare Londra prima del previsto con un volo prenotato last minute.
Nelle ore che hanno preceduto il mio repentino cambio di programma la capitale inglese era stata completamente destabilizzata dallo scatenarsi di una tempesta dalla violenza straordinaria che, anche agli occhi delle menti più razionali e meno romantiche, risultava difficile da non interpretare come premonitrice di ciò che stava per accadere.
Nonostante il mio volo sarebbe partito soltanto all’alba del 24, considerando i disagi che pioggia e allagamenti avevano causato ai trasporti pubblici della città, ho preferito lasciare il mio alloggio la sera stessa, ritrovandomi così a passare la notte dello spoglio in un luogo in cui l’attesa è l’unica e incontestabile regina; l’aeroscalo di Stansted.
Il WiFi dagli aeroporti, il più delle volte, è tanto scadente e lento da indurre a rimpiangere le connessioni ISDN degli anni novanta.
Le ore sono sembrate lunghe chilometri, e le notizie strappate alla rete, fino alle prime luci dell’alba, non hanno concesso un quadro chiaro della situazione.
Verso le 4.00 del mattino il mio smart-phone, surriscaldato ed esausto dalle esagerate prestazioni che ormai da ore gli venivano imposte, ha vibrato di rabbia per un minuto per poi lasciarmi a fissare una schermata nera.
Prima di una presa di corrente che potesse rialimentarlo, alle 4.45, ho trovato una ragazza intenta a seguire le notizie fornite dalla BBC attraverso un tablet. La giovane, rivelatasi poi proveniente dalle Midlands centrali ma residente ormai da anni in Francia, notando i miei malcelati tentativi di allungare lo sguardo per carpire qualche informazione, mi ha gentilmente invitata a condividere con lei schermo e auricolare. Bisognerebbe sempre confidare nella gentilezza degli sconosciuti.
Alle 05.06, entrambe scuotendo la testa e torcendoci le mani, abbiamo ascoltato assieme il discorso da conquistatore rilasciato da Nigel Farage.
“Abbiamo vinto senza sparare nemmeno un colpo” ha detto il leader UKIP a un certo punto. E questo, certamente, è stato il momento più triste, ma io e la mia compagna d’attesa non abbiamo commentato. Il silenzio sta bene su tutto, come il nero.
Alle 5.41 è stata annunciata la definitiva decisione del Regno Unito di abbandonare l’Unione Europea.
Sono le 6.30 quando bevo il quarto caffè della giornata e realizzo che questo risultato, per quanto mi sia tuttora incastrato tra i denti, non mi ha sorpresa minimamente.
Nel corso di questi venti giorni di viaggio ho avuto, d’altra parte, la possibilità di assistere di persona alla velocità con cui la demagogia e la cattiva informazione possano attecchire laddove impera frustrazione, malcontento e disagio psico-storico; alla violenza con cui la rabbia possa uccidere la ragione, e alla disarmante facilità con cui slogan razzisti e false promesse possano usurpare lo spazio, che nell’ambito di un dibattito tanto delicato quale quello sul senso e il significato di un’ unione sovranazionale, dovrebbe essere dedicato a una riflessione politica e filosofica ben più articolata e profonda.
Per quanto mi riguarda, il 23 di giugno nel Regno Unito, non ha vinto la democrazia, ma una svilente e quanto mai mortificante semplificazione e riduzione della stessa; l’illusione che l’espressione diretta della massa possa coincidere con il bene comune anziché con il populismo più becero.
Non sono un’ottimista, ma credo sia necessario impegnarsi in esercizi quotidiani per conservare un po’ di fiducia e non soccombere sotto quella che, tutto sommato, anche se triste, è la Storia del nostro tempo; spero di tutto cuore che i pronostici relativi a un ipotetico effetto domino siano sbagliati, e che il messaggio di disfacimento che la Gran Bretagna ha lanciato al resto d’Europa come fosse un frisbee affondi nella manica senza mai arrivare sulle coste di Calais.

Giovedì scorso un’ inaspettata virata della vita mi ha portata a dover lasciare Londra prima del previsto con un volo prenotato last minute.
Nelle ore che hanno preceduto il mio repentino cambio di programma la capitale inglese era stata completamente destabilizzata dallo scatenarsi di una tempesta dalla violenza straordinaria che, anche agli occhi delle menti più razionali e meno romantiche, risultava difficile da non interpretare come premonitrice di ciò che stava per accadere.