
Il riordino delle forze di sicurezza interne, le sostituzioni dei plenipotenziari per la Crimea e il Caucaso, l’arresto di governatori e sindaci, la promozione dei fedelissimi. Ecco come Putin si mette al sicuro da un possibile colpo di stato in stile Turchia.
L’avevamo detto all’indomani del fallito golpe turco. Che, se c’era qualcosa che Putin avrebbe potuto imparare da Erdoğan, non sarebbe stato tanto nell’esperienza del golpe in sé ma dalle purghe che sta attuando nel Paese sin dal giorno successivo. In molti osservatori stanno facendo notare le sempre più marcate somiglianze tra Russia e Turchia, due sistemi sempre meno democratici e sempre più autocratici nelle mani dei due uomini forti, carismatici e con un vasto consenso popolare. C’è chi dice che sia Erdoğan ad aver preso il putinismo a modello, chi Putin ad aver preso spunto dalla stretta turca sull’opposizione e sull’informazione. Quel che è certo è che il presidente russo è uno a cui piace giocare d’anticipo. E infatti ha già cominciato fare pulizia nel sistema.
L’ascesa dei siloviki?
Nel volgere di qualche giorno è stato dimissionato il capo del Servizio federale delle dogane, Andrey Belyaninov, dopo che la sua casa era stata perquisita dall’Fsb; tre alti ufficiali del potentissimo Comitato investigativo, incluso l’astro nascente e vicedirettore della sezione di Mosca Denis Nikandrov, sono stati arrestati, sempre dagli uomini dei servizi; e in un solo giorno, il 28 luglio, ben quattro governatori regionali – quello di Sebastopoli e degli oblast’ di Kaliningrad, Jaroslavl e Kirov – sono stati sostituiti.
Nelle stesse ore, l’inviato plenipotenziario per il distretto della Crimea, Oleg Belaventsev, è stato spostato alla regione del Nord Caucaso, al posto di Sergey Melikov, nominato vice capo della nuova Guardia nazionale, al cui comando supremo era già stato nominato Viktor Zolotov, comandante delle forze interne ed ex capo della sicurezza personale di Putin. Infine, Mikhail Zurabov è stato rimosso dall’incarico di ambasciatore in Ucraina. Commentando le nomine dei governatori, il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha detto che la scelta è stata fatta da Putin in persona. Ma c’è poco da pensare che sia altro dalla volontà del presidente dietro tutto il rimescolamento di poltrone.
La pulizia ai piani più alti delle amministrazioni russe ha avuto un’improvvisa accelerazione nelle ultime settimane, ma non è iniziata ieri. Nei mesi precedenti è stato sostituito il governatore della regione di Tula, mentre quelli delle regioni di Kirov e di Sakhalin sono finiti in manette con l’accusa di corruzione. E andando a contare anche i ranghi più bassi, dai funzionari ai sindaci, sono svariate decine gli arresti e le destituzioni dall’inizio dell’anno. L’accusa è sempre la stessa: corruzione. Un classico delle epurazioni, un’arma di giustizia selettiva di sicuro successo in un Paese in cui la corruzione a tutti i livelli è endemica.
…o la a verticale del potere di Putin?
Per qualcuno che cade in disgrazia c’è almeno un altro in ascesa. Così al comando delle regioni di Tula, Kaliningrad e Jaroslavl sono stati messi tre siloviki, uomini con un passato nei servizi segreti, prima Kgb e poi Fsb, proprio come Putin: Alexey Dyumin, Evgenij Zinichev e Dmitry Mironov. E non fa eccezione neanche il nuovo capo della dogana, Vladimir Bulavin, anche lui ex Kgb.
Mark Galeotti, acuto osservatore del Cremlino, fa notare che la cosiddetta ascesa dei siloviki non è poi tanto vera. Per prima cosa non è per niente una novità che Putin scelga i suoi nelle fila dell’Fsb. Inoltre, molti dei nuovi nominati, pur con un passato nei servizi segreti, ricoprivano già incarichi di governo o in altre istituzioni. Come Mironov che lascia la carica di viceministro dell’Interno, Igor Vasilev, che passa alla regione di Kirov dalla direzione del Rosreestr (l’agenzia cartografica e del catasto) e Dmitri Ovsyannikov, neo governatore di Sebastopoli ed ex viceministro per il Commercio e l’industria. «Putin sta cercando in realtà di riparare la verticale del potere e per farlo cerca prima di tutto tra i siloviki le risorse umane di cui ha bisogno», ha scritto Galeotti.
Ed è questo forse il dato più importante, perché al di là dell’appartenenza alla cerchia dei siloviki – anche il dimissionato Belyaninov lo era – sembra essere la lealtà a Putin il criterio delle nuove scelte.
Tatyana Stanovaya, analista politica con anni di esperienza, ha scritto che dopo la giostra di nomine «le strutture che continuano a essere il sostegno personale di Putin, ossia l’Fsb e la Guardia nazionale, stanno avendo il loro momento di gloria politica, mentre le figure di secondo piano stanno perdendo potere; il ministero dell’Interno è ora molto più debole di prima».
L’obiettivo di Putin, insomma, sembra sempre lo stesso: bilanciare il ruolo delle principali forze interne antagoniste, in modo che nessuna accumuli nelle proprie mani abbastanza potere. Forse non è un caso che questa accelerazione avvenga pochi giorni dopo il colpo di stato in Turchia.
@daniloeliatweet
Il riordino delle forze di sicurezza interne, le sostituzioni dei plenipotenziari per la Crimea e il Caucaso, l’arresto di governatori e sindaci, la promozione dei fedelissimi. Ecco come Putin si mette al sicuro da un possibile colpo di stato in stile Turchia.