
L’isola di Malta non è per tutti. I migranti ricchi sono accolti a braccia aperte. I richiedenti asilo e i rifugiati di colore sono a malapena tollerati.
Il 13 agosto le autorità maltesi hanno fatto incursione in una fattoria in disuso a Qormi, sfrattando un gruppo di 120 immigrati africani. Ciascuno pagava un centinaio di euro al mese per abitare in luride stalle, in condizioni che la polizia ha definito “disumane”. Lo stesso giorno la notizia dell’uccisione di un gattino davanti a un ristorante in una località turistica del Paese spopolava su giornali e social media. “Un gattino giace morto ed è pianto da migliaia di persone indignate. E un centinaio di africani neri riposa su giacigli di spazzatura e pietre nell’indifferenza pressoché generale”, ha scritto l’antropologo e giornalista del Times of Malta Mark Anthony Falzon. La dichiarazione di Falzon riassume l’indifferenza e le priorità spesso discutibili di una nazione insulare un tempo nota per la sua ospitalità. Come avviene in altri Paesi nel pieno del boom economico, gli stranieri che arrivano a Malta si dividono in diverse categorie. Per i ricchi e potenti (i cosiddetti expats) si srotolano tappeti rossi, mentre la classe operaia e i richiedenti asilo sono tollerati, benché siano soprattutto questi ultimi a oliare le ruote della fiorente economia maltese. Gli africani subsahariani fino a pochi anni fa costituivano il gruppo più numeroso, ma oggi molti europei dell’est hanno trovato lavoro sull’isola. Ormai i cittadini stranieri formano il 30% dei lavoratori del settore privato.
L’immigrazione caratterizza da sempre la storia della piccola isola mediterranea e il Paese ha ottenuto l’indipendenza solo nel 1964, ma di fronte al fenomeno migratorio africano i sentimenti dei maltesi sono passati dalla compassione all’indifferenza alla xenofobia in meno di un decennio. Gli immigrati di colore sono in prima linea sul fronte della manodopera pesante: lavorano nei cantieri edili, nei campi e nella nettezza urbana. Ma non si vedono quasi mai al lavoro nei negozi e neanche come camerieri nei ristoranti, dove al massimo vengono relegati in cucina a lavare i piatti. “Credo che ci piaccia considerarci una nazione ospitale e caritatevole, ma non siamo all’altezza di questa immagine ideale”, dice Maria Pisani, direttrice di Integra Foundation, una ONG per la tutela dei diritti umani. Malta si trova tra la Libia e l’Italia e migliaia di richiedenti asilo vi sono sbarcati sin dall’inizio del secolo, i più approdati qui per caso, perché le loro barche sgangherate non sono riuscite a raggiungere il continente europeo. All’arrivo a Malta i migranti vengono trasferiti in centri di detenzione, ma negli ultimi anni questa politica spesso definita disumana è cambiata. Tutti i richiedenti asilo entrano a far parte del sistema, anche se coloro la cui domanda è stata respinta sono semisprovvisti di documenti, relegati ai margini, a rischio di espulsione e limitati nell’accesso ai diritti umani fondamentali.
Nel dicembre 2017 Il governo ha presentato una strategia di integrazione che prevede servizi gratuiti, quali corsi di lingua e di orientamento culturale, e un meccanismo per il permesso di soggiorno di lunga durata. I richiedenti asilo e i rifugiati che sono riusciti a farsi una vita a Malta hanno stretto amicizie e imparato la lingua malgrado le sfide e gli ostacoli, dice Pisani. “Ce l’hanno fatta grazie alla loro grinta e determinazione, e a volte, mi piace pensare, a un minimo di supporto incontrato lungo il percorso”. In passato la maggior parte dei richiedenti asilo sbarcati a Malta proseguiva oltre, alcuni lasciando l’isola per vie irregolari, altri attraverso il rimpatrio e il trasferimento. Oggi la situazione si è capovolta: molti migranti che hanno chiesto asilo altrove – di solito in Italia – si sono trasferiti a Malta, approfittando dell’offerta lavorativa. Qui però rimangono essenzialmente senza documenti. “Questo è un chiaro riflesso del più ampio contesto europeo – la presenza di migranti sprovvisti di documenti all’interno dell’Ue continuerà sicuramente ad aumentare. È una situazione svantaggiosa per tutti”, afferma Pisani.
Major Sium, un rifugiato eritreo che vive a Malta da cinque anni, è d’accordo e dice che c’è ancora molto da fare per l’integrazione dei migranti. “All’arrivo ci hanno tenuti per settimane in un centro di detenzione affollato e con servizi igienici insufficienti. Poi ci hanno trasferiti in un centro aperto, anch’esso affollato. Eravamo in sei in un container di otto metri per tre. Non era ben ventilato”, ricorda.
Una volta usciti dai centri di detenzione i migranti vengono praticamente “abbandonati” senza una formazione professionale adeguata, dice Sium, che è stato salvato tra Malta e l’Italia. I pregiudizi sono molto diffusi, soprattutto contro i migranti di colore, spesso dipinti come individui turbolenti, seppur in assenza di prove. Pisani punta il dito contro i due principali partiti politici maltesi per aver alimentato la resistenza all’integrazione, riducendo i migranti a comodi capri espiatori per ogni male sociale.
La retorica anti-immigrazione diffusa in tutta Europa ha influenzato anche il dibattito e gli atteggiamenti maltesi. Stando a un recente sondaggio di Eurobarometro, Malta è in testa alla classifica dell’incitamento all’odio online. La polizia ammette che il principale bersaglio sono i migranti di colore. Questi dati riflettono il contesto più ampio e dimostrano la tossicità del dibattito, delle politiche e delle risposte. “Sembra che i singoli Stati membri dell’Ue non riescano a trovare un approccio migliore del ‘tenerli fuori’ o, peggio ancora, visti i recenti attacchi alle ONG impegnate nel soccorso dei migranti, ‘lasciarli annegare’”, aggiunge Pisani. I porti di Malta sono stati chiusi alla maggior parte delle navi delle ONG umanitarie per cercare di dissuadere i migranti in fuga dalla Libia a partire alla volta dell’Europa. E l’animosità è cresciuta.
“I migranti sono migranti”, osserva Sium, “sia che arrivino regolarmente che irregolarmente. La gente si preoccupa solo di quelli che arrivano sulle barche. I migranti di colore sono i primi a essere presi di mira”. L’eritreo riconosce che i pregiudizi sono principalmente dovuti alle piccole dimensioni del Paese: poco meno di mezzo milione di abitanti fanno di Malta uno degli Stati più densamente popolati al mondo. “In realtà tutti i Paesi vogliono solo migranti ricchi. Perché non dovrei essere trattato in modo equo? Finché lavoro legalmente e contribuisco all’economia, perché non dovrei?”, dice con tono frustrato.
Ma la questione migratoria maltese ha anche una faccia più ridente. Nel 2013 è stato introdotto il controverso Individual Investor Programme, che permette di ottenere il passaporto maltese, e quindi la cittadinanza europea, a fronte di un investimento di 1,1 milioni di euro. I critici affermano che il programma mina il concetto di cittadinanza europea, potrebbe porre dei rischi per la sicurezza e favorire il riciclaggio di denaro sporco. Il governo maltese ha difeso con veemenza il programma e insiste sul fatto che tutti i candidati vengono attentamente esaminati.
In definitiva l’accoglienza dei migranti a Malta dipende dal colore della pelle. Falzon ha concluso il suo editoriale per il Sunday Times of Malta con un’aspra critica del trattamento riservato ai migranti di colore: “Sono le lande desolate, le macerie e i rifiuti sospinti ai margini, lontano dagli occhi e dal cuore. Dal punto di vista economico, sociale e politico sono fuori dal sistema”.
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L’isola di Malta non è per tutti. I migranti ricchi sono accolti a braccia aperte. I richiedenti asilo e i rifugiati di colore sono a malapena tollerati.