Come una piccola comunità dell’Alta Austria ha imparato a relazionarsi con i profughi. Luci e ombre di una convivenza calata dall’alto.
E’ di settimana scorsa la proposta del ministro degli Esteri e dell’Integrazione Sebastian Kurz di coinvolgere i profughi che hanno ottenuto il diritto di asilo ma sono disoccupati in lavori socialmente utili. “Sarebbe un bene anche per loro” aveva spiegato il ministro. “I più vorrebbero comunque darsi da fare, a parte il fatto che, se uno è impegnato non ha tempo per strane idee”.
Il fatto è che non sono solo coloro che hanno già ottenuto il diritto di rimanere in Austria a passare spesso le loro giornate senza fare nulla, senza lavoro. Ci sono anche coloro che sono ancora in attesa di risposta alla loro domanda di asilo.
L’Austria ha fissato in 37.500 il limite massimo annuale di richieste d’asilo. Nel corso di quest’anno ne sono già state presentate 24 mila (al 31 luglio), alle quali si aggiungono le 9 mila dello scorso anno non ancora espletate. I tempi prima di ottenere una risposta, a volte anche solo per il primo incontro, sono lunghi, anche oltre l’anno.
Un esempio paradigmatico su come l’Austria cerca di venire a capo dei nuovi arrivati, accoglierli, accudirli e dare loro una prospettiva futura è il paesino di 2700 anime di Großraming, situato nell’Alta Austria (Oberösterreich). Immerso in un paesaggio di verdi colline e, poco più in là, incorniciato dai monti del Parco Nazionale Kalkalpen, Großraming ha fatto anche ripetutamente da sfondo ad alcuni Heimatfilme (film nei quali il paesaggio alpino e le tradizioni sono i veri protagonisti). Qui l’economia è stata a lungo caratterizzata dal commercio con il legname, che veniva trasportato con chiatte lungo il fiume Enns fino a Steyr. Oggi, invece, i più si spostano a Steyr o nel capoluogo di regione Linz, dove la BMW ha uno stabilimento.
Ma nonostante i tempi moderni siano arrivati anche qui, il motto di Großraming – fino a poco fa – era: “Qui tutto resta come è sempre stato”. E invece gli ultimi tempi hanno visto grandi cambiamenti.
La data del 25 novembre 2014 entrerà sicuramente negli annali di questa piccola comunità. Quel giorno il sindaco Leopold Bürscher (“del partito popolare ÖVP, ma progressista” dicono i suoi concittadini) aveva convocato gli abitanti al Kirchenwirt, albergo e ristorante storico del paesino. Questa volta però non per passare una serata conviviale, ma per comunicare che all’indomani sarebbero arrivati i primi profughi.
“Da un giorno all’altro, senza preavviso” racconta Tom Gabaldo, e la voce tradisce ancora l’irritazione, anche se oggi proprio lui è uno dei volontari più impegnati nel dare una mano ai nuovi arrivati. Una disponibilità che ha anche a che fare con le sue origini: “Mio padre era di Udine, mia madre di Aachen, ma vivevano in Bosnia. Poi nel 1946 sono sfollati qui a Großraming. Insomma anch’io sono arrivato qui da profugo. Solo che allora non c’era la cultura dell’accoglienza di oggi, anzi, più che da stranieri ci trattavano da appestati ”. Alla comunicazione del sindaco i più non avevano reagito bene. Ma all’indomani è bastato vedere i primi profughi che scendevano dall’autobus perché tutti cominciassero a darsi da fare.
Nel frattempo si è costituita una piattaforma di gruppi di volontari, ognuno dedito a un servizio specifico: corsi di tedesco, guardaroba, assistenza sanitaria, aiuto per compilare la richiesta di asilo, caffè dell’incontro, dove una volta alla settimana profughi e abitanti trascorrono qualche ora insieme. In tutto si tratta di una sessantina di volontari che aiutano come possono.
Il locale per gli incontri settimanali è stato messo a disposizione gratuitamente da Elisabeth e il marito Herbert: un tempo era il loro negozio di arredamento d’interni. Lo scorso martedì c’erano in tutto una trentina di persone tra profughi – uomini soli ma anche famiglie con bambini e volontari. Ci sono siriani, afghani, iracheni e anche tre ragazzi sulla ventina iraniani. Tutto sembra funzionare al meglio. “Sì, in linea di massima” dicono quasi all’unisono i volontari Sandra, Tom, Maria, Klaudia ed Elisabeth “anche se ovviamente non è tutto rose e fiori”.
Le ombre riguardano innanzitutto la burocrazia austriaca. A volte i profughi aspettano anche un anno e mezzo prima di essere chiamati al primo colloquio. E fino ad allora non succede nulla, ammazzano il tempo, anche perché non possono lavorare.
Attualmente sono 34 quelli alloggiati all’ex albergo pensione Ennstalerhof di Großraming. Proprietario dell’edificio è Norbert Kaar che lo gestisce insieme la moglie russa Natalia. “Le prime reazioni alla notizia che avevamo deciso di adattare questa pensione a luogo di accoglienza dei profughi sono state tutt’altro che positive” racconta Kaar, cinquantenne ben piazzato che ha passato più di trent’anni in giro per il mondo per una ditta di costruzioni. Agli insulti sono seguite anche minacce. Per ogni profugo Kaar riceve 19 euro al giorno. “Di questi, 5,50 euro vanno al profugo, per un totale di 165 euro al mese. Il resto copre i costi di gestione della struttura e l’IVA del 20 per cento”. Insomma non c’è grande margine di guadagno, spiega Kaar, che ciò nonostante oltre all’ex albergo-pensione ha messo a disposizione anche alcuni appartamenti. L’anno scorso i posti erano tutti occupati, anzi c’era carenza, ora con il flusso ridotto, il 40 per cento è libero. E Kaar medita di vendere prima o poi l’Ennstalerhof
Al caffé dell’incontro ci sono anche diversi uomini le cui famiglie si trovano ancora nei campi profughi della Giordania. Nessuno vuole farsi fotografare e nemmeno dire il nome. Anche i ragazzi iraniani sono molto schivi. Al massimo viene detta la provenienza –Damasco, Homs – e il mestiere esercitato un tempo – commerciante, parrucchiere. I più aspettano da oltre un anno il permesso d’asilo. Una volta ottenuto vogliono andare tutti a Vienna. “E questo è un altro problema creato dalla nostra burocrazia” spiega Kaar. “Vogliono andare a Vienna perché lì, una volta ottenuto il diritto di asilo, l’assegno di sussistenza, fintanto che non si ha un lavoro è attorno ai 900 euro, mentre qui da noi è già stato ridotto da 650 a 500 euro. Solo che Vienna soffre già di una alta disoccupazione, mentre qui o in altre regioni, ci sarebbero per esempio la gastronomia e il settore turistico-alberghiero che necessiterebbero di personale”.
Un’eccezione sotto tutti i punti di vista rappresenta la storia di Mazen Dubbane, siriano 35enne o giù di lì, arrivato da poco meno di un anno in Austria, via rotta balcanica. Dubbane ha già ottenuto il diritto d’asilo e ha trovato anche lavoro in un’impresa metallurgica poco fuori Großraming. Nel frattempo è stato raggiunto anche dalla moglie e dai due figli. Vivono in un appartamento di 50 m2 e sono contenti. Insomma una storia finita bene. “Alla quale ha però contribuito anche lui” dice una dei volontari: “Mazen si è messo a studiare il tedesco, si è dato da fare”. Non è sempre così. Soprattutto i giovani sembrano tutti molto più apatici, “o forse sono convinti”, interviene un altro “che l’Austria sia veramente il paese della cuccagna. Dove si ricevono soldi senza dover fare nulla”. Un’altra volontaria racconta che alcuni insegnanti si erano messi a disposizione per tenere corsi di tedesco gratuiti, avevano anche buttato giù un programma. Peccato che nessuno dei profughi si era presentato. A quanto pare, perché la scuola dista una mezz’ora a piedi dall’Ennsthalerhof. Altri hanno procurato loro biciclette, qualche settimana dopo le stesse biciclette venivano messe in vendita su Internet. “Insomma anche loro non si mostrano sempre dalla parte migliore”. Ciò nonostante è anche un bene che “Nulla è più come è sempre stato”.
Come una piccola comunità dell’Alta Austria ha imparato a relazionarsi con i profughi. Luci e ombre di una convivenza calata dall’alto.