Un solo uomo al comando
Ancora 5 anni al potere, con “l’aiuto di Allah”: ne ha molto bisogno Erdoğan per navigare attraverso la tempesta economica turca.
Ancora 5 anni al potere, con “l’aiuto di Allah”: ne ha molto bisogno Erdoğan per navigare attraverso la tempesta economica turca.
Si è aperta una nuova pagina nella storia politica della Turchia: il 9 luglio è iniziata la seconda Repubblica che concentra il potere esecutivo nelle mani del Presidente. Il giuramento di Recep Tayyip Erdoğan alla Grande Assemblea Nazionale, e una fastosa celebrazione che ha portato ad Ankara i rappresentanti di ventidue Paesi, hanno consacrato l’inizio della Nuova Turchia. İl cambio di sistema − previsto dall’emendamento costituzionale di diciotto articoli approvato con il referendum del 16 aprile 2017 − è entrato in vigore come “modello che va oltre la nostra ricerca della democrazia da 150 anni e si è realizzato dopo 95 anni dalla fondazione della repubblica”, ha sottolineato Erdoğan, promettendo di recidere i legami con un sistema che “ha provocato grandi costi per il paese, causando in passato caos politico, sociale ed economico”.
Nello stesso giorno dell’insediamento sono stati emanati due decreti che aboliscono alcuni ministeri esistenti, trasferendone le competenze a quelli di nuova formazione sotto la guida diretta del presidente. Con la ridefinizione strutturale dello stato e del sistema gerarchico il numero dei portafogli si è ridotto al Ministero del Lavoro; il Ministero dell’Industria e della Tecnologia; il Ministero del Commercio e dell’Industria; il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste; il Ministero della Gioventù e dello Sport; Ministero del Tesoro e delle Finanze, Ministero degli Esteri. Con la formazione del primo gabinetto del nuovo sistema è ormai chiaro quanto il futuro corso della politica turca dipenda dai voleri di Erdoğan: si è registrata una certa continuità con il passato con la riconferma di Mevlüt Çavuşoğlu agli Esteri, con la nomina di Soyleman Soylu agli Interni e il trasferimento di Berat Albayrak dall’Energia all’Economia, e non ha sorpreso il passaggio del Capo di stato Maggiore Ulusi Hakar a capo della Difesa. E’ stato lo stesso Erdoğan nei comizi elettorali a dichiararsi “paşa” ossia capo dei militari con il potere di nomina degli alti gradi dell’esercito. In questa logica di unico uomo al comando rientrano i bassi profili dei ministri entranti, sconosciuti ai più, nella maggior parte tecnocrati di estrazione conservatrice. Un esecutivo presidenziale insomma, in cui il sistema di pesi e contrappesi appare estremamente debole.
Con la riunione del primo Consiglio dei Ministri tenutasi ad hoc nella sala parlamentare inaugurata dal fondatore della patria, Mustafa Kemal Atatürk, la Seconda Repubblica assume una carica simbolica evidente. Si è compiuto il progetto personale di Erdoğan e del suo AKP che, da sedici anni al potere, il 24 giugno 2018 ha siglato il più significativo patto con il popolo. Con il 52.5% dei voti il presidente è stato consacrato alla guida del sistema presidenziale: “Il vincitore di questa elezione è la democrazia, la volontà della gente, ognuno dei nostri 81 milioni di cittadini”, così Erdoğan ha salutato la vittoria enfatizzando la grande partecipazione, un’affluenza alle urne di circa il 90%. Ma la vittoria è stata duplice: con la maggioranza ottenuta in parlamento grazie alla coalizione con il partito nazionalista MHP (Milliyetçi Hareket Partisi), l’Alleanza del Popolo ha ottenuto il 53.7% dei voti totali che nel nuovo parlamento composto da 600 seggi, verrà rappresentata da 342 membri (293 AKP e 146 MHP). In quella che si era prospettata come una lotta all’ultimo voto, gli elementi che hanno contribuito al trionfo sono stati la giusta combinazione di carisma e potere personale di Erdoğan, leader indiscusso dal 2002 prima come capo di partito e Primo ministro e ora come presidente e sovrano assoluto; il sapiente calcolo della tempistica e l’investimento sulle frange nazionaliste. Formalizzata a marzo 2018 a margine della riforma della Legge Elettorale, l’”Alleanza del Popolo” è nata con l’obiettivo di rafforzare il supporto dell’AKP, consentendo al partito MHP, la cui popolarità era in declino, di essere rappresentato nella Grande Assemblea Nazionale. La riforma prevede alleanze pre-elettorali, permette ai partiti politici di stabilire coalizioni e di mantenere i propri nomi e loghi sulle schede, così i voti espressi per ciascun componente confluiscono nel bacino della coalizione e se l’alleanza supera la severa soglia di sbarramento del 10%, secondo il metodo d’Hondt i seggi sono assegnati anche ai partiti minori.
In quella che in base ai progetti politici di Erdoğan si profilava come l’elezione della vita, cementare i consensi in una logica islamico-nazionale si è dimostrata la scelta vincente, dando prova ancora una volta della sua capacità di interpretare a fondo la psicologia sociale del Paese, facendo leva su concetti ben precisi. La grandezza nazionale, fondata su un orgoglio profondo, sulla volontà e sul coraggio del popolo turco, così come dimostrato il 15 luglio 2016 durante la notte del tentato colpo di stato, sono stati il collante tra i settori conservatori e più nazionalisti della società. Come corollario della fierezza dell’essere turco nella propaganda politica dell’AKP ha giocato un ruolo significativo il richiamo alla ‘forza’ della Turchia da concretizzarsi in un güçlü meclis (parlamento forte), güçlü hukumet (sistema politico forte), da cui la necessitá di un leader forte. Le operazioni militari oltre confine contro i nemici e le minacce poste alla Turchia, sono stati il motivo ufficiale che ha portato a elezioni anticipate. Ad aprile Erdoğan aveva spiegato pubblicamente che “l’intensificazione dell’agenda interna ed esterna della Turchia ha obbligato a rimuovere le incertezze attraverso elezioni anticipate fissate per il 24 giugno”. Il proclama ha fatto seguito a un incontro a porte chiuse con il partner politico Devlet Bahçeli, leader del MHP che poche ore prima aveva sollecitato il governo a indire elezioni anticipate prima del novembre 2019, proponendo inizialmente il 26 agosto 2018. In quello che è apparso come un gioco delle parti, l’urgenza di avviare un sistema presidenziale esecutivo avrebbe fatto perno sui recenti sviluppi interni ed esterni e sulla necessità di capitalizzare velocemente i consensi ottenuti con le operazioni militari oltre confine.
L’affievolimento dell’operazione oltreconfine “Ramo d’ulivo”, lanciata a gennaio 2018 per ripulire il cantone siriano di Afrin dalla minaccia posta dalle milizie curde siriane del PYD e le preoccupazioni sul dato economico, vero collante sociale e motivo di orgoglio dell’amministrazione AKP, pongono seri grattacapi soprattutto per la continua svalutazione della Lira turca sul dollaro e per il tasso d’inflazione a doppia cifra. Le borse hanno salutato il nuovo esecutivo con una brusca caduta della Lira in segno di sfiducia nei confronti della nuova squadra da cui sono uscite figure note in grado di rassicurare gli investitori sulla tenuta del mercato turco. Già nella campagna elettorale il presidente non ha perso occasione per accusare le congiunture straniere dell’indebolimento della Lira ed esortare i propri fratelli “a cambiare i risparmi in dollari e valuta straniera in Lire turche” per sostenere l’economia nazionale. E in una mossa emergenziale a maggio la Banca Centrale turca ha aumentato i tassi d’interesse di 300 punti base, continuando ad applicare ulteriori misure per contenere l’elevata volatilità della valuta a scongiurare l’eventualità di un tracollo economico simile a quello del 2001.
In vista dell’obiettivo di entrare a far parte delle economie a più alto reddito entro il 2023, il manifesto elettorale è stato incentrato sull’economia e sulla necessità di misure efficaci per combattere l’alto tasso d’inflazione. “La fiducia e la stabilità continueranno a essere i meriti della nostra economia, il cui motore continuerà a essere in crescita” ha ripetutamente affermato il presidente che, facendo leva sul concetto di fratellanza musulmana (kardeşlik) e sui risultati concreti ottenuti dall’AKP nei suoi mandati, ha esortato l’elettorato a credergli ancora una volta. L’obiettivo di Erdoğan è proteggere il dato economico, incentivando la produzione e le esportazioni e includendo nei nuovi punti programmatici la costruzione di fabbriche, l’implementazione di progetti tecnologici e gli incentivi all’industria della difesa oltre che la messa a punto di grandi opere. Con un’economia forte il Paese può resistere agli attacchi contro la sua valuta “studiati dalle potenze straniere per creare delle difficoltà economiche alla Turchia”.
Per misurare la grandezza della Nazione e dei risultati ottenuti dall’AKP la retorica di Erdoğan è ruotata attorno allo slogan “vakit Türkiye vakti” (‘è il tempo della Turchia’). “Se qualcuno può produrre risultati concreti, quello è l’AKP” ha ripetuto il presidente in ogni comizio elettorale, elencando gli esiti concreti del suo governo sia a livello di politiche che di servizi alla popolazione. Il suo vantaggio sugli altri candidati si è basato sul fatto di essere già stato testato dai cittadini che lo hanno legittimato a portare a compimento il grande progetto del sistema presidenziale. Con lo slogan yaparsa yine AKP yapar (‘se s’ha da fare, l’AKP lo farà di nuovo’) l’AKP ha tracciato una linea divisoria rispetto ai partiti all’opposizione, percepiti come inefficaci nel soddisfare le richieste sociali e garantire fertilità e abbondanza.
In un mondo che cambia, l’AKP è stato quindi titolato a fronteggiare ogni sfida grazie all’implementazione del sistema esecutivo in cui il presidente è il leader indiscusso.
Il 24 giugno 2018 è stato il giorno della svolta politica della Turchia, suggellata da una vittoria ottenuta “con l’aiuto del Signore”, che impartisce “un’altra lezione all’Europa e a tutti coloro che vorrebbero vedere Erdoğan perdere”. Sotto tale luce si è salutato l’inizio della nuova era politica, e la strutturazione del “Tayyipismo” come nuova ideologia di Stato. Recep Tayyip Erdoğan è oggi il leader più influente dai tempi di Atatürk, il suo obiettivo è superarlo anche in gloria. Permangono i seri interrogativi sugli standard democratici e sul rilancio dei rapporti con l’Occidente. Laddove l’opposizione ha dato prova di esserci e di sapersi coalizzare, l’augurio è che la tendenza verso un’interpretazione plurale della politica, nonostante un sistema di checks and balances alquanto fragile, venga mantenuta, dimostrando che oltre alla monolitica visione vi è un composto di anime pronto a farsi sentire e darsi manforte.
Ancora 5 anni al potere, con “l’aiuto di Allah”: ne ha molto bisogno Erdoğan per navigare attraverso la tempesta economica turca.
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