Il giorno dopo la vittoria del Leave, i primi cittadini di Londra e Parigi pubblicano un documento congiunto dichiarando l’intenzione delle due città di intensificare la loro collaborazione. Una posizione legittimata dal voto che ha visto Londra largamente a favore del Remain, così come nel 2005 Parigi era stata a favore del progetto di Costituzione europea (bocciato col referendum dalla Francia). Una posizione che è insieme pragmatica e programmatica.
Le squadre dei due sindaci infatti si sono subito messe al lavoro per promuovere una serie di iniziative congiunte, dalla cultura all’economia (per esempio dando la possibilità alle startup di avere doppia sede legale nelle due città). Ma Anne Hidalgo e Sadiq Kahn si sono spinti oltre: generalizzando e guardando al futuro, hanno affermato che se l’Ottocento è stato il secolo degli imperi e il Novecento il secolo degli Stati-nazione, il ventunesimo secolo sarà quello delle “città-mondo”.
Se da oltre un decennio la letteratura sulle città-globali ci ha abituato a pensare questi nodi di un potere economico reticolare, senza più limiti territoriali, come centri che sfidano e indeboliscano l’autorità dei vecchi stati nazionali, la prospettiva delle città-mondo ci propone un salto concettuale. Un salto in cui l’accento si sposta dall’economia alla politica: da una capacità di egemonia radicata nel potere economico, ad una capacità di governo, radicata nel territorio. Dove però, se ciò che veniva governato nelle città-stato dell’antichità erano in vario modo questioni preminentemente locali, nella città-mondo i nuovi oggetti delle politiche urbane affrontano questioni con radici ed effetti globali: dal cambiamento climatico, ai flussi migratori.
Proprio su questi fronti infatti, prima ancora della svolta del millennio, le città sono ri-emerse come protagoniste della scena politica, in grado di rispondere per prime, non solo perché materialmente in prima linea (nel gestire l’accoglienza, fronteggiare le inondazioni o i limiti di superamento delle polveri sottili), ma perché strutturalmente più resilienti: più disponibili al cambiamento, più ricche di forze giovani e creative, disponibili a sperimentare e tessere connessioni.
Già alla fine degli anni ’80 le città hanno cominciato a dar vita ad alleanze orizzontali e spesso trans-nazionali per rispondere per esempio alla problematica ambientale, attivando delle reti come l’International Council for Local Environmental Initiatives (ICLEI), network di città americane e canadesi. Soprattutto, molte città hanno capito che affrontare queste problematiche poteva essere occasione di riscatto e di rilancio, di riconversione per esempio di vecchie aree industriali o portuali abbandonate (da Barcellona a tante città del nord Europa, come Amburgo, Stoccolma, Copenhagen), in nuovi centri di un vivere più sostenibile e a misura d’uomo. Capaci di attirare una popolazione giovane e transnazionale alla ricerca di nuovi stili di vita. Città-mondo in questo senso può essere la piccola Malmo (cittadina svedese ma distante un braccio di mare da Copenhagen), con la sua riconversione del porto in quartiere sperimentale ad alta sostenibilità ambientale, così come a Riace (in provincia di Reggio Calabria) dove il sindaco ha invitato i migranti a ripopolare il centro storico abbandonato.
In questo contesto di nuova centralità politica delle città, Anne Hidalgo e Sadiq Kahn non sono i soli a proporre di rilanciare la costruzione europea proprio attraverso il ruolo che le città e i territori potrebbero giocare. La riflessione è aperta e coinvolge studiosi, artisti e sperimentatori di nuove comunità creative, tutti diversamente ma ugualmente alla ricerca di nuove forme di cultura, di economia e di democrazia.
Da questo punto di vista, tra le proposte fuori-Biennale che stanno accompagnando questa Biennale di Architettura, una delle più interessanti è certamente la Biennale Urbana curata da Stalker, soggetto collettivo fondato a Roma nel 1995 per esplorare i territori di margine: territori abbandonati e residuali, rispetto ai processi economici dominanti, e proprio per questo aperti ad un processo di trasformazione autonomo e spontaneo.
L’operazione veneziana nasce due anni fa, in occasione della Biennale 2014, quando collaborando con il Padiglione Svizzero e l’ETH di Zurigo, la Stalker Walking School (Lorenzo Romito e Giulia Fiocca con Giulia Mazzorin e Andrea Curtoni) realizza un percorso di attraversamento dei luoghi abbandonati della laguna: un esercizio che è insieme pratica di un abitare nomade e riflessione, teorica e artistica, sul senso e la forma della Biennale. A partire da due barche e, quest’anno, di un dispositivo mobile soprannominato “amacario” (una tela lunga oltre 100 metri da svolgere e dispiegare così da divenire un sistema di amache per un gruppo di persone), la summer school di Stalker realizza un viaggio attraverso le zone dimenticate e in trasformazione della laguna, dal leisureland del Lido all’isola della Cura, un tempo ricca di campi coltivati, dall’isola del Montinor all’isola del Barenon, dalle secche ricche di squisite vongole.
É un percorso di mappatura e di interpretazione, ma anche e soprattutto una esperienza di un modo di abitare al di fuori delle modalità standardizzate di uso e consumo dello spazio urbano e naturale. L’idea della Biennale Urbana chiama in causa l’istituzione Biennale, con la sua struttura per padiglioni nazionali, campi disciplinari e sostanziale autonomia rispetto alla città (ai suoi molteplici luoghi abbandonati ed alle tante organizzazioni attive in questi territori), ma si spinge oltre, proponendo di immaginare un futuro per Venezia, al di là del suo cliché contemporaneo. Un futuro in cui, aprendo le porte al Mediterraneo, la sua dimensione di arcipelago, possa tornare ad essere luogo di incontro vitale tra culture e religioni. Modello di un’Europa capace di accogliere e di aprire spazi di libertà. Un’Europa in cui i territori possano proporre, sperimentare e diventare protagonisti di una nuova convergenza tra reti di città, più che di stati.
Il giorno dopo la vittoria del Leave, i primi cittadini di Londra e Parigi pubblicano un documento congiunto dichiarando l’intenzione delle due città di intensificare la loro collaborazione. Una posizione legittimata dal voto che ha visto Londra largamente a favore del Remain, così come nel 2005 Parigi era stata a favore del progetto di Costituzione europea (bocciato col referendum dalla Francia). Una posizione che è insieme pragmatica e programmatica.
Le squadre dei due sindaci infatti si sono subito messe al lavoro per promuovere una serie di iniziative congiunte, dalla cultura all’economia (per esempio dando la possibilità alle startup di avere doppia sede legale nelle due città). Ma Anne Hidalgo e Sadiq Kahn si sono spinti oltre: generalizzando e guardando al futuro, hanno affermato che se l’Ottocento è stato il secolo degli imperi e il Novecento il secolo degli Stati-nazione, il ventunesimo secolo sarà quello delle “città-mondo”.
Se da oltre un decennio la letteratura sulle città-globali ci ha abituato a pensare questi nodi di un potere economico reticolare, senza più limiti territoriali, come centri che sfidano e indeboliscano l’autorità dei vecchi stati nazionali, la prospettiva delle città-mondo ci propone un salto concettuale. Un salto in cui l’accento si sposta dall’economia alla politica: da una capacità di egemonia radicata nel potere economico, ad una capacità di governo, radicata nel territorio. Dove però, se ciò che veniva governato nelle città-stato dell’antichità erano in vario modo questioni preminentemente locali, nella città-mondo i nuovi oggetti delle politiche urbane affrontano questioni con radici ed effetti globali: dal cambiamento climatico, ai flussi migratori.