Una conversazione con Mohammad Jibran Nasir, simbolo della battaglia del Pakistan contro i demoni del passato
Il massacro del 16 dicembre a Peshwar ha infilitto un grosso colpo all’intera nazione pachistana, innescando un feroce confronto interno sulle responsabilità per il terrorismo. Per anni, il paese è stato scena di ripetuti attacchi terroristici, che hanno causato decine di migliaia di vittime. Ciò nonostante, le autorità si sono sempre mostrate riluttanti a prendere le distanze dall’estremismo religioso, perfino nelle sue manifestazioni più sanguinolente.

Il massacro del 16 dicembre a Peshwar ha infilitto un grosso colpo all’intera nazione pachistana, innescando un feroce confronto interno sulle responsabilità per il terrorismo. Per anni, il paese è stato scena di ripetuti attacchi terroristici, che hanno causato decine di migliaia di vittime. Ciò nonostante, le autorità si sono sempre mostrate riluttanti a prendere le distanze dall’estremismo religioso, perfino nelle sue manifestazioni più sanguinolente.
Il rapporto del Pakistan con il terrorismo è molto complicato. A lungo ha sostenuto i gruppi terroristi attivi in India e Afghanistan e molti indizi sembrerebbero indicare che lo stia ancora facendo. Le ragioni per questo sostegno risiedono in primo luogo nella sua decisione strategica di adottare qualsiasi strumento per combattere il nemico indiano e incrementare la propria influenza nell’area.
Questa politica è stata a lungo perseguita nella convinzione che le autorità statali sarebbero state in grado di controllare i gruppi ai quali fornivano sostengo, ma così non fu. Come ribadì l’allora Segretario di Stato americano Hillary Clinton nel 2001 in un messaggio indirizzato proprio al Pakistan “non si possono allevare serpenti in giardino e poi pretendere che mordano solo i nostri vicini”.
Ultimamente, la necessità di contrastare i gruppi terroristi operanti nel paese è stata sempre più pressante ed è sfociata nella decisione di condurre una vasta operazione militare (denominata “Zarb-e-Azb”) nelle aree di confine con l’Afghanistan dove la maggior parte di questi gruppi sono insediati. La cosa però non sembra aver prodotto una più vasta riconfigurazione del paradigma strategico pachistano, come si evince dal sostegno ancora fornito a gruppi come Lashkar-e-Taiba il loro leader Hafiz Said, responsabile di molti attacchi incluso quello a Mumbai nel 2008 che costò la vita a 166 persone.
Queste politiche hanno facilitato la diffusione dell’estremismo religioso causando una graduale radicalizzazione idelologica della società civile pachistana. L’attacco in Peshwar, con la sua estrema brutalità, pare aver svegliato un paese che sembrava troppo abituato alla violenza per tentare di reagire. Uno dei molti simboli di questa ‘redenzione’ è certamente Mohammad Jibran Nasir, avvocato, attivista e uomo politico indipendente, che è una figura carismatica del movimento di protesta contro ogni forma di collusione con l’estremismo religioso da parte delle autorità.
Il bersaglio principale di questa campagna è Maulana Abdul Aziz, un religioso della Lal Masjid di Islamabad, una figura chiave dell’estremismo religioso nel paese da molti anni. Nel 2007, la moschea fu luogo di violenti scontri tra studenti di religione e le forze di sicurezza, che favorì la dipartita dell’allora capo del governo, il Generale Pervez Musharraf, oggi in pensione.
Maulana Abdul Aziz è al centro di una controversia per aver inizialmente rifiutato di condannare l’attacco di Peshwar. E’ molto conosciuto in Pakistan per le sue posizioni radicali. Nel 2007, quando le forze di sicurezza lanciarono un’operazione militare contro la Lal Masjid, tentò di fuggire indossando un burqa, ma venne riconosciuto e fermato. Qualche mese fa, ha dedicato una delle librerie della moschea ad Osama bin-Laden, il leader storico di al-Qaeda e pochi giorni fa è stato pubblicato un video in cui studentesse presso il Jamia Hafsa, una ‘madrasa’ nei pressi del Lal Masjid, prestavano giuramento di fedeltà allo Stato Islamico.
Una personalità fortemente controversa che è diventata un simbolo del paese che per troppo tempo ha praticamente garantito l’impunità per tutte le forme di estremismo e adesso sta tentando di reagire. E lo fa grazie al coraggio di Mohammad Jibran Nasir, un uomo i cui ideali sono più forti delle minacce di morte che ha ricevuto ultimamente. Un esempio per un paese che da troppo tempo è preda delle proprie paure.
L’attacco portato a Peshwar il 16 dicembre è stata una delle peggiori tragedie della storia del Pakistan. Chi dovrebbe essere ritenuto responsabile?
MJN: Credo che la nazione pachistana sia responsabile quanto i Talebani e la ragione sta nel fatto che le misure che il governo sta adottando adesso sarebbero dovute essere implementate anni fa, prima che i Talebani potessero formare la propria stuttura in Pakistan. Se la nazione si fosse unita prima, se il governo avesse agito in anticipo, avremmo potuto evitare questa tragedia. Perciò credo che la colpa debba essere condivisa, perché è anche grazie alla nostra ignoranza e inefficienza se ai Talebani è stato consentito di mettere a segno questo attacco. Un esempio? Quando è avvenuto l’attacco alle Torri Gemelle negli USA, l’America non aveva esperienza di attacchi terroristici sul proprio suolo, perciò l’America in qualche modo aveva sottovalutato i rischi alla sicurezza. Ma il Pakistan ha una lunga storia di attentati terroristici. Siamo stati presi di mira più e più volte. Abbiamo perso più di 50.000 civili in questi conflitti, perciò avremmo dovuto essere più cauti.
Cosa ha spinto le autorità ad agire con maggior determinazione nel combattere il terrorismo?
MJN: L’abomino di questa tragedia, la barbarie che i Talebani hanno reso così evidente. Non intendono attenersi ad alcun codice di guerra, non concepiscono un’etica di lotta, per loro vale tutto, per loro perfino i bambini di qualsiasi età possono rappresentare un bersaglio accettabile. In questo caso sono stati l’unico bersaglio. Credo che sia questo che ha scioccato il paese. Che abbiamo a che fare con delle vere bestie.
Pensa che l’attacco a Peshwar possa rappresentare un momento di svolta per il suo paese?
MJN: Prego Dio, sì, che questo sia un momento di svolta. Se seguite le notizie provenienti dal Pakistan saprete che il governo sta lavorando duramente, il nuovo piano di sicurezza è stato consegnato, il capo del personale dell’esercito sta lavorando con tutti i partiti. Tutti i partiti favorevoli sono pronti ad assistere il governo e gli obiettivi nei corridoi del potere non si contano, perciò potrebbe essere un momento di svolta per la nazione, come popolo, come società civile, come semplici uomini e donne pachistane stiamo protestando e portando la nostra lotta in strada per assicurarci che il governo non dimentichi. Si, questo potrebbe essere, e deve essere, il nostro punto di svolta.
Pensa che la revoca della moratoria sulla pena capitale per crimini di stampo terroristico possa rappresentare un utile deterrente?
MJN: La moratoria non può essere rimossa come una coperta. Il governo pachistano sa chi sono i capi, chi sono i comandanti principali e sa che queste persone non potranno mai essere riabilitate. Questa gente non tornerà indietro per vivere le proprie vite come cittadini onesti. Continueranno a sfruttare ogni opportunità per mandare un messaggio ai Talebani di continuare i loro attacchi terroristici e non è il Pakistan che decide di impiccare questi elementi criminali. Sono gli elementi criminali che non hanno lasciato al Pakistan altra scelta se non impiccarli. Ma allo stesso tempo, tutto ciò dovrebbe essere limitato al solo terrorismo. Non tutti coloro che hanno commesso un crimine devono essere puniti con la pena capitale.
Il Pakistan ha spesso sottolineato l’esistenza di Talebani “buoni” e “cattivi”, dove i primi venivano considerati strumenti utili per sostenere la propria agenda regionale. Pensa che questa distinzione non sia più attuale?
MJN: A mio parere il Pakistan ha ereditato questa distinzione dall’occidente perché è stata creata in origine quando negli anni ’80 e ’90 Osama bin-Laden veniva celebrato dalla stampa americana come un eroe. La distinzione si è radicata nel periodo in cui la Casa Bianca accoglieva delegazioni di Talebani nel corso di tutti gli anni Novanta e negoziava con loro. Noi abbiamo ereditato questa distinzione dall’occidente, e ovviamente è radicata in Pakistan, e noi dobbiamo sapere perché è stata creata. E’ stata creata attraverso una politica statale, con fondi statali, con l’aiuto dei media, e i media spesso influenzano il dialogo e impostano il tipo di narrazione.
Il Pakistan ha sostenuto i Talebani in Afghanistan durante l’invasione sovietica perché la CIA stava lavorando con noi e insieme abbiamo create i mercenari in Afghanistan. Siamo stati noi ad innescare la guerra civile in Afghanistan. Una guerra civile che doveva portare i Talebani al potere in Afghanistan e quella guerra civile si è ora allargata al Pakistan, e la stessa guerra civile si svolge adesso anche qui e la gente è confusa tra i Talebani buoni e Talebani cattivi.
Ovviamente c’è un salto generazionale. Mio padre è cresciuto negli anni ’80 e ’90, e durante quel periodo i Talebani erano osannati da tutti. Io appartengo alla fine degli anni ’90 e nell’ultimo decennio post 11/09 e in vita mia i Talebani sono stati demonizzati in tutto il mondo. Per la generazione di mio padre i Talebani erano eroi, per la mia sono diavoli. Tutto ciò ha contributo alla storia dei Talebani buoni e quelli cattivi. E’ impossibile obbligare qualcuno a cambiare atteggiamento nottetempo, non si possono imporre dei punti di vista. Ci vorrà del tempo, ma so che lentamente e gradualmente il Pakistan sta adottando una versione definitiva sulla questione, in cui i Talebani, sia buoni che cattivi, non sono a favore del Pakistan. Più che domandarsi perché, penso che si debba celebrare il fatto che finalmente abbiamo aperto gli occhi. Penso che dovremmo guardare al futuro.
Perché a Hafiz Said è permesso scorrazzare liberamente per il paese e incitare alla guerra contro l’India?
MJN: Hafiz Said, per ragioni buone e cattive, in realtà gestisce una delle maggiori reti di servizi sociali in Pakistan. Dietro a questa facciata ha molto astutamente, subdolamente e ingegnosamente prestato soccorso a milioni di pachistani. Durante le inondazioni, i terremoti in Pakistan, molti dovevano ringraziare Hafiz Said. Se si guarda la situazione dal punto di vista di una persona che perde la casa in un terremoto e poi se la vede ricostruire grazie agli aiuti assicurati da qualcuno che si chiama Hafiz Said è ovvio che la prospettiva cambia. Quando qualche giorno dopo il governo lo definisce un terrorista, anche se forse lo è, la persona in questione non può non sentirsi in debito verso quest’uomo che poco prima gli ha fatto ricostruire la casa. E tutto ciò innesca la confusione. Da un lato gli si è grati ma dall’altro viene additato come un pericoloso criminale. Perciò la sua abilità nello sfruttare il suo attivismo nei servizi sociali per infiltrarsi nella società e crearsi una reputazione come gran soccorritore rende difficile per il governo agire militarmente nei suoi confronti. Milioni di persone in Pakistan hanno usufruito dall’assitenza fornita da Jamaat-ud-Dawa e fanno fatica a rivoltarsi contro chi gli ha rimesso in piedi la casa. Il Pakistan ha anche vaste sacche di povertà e analfabetismo, e la mancanza di istruzione ci porta a considerare chiunque ci aiuti, chiunque riesca a debellare una crisi nazionale, come un eroe. L’istruzione serve per mettere ordine tra le diverse caratterstiche e i fatti sulle persone. Il Pakistan e la sua democrazia non possono essere paragonate a un altro paese europeo. Dobbiamo tenere conto del fatto che il Pakistan è un paese dove metà della popolazione è non-scolarizzata, dove 25 milioni e più di giovani non sono mai andati a scuola. Quando consideriamo questo aspetto ci rendiamo conto che una mente non istruita è facilmente circuita, è vulnerabile, e Hafiz Said ha usato questa vulnerabilità della nazione pachistana a proprio vantaggio e non è il solo. Nessuno si sognerebbe di uscire in strada e dire di essere un terrorista, che ha una pistola, che ammazza la gente, ma Hafiz Said va in giro tranquillamente. Gira il paese portando soccorso. Non sta ammazzando le persone nelle strade di Lahore. Sta portando soccorsi nelle strade di Lahore. Il governo pachistano deve prima smantellare l’intera rappresentazione che persone come Hafiz Said si sono costruite. Deve smontare la sua immagine filantropica prima di poterlo mettere in condizione di non nuocere.
E intendono veramente farlo?
MJN: Lo vogliono fare, ci stanno lavorando e so che queste cose richiedono tempo. Ho incontrato molti parlamentari in quest’ultima settimana, dopo gli attacchi, e tutti sembrano voler prendere il toro per le corna e sono tutti schierati. Questo è un paese di circa 200 milioni di persone. Abbiamo anche molte grandi menti e stiamo sopravvivendo nelle peggiori condizioni possibili. Stiamo combattendo tante forme di condanna da tutto il mondo, siamo considerati una nazione di terroristi da metà del pianeta, siamo considerati una nazione di sostenitori dei Talebani da molti e abbiamo sofferto più vittime civili, sono caduti più nostri compatrioti di qualsiasi altro paese dal 11/9. Più dell’Iraq, più dell’Afghanistan, eppure continuiamo a combattere una guerra giusta. Penso che i media mondiali debbano cominciare a capire il dilemma pachistano prima di criticarci. Perché io sono pachistano e posso dire che per me Hafiz Said non è un eroe. Io sono pachistano e posso dire che se un pachistano è coinvolto in un attacco in territorio straniero, per me non è un eroe.
Usando slogan come #NeverAgain (#MaiPiù) e #ReclaimYourMosques (#RiprendeteviLeMoschee), la sua campagna a fatto della lotta contro Maulana Abdul Aziz e la “sua” Lal Masjid un simbolo. Perché pensa che il suo arresto sia così importante per il Pakistan?
MJN: Il Pakistan deve far capire che il governo è serio, come dicevo prima, che tutti i partiti politici, l’esercito pachistano, tutti hanno voglia di cambiare e se sono seri come dicono, allora l’arresto di Abdul Aziz servirebbe da esempio, perché, anche dopo l’attacco a Peshwar, Abdul Aziz rappresenta quel tipo di mentalità perversa degli apologeti Talebani che per salvare la propria pelle e mantenere il popolo del Pakistan in soggezione continueranno a fregarsene dei pachistani e a simpatizzare per gli assassini per potersi imporre sulla società. E quando lui si schiera con gli assassini, in realtà minaccia il popolo pachistano foraggiando l’idea che se si oppongono al suo volere allora gli assassini ammazzeranno loro perché sono suoi fratelli. E’ un personaggio che ha ingaggiato una guerra con l’esercito pachistano e ha ucciso soldati in passato, un uomo che comanda una fazione di donne che ha dichiarato pubblicamente di essersi alleata con l’ISIS. Quando ha minacciato le nostre vite, quando ha minacciato di ucciderci, quando tenta di far apparire la nostra protesta come una manifestazione settaria in quanto apparteniamo ad una particolare setta, cosa peraltro non vera, in realtà sta incitando i settari violenti del Pakistan e questo, in base alle leggi anti-terrorismo, è un altro crimine. Ora che gli abbiamo mosso queste accuse, dovrebbe essere arrestato come qualsiasi altro uomo o donna pachistana. Se fossi stato io e se la FIR fosse stata contro di me per questo grave crimine, sarei già in tribunale. Ma lui no. Il governo pachistano deve far arrivare un messaggio chiaro: arrestando Abdul Aziz si trasferisce il potere nelle mani del popolo, fai sapere al popolo che egli ha sfidato un FIR. Se il governo tenta di assicurare alla giustizia una persona influente che simpatizza con i Talebani la legge ne sarà rinforzata, così come le istituzioni e le forze dell’ordine avranno più possibilità di agire.
Lei è stato minacciato ultimamente dai TTP. Dove trova il coraggio per continuare a lottare?
MJN: Il coraggio lo trovo in una sola cosa: che sono pachistano e che tutti quei 50, 55 civili pachistani che sono morti prima di me, sono morti per me e se loro possono sacrificare la loro vita per la madrepatria, perché io dovrei fare altrimenti? Le loro morti, la loro perseveranza, il loro senso del sacrificio mi infondono coraggio. Loro ci hanno detto che se questo è quello che serve per preparare un futuro migliore per i nostri bambini e allora che sia. La nazione pachistana farà qualsiasi sacrificio per migliorare il proprio paese. Non vogliamo una forza straniera o un esercito che venga a liberarci. Abbiamo la forza dentro di noi, il nostro paese può sollevarsi contro qualsiasi tipo di nemico, cresciuto in loco o imposto da un esercito straniero. Noi come nazione non ci daremo per vinti.
Il massacro del 16 dicembre a Peshwar ha infilitto un grosso colpo all’intera nazione pachistana, innescando un feroce confronto interno sulle responsabilità per il terrorismo. Per anni, il paese è stato scena di ripetuti attacchi terroristici, che hanno causato decine di migliaia di vittime. Ciò nonostante, le autorità si sono sempre mostrate riluttanti a prendere le distanze dall’estremismo religioso, perfino nelle sue manifestazioni più sanguinolente.
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