Mercoledì 24 luglio l’Egitto si risveglia faticosamente e inizia un nuovo giorno del Ramadan. Ieri il mese sacro del calendario musulmano era arricchito dalla ricorrenza dell’anniversario del colpo di stato dei Liberi ufficiali del 1952.

Guidati da Neghib e Nasser, i militari salirono per la prima volta al governo di un popolo alla ricerca di un raiss, di un capo. Lo trovarono in Nasser, il bikbachi (tenente-colonnello ndr), capo della riscossa egiziana, ma ancor prima araba, contro i soprusi coloniali e una decadenza secolare. Leader o guida paternalistica di una moltitudine che impiegò poco tempo per innamorarsi del suo eroe-colonnello. Nasser condusse l’Egitto verso la prima grande thawra. Un “cambiamento” basato sulla piena legittimazione popolare, sebbene il potere fosse saldamente controllato dai militari. Un popolo forse riluttante nei confronti della democrazia ma profondamente desideroso di riscossa.
Sono passati sessant’anni e gli egiziani che dal 2011 conducono una nuova rivoluzione hanno riabbracciato giubilanti l’esercito, unica istituzione che susciti ancora la fiducia delle masse. I Fratelli Musulmani hanno tradito la richiesta delle piazze che chiedevano urlanti “pane, libertà e giustizia sociale” e ora il nuovo eroe egiziano si chiama Abdul Fatah El-Sisi. Il più giovane membro del Consiglio supremo delle forze armate egiziane è senza dubbio un talento emergente del nuovo panorama politico nazionale. Sufficientemente intelligente e scaltro da saper cavalcare la campagna anti-Morsi condotta dal movimento Tamarod. Raccogliendo milioni di firme in appena quattro mesi per deporre Morsi, il presidente democraticamente eletto che pensava di poter governare da dittatore, Tamarod è stato soprattutto capace di parlare alla gente. Laddove il Movimento 6 aprile, anima della rivoluzione del 2011, restava chiuso a riccio, tacciato di aspirazioni da vero e proprio partito politico, Tamarod è riuscito ad uscire dal Cairo e a dialogare con la gente delle periferie. Usando un linguaggio semplice ha calamitato il supporto di coloro che fino ad allora non si erano mai interessati alla politica e che non arrivavano più a fine mese, vittime di un’economia allo stremo. El-Sisi ha capito che quel movimento avrebbe permesso all’esercito di condurre finalmente il popolo egiziano ad una scelta. I Fratelli Musulmani da una parte, l’esercito dall’altra. Il calo di consensi verso l’Ikwan (i Fratelli Musulmani ndr) era tale che il supporto delle masse all’esercito era inevitabile, fino a rendere quasi stucchevole il dibattito sulla liceità del colpo di stato. D’altronde la Fratellanza aveva chiuso fino all’ultimo qualsiasi margine d’azione politica capace di condurre ad una democratica sfiducia al governo. Non c’era scelta e Morsi poteva andarsene solo con la forza. Tutto bene, quindi, perché l’esercito ha finalmente dato voce al popolo. O forse no?
La svolta dello scorso 30 giugno potrebbe aver condotto gli egiziani in una trappola, forse la più rischiosa. Scegliere di sostenere uno dei due apparati preesistenti (l’esercito) per sentirsi finalmente uniti contro l’altro (l’Ikwan), traditore della rivoluzione. Una polarizzazione tra Morsi e anti-Morsi che rischia di distrarre la rivoluzione dalle sue originarie aspirazioni di dignità sociale. La “via del popolo” converge ora con quella dell’esercito ma è tutto da vedere se di questo ne beneficerà la rivoluzione. “Nessun complotto” è il mantra che si ripetono molti attivisti e blogger qui al Cairo, convinti di aver dato vita ad un evento unico nella storia: un colpo di stato (termine che però viene pronunciato quasi sottovoce) legittimato da milioni di persone scese in strada. Ma la sfida che ora ha davanti a sé l’Egitto è quella di sapersi districare in questa matassa politica e sociale. Se le forze di opposizione alla Fratellanza riusciranno ad elaborare un chiaro programma politico; se riusciranno a dare voce alle richieste del popolo dalle città alle campagne. Solo questo potrà forse impedire agli egiziani di sentirsi un domani usati, come meri strumenti nelle mani dei militari.
Intanto oggi, in un discorso televisivo, el-Sisi ha rivolto un clamoroso appello: «Scendete per le strade venerdì prossimo, e dimostrate il vostro supporto al nuovo governo, autorizzandolo a combattere il terrorismo». Non è chiaro se con il termine “terrorismo” si riferisse ai manifestanti pro-Morsi o ai jihadisti che hanno trasformato il Sinai in una polveriera. Il governo installato dai militari chiede al popolo una legittimazione di piazza, quasi un’investitura ufficiale di paladino della rivoluzione. Tamarod ha subito appoggiato il proclama di el-Sisi invitando i suoi sostenitori ad aderire alla manifestazione. Nel mentre, a Giza, il sit-in dei Fratelli Musulmani che chiedono il ritorno di Morsi continua. Solo ieri il bilancio degli scontri tra le fazioni pro e anti-Morsi ha contato 12 morti e 86 feriti. Venerdì il sangue potrebbe nuovamente scorrere per le strade. Ma le vite umane sono ormai solo numeri in Egitto. In fondo, questa è la rivoluzione!
photo credit: Francesco La Pia
Mercoledì 24 luglio l’Egitto si risveglia faticosamente e inizia un nuovo giorno del Ramadan. Ieri il mese sacro del calendario musulmano era arricchito dalla ricorrenza dell’anniversario del colpo di stato dei Liberi ufficiali del 1952.