Non è un capo di Stato di un paese storicamente indigesto, né il leader di un gruppo terroristico internazionale. Eppure Angelina Jolie, attrice e regista hollywoodiana, attivista umanitaria ex inviato speciale e ambasciatrice per l’alto commissariato Onu per i rifugiati, da qualche giorno in Giappone è considerata da alcune associazioni e media di stampo nazionalista alla stregua di chi da decenni mette a repentaglio la sicurezza nazionale del Paese del Sol levante.
Il giorno di Natale uscirà nelle sale americane Unbroken, il secondo lungometraggio di Jolie, basato sul bestseller del 2010 di Laura Hillenbrand e adattato per il grande schermo dai fratelli Coen. Unbroken è la biografia di Louis Zamperini, atleta olimpionico nella 5 chilometri ai Giochi del 1936 – con tanto di stretta di mano con Hitler – e prigioniero di guerra in Giappone tra il ’43 e il ’45.
{youtube}XrjJbl7kRrI{/youtube}
Nel libro vengono descritti i maltrattamenti perpetrati dalle guardie giapponesi ai prigionieri e l’antagonismo con Mutsuhiro Watanabe – soprannominato dai prigionieri americani “The Bird” – descritto come un sadico intento a massacrare fisicamente e psicologicamente i detenuti, con un “occhio di riguardo” nei confronti del futuro eroe di guerra Zamperini.
Oltre alle prove fisiche e ai pestaggi imposti da Watanabe a Zamperini, Hillenbrand si sofferma su particolari più macabri dei campi di prigionia giapponesi: uomini bruciati vivi, morti in seguito a esperimenti, o mangiati vivi dai carcerieri.
L’argomento è stato portato all’attenzione del pubblico dal Sankei Shimbun, quotidiano del “blocco conservatore” che gravita intorno al governo di Shinzō Abe, a inizio dicembre: il film potrebbe suscitare ondate di sdegno in Giappone e fomentare ulteriormente “il sentimento antigiapponese” già diffuso in Cina.
Questi sarebbero i motivi – scrive il Sankei – per cui la Universal Pictures non ha ancora annunciato la data di uscita del film in Cina e in Giappone – rispettivamente secondo e terzo mercato cinematografico mondiale.
Per non parlare di uno degli attori del film, Miayvi, musicista e attore giapponese di origine sudcoreana, contro cui si è scatenata la rabbia di alcuni netizen afferenti a gruppi di orientamento razzista come la Zaitokukai che lo avrebbero invitato ad andarsene dal Giappone.
Nessuno in Giappone ha già visto il film, eppure ecco che già si levano i primi scudi a difesa dell’ “innocenza” storica giapponese.
Prima il moltiplicarsi di campagne online per il boicottaggio del film, in cui cyber attivisti bollano Jolie come un “demone con la testa ricoperta di pelle umana”.

Poi le dichiarazioni alla stampa. Hiromichi Moteki, segretario generale della Società per la diffusione dei fatti storici, raggiunto dal quotidiano britannico The Telegraph, ha prontamente bollato il film come “immorale”. “Finché non ci sarà una verifica di quanto detto [da Zamperini], chiunque può diffondere queste informazioni”. Stessa posizione difesa da Mutsuhito Takeuchi, educatore e sacerdote Shintō – religione autoctona giapponese, di Stato fino alla fine della Seconda guerra mondiale – interpellato dall’Associated Press. “Nemmeno i giapponesi conoscono bene la loro storia, quindi possono sorgere dei malintesi”, ha dichiarato Takeuchi.
Di malintesi in realtà dovrebbero essercene sempre di meno: il cannibalismo sui prigionieri di guerra, come d’altronde gli altri crimini perpetrati dai militari giapponesi, è stato documentato ed è presente in diverse testimonianze. E non solo Hillenbrand ne ha parlato: nel 1997 lo storico giapponese Toshiyuki Tanaka rivelò le dinamiche dietro questi episodi parlando di “strumento di proiezione del potere” degli ufficiali sui loro sottoposti.
Eppure il film di Jolie questo sembra aver toccato per l’ennesima volta un nervo scoperto dei conservatori giapponesi: il rapporto tra il Giappone di oggi e quello di settant’anni fa, in una parola la Storia. Come già per le “comfort women” – le oltre 200 mila donne in maggioranza coreane costrette a prostituirsi per i soldati giapponesi – l’argomento rischia di essere censurato come falso e antipatriottico e non entrare nel dibattito pubblico o nei libri di scuola.
Solo pochi mesi fa il governo Abe aveva paventato una revisione di una dichiarazione governativa del 1993 che riconosceva l’esistenza delle schiave del sesso dell’esercito giapponese, per poi tornare sui suoi passi. Poche settimane dopo, il quotidiano Asahi chiedeva pubblicamente scusa, e veniva attaccato dalla stampa conservatrice e da gruppi nazionalisti attivi online, per la pubblicazione di articoli sulla questione tra gli anni 80 e 90 basati su testimonianze mendaci.
Oggi, a pochi giorni dalla sua schiacciante vittoria elettorale, il primo ministro, impegnato in una campagna per una riforma dell’educazione in senso patriottico fin dai suoi esordi in politica, potrebbe attingere da questa vicenda per portare avanti la sua agenda politica. Dopo aver trovato in Angelina Jolie un nuovo e attraente nemico.
Non è un capo di Stato di un paese storicamente indigesto, né il leader di un gruppo terroristico internazionale. Eppure Angelina Jolie, attrice e regista hollywoodiana, attivista umanitaria ex inviato speciale e ambasciatrice per l’alto commissariato Onu per i rifugiati, da qualche giorno in Giappone è considerata da alcune associazioni e media di stampo nazionalista alla stregua di chi da decenni mette a repentaglio la sicurezza nazionale del Paese del Sol levante.