Nel mirino del potere che ha varato una legge per imporle la chiusura, la Central European University di Budapest ha trovato un alleato per restare in vita. E si è aperta una via d’uscita a Vienna. Il governo Orbán per ora la lascia nel limbo, mentre sferra nuovi colpi alla libertà accademica
Un ateneo il cui futuro è in sospeso e resta nelle mani di Viktor Orbán. Si tratta della Central European University (Ceu), università privata fondata nel ’91 dal finanziere americano di origini magiare George Soros. Il 4 aprile 2017 una grande protesta anti-governativa e a sostegno della Ceu era andata in scena a Budapest con settantamila persone che avevano affollato le strade della capitale. La Central European University era finita sotto attacco da parte del governo Orbán a seguito di un emendamento alla legge del 2011 sull’istruzione universitaria che obbligava le 28 università straniere presenti in Ungheria ad avere una sede riconosciuta anche nel loro Paese d’origine. Gli atenei incapaci di adeguarsi sarebbero stati costretti a bloccare le iscrizioni già dall’anno accademico 2017-2018 e a interrompere i propri corsi entro il 2021.
«È la prima volta che un Paese dell’Ue osa attaccare con una legge la libertà accademica di un’università», aveva commentato Michael Ignatieff, rettore della Ceu ed ex leader dell’opposizione canadese. La normativa pareva studiata ad hoc per costringere la Central European University alla chiusura all’interno della campagna anti-Soros promossa da Orbán. Seppure accreditato negli Stati Uniti, infatti, l’ateneo non ha una sede oltreoceano. Nelle settimane seguenti, nuove manifestazioni pro Ceu a Budapest e una lettera firmata da 500 accademici internazionali, compresi 20 premi nobel, a sostegno dell’università non hanno convinto il governo ungherese a fare marcia indietro. Per tentare di assicurare la propria permanenza in Ungheria e istituire quella sede negli Usa richiesta per legge, nel settembre 2017 la Ceu ha sottoscritto un’intesa con lo statunitense Bard College presentandola al governo magiaro per ottenerne ratifica.
Nell’aprile 2018 una risposta non è ancora arrivata e la coalizione guidata da Orbán si aggiudica le elezioni parlamentari ungheresi ottenendo il 49% dei consensi. Due mesi dopo, il parlamento di Budapest approva il pacchetto legislativo Stop Soros che rende ancora più difficile richiedere asilo in Ungheria e ostacola l’attività delle ong presenti nel Paese, alcune delle quali finanziate da Soros. Questa volta la Ceu non è colpita dai provvedimenti, ma il suo futuro a Budapest rimane incerto. A quasi un anno dall’accordo con il Bard College, infatti, il governo ungherese non si è ancora espresso in merito e sembra esitare di proposito. «Occorre del tempo per prendere una buona decisione», ha ribadito il 25 giugno Viktor Orbán.
In attesa di pronunciarsi in maniera definitiva sulla Ceu, il 10 agosto il premier ungherese ha sferrato un nuovo attacco alla libertà accademica nel Paese approvando un emendamento che di fatto impedisce di svolgere futuri corsi universitari di Studi di genere. Il pretesto addotto dal governo è che tali corsi non siano economicamente sostenibili e contrari alla propria linea politica. Il provvedimento va a colpire i due soli atenei nei quali oggi è possibile studiare Gender studies in Ungheria: l’università statale Eötvös Loránd e proprio la Ceu. Un altro segnale delle difficoltà quotidiane che il mondo accademico non allineato a Orbán deve fronteggiare.
Un ateneo sospeso fra Budapest e Vienna
Eppure oggi, sulla carta, la Central European University avrebbe tutto il diritto di operare a Budapest. A febbraio di quest’anno, il ramo dell’ateneo registrato in Ungheria, Kozep-europai Egyetem, ha ottenuto un riaccreditamento quinquennale dal Mab, l’ente che rilascia licenze per gli istituti universitari nel Paese. Tuttavia, in assenza della firma del governo a un memorandum congiunto con lo stato di New York, sede del Bard College, l’accreditamento del ramo magiaro della Ceu non è sufficiente.
Ad aprile, intanto, l’ateneo ha sottoscritto un accordo con il governo austriaco per aprire un campus nella più amichevole Vienna con i primi corsi che partiranno a settembre 2019. Un’espansione che sembra anche un modo di tutelarsi da future decisioni governative che potrebbero tradursi in un forzato addio all’Ungheria. «Se il governo non firma l’accordo che regolarizza la nostra posizione nel Paese, non potremo rilasciare a Budapest lauree accreditate negli Usa, ma dovremo farlo a Vienna», ha spiegato a giugno Éva Fodor, docente di Studi di genere alla Ceu.
Dubbi che riguardano anche il rettore, nonostante Ignatieff abbia più volte ribadito come l’università non intenda abbandonare l’Ungheria e a marzo rassicurava: «Stiamo creando un campus a Vienna, ma Budapest resterà la nostra sede principale». Tuttavia, intervistato dal Washington Post e dal Globe and Mail nei mesi seguenti, Ignatieff ha avvertito: «Non possiamo iniziare un nuovo anno accademico in un limbo. Se le cose vanno avanti così, non potremo attrarre studenti, né assumere professori. Il nostro è un caso cruciale per capire in che direzione il governo magiaro intenda muoversi in futuro e fino a dove voglia spingersi». E riguardo al rischio di lasciare Budapest, il rettore ha ammesso che i 45mila metri quadrati del campus viennese «sarebbero abbastanza per l’intero ateneo, qualora fossimo costretti a spostarlo».
Anche il nuovo ambasciatore statunitense a Budapest, David Cornstein, si è espresso sulla vicenda. «È tempo di prendere una decisione e, dal punto di vista dell’Ungheria e degli ungheresi, spero che l’ateneo possa rimanere in questa magnifica città», ha detto il 20 luglio durante una visita alla Ceu e ad appena tre giorni dal proprio insediamento. Nel frattempo, l’università ha deciso che aprirà regolarmente le iscrizioni per l’anno accademico 2019-2020 anche se nessuno sa se questi corsi potranno svolgersi nella sede centrale di via Nádor 9 oppure nel futuro campus viennese. Per il momento, il sito della CEU assicura ai 1400 studenti dell’ateneo – un quarto di loro magiari – e agli iscritti all’imminente anno accademico 2018-2019 che “saranno in grado di terminare i propri studi a Budapest”.
L’università statunitense che piace a Orbán
L’opposizione nei confronti della Central European University da parte del premier ungherese è nota da tempo. L’ateneo è ritenuto da Orbán l’esempio più ingombrante della presenza di Soros in Ungheria a tre mesi dall’addio a Budapest delle Open Society Foundations, costrette a spostarsi a Berlino nel maggio scorso a seguito dell’ostilità del governo magiaro. Le possibilità che il governo firmi l’accordo con lo Stato di New York e autorizzi la Ceu a restare in Ungheria ci sono. Tuttavia, appare sempre più probabile che il premier ungherese stia temporeggiando per porre condizioni impossibili da rispettare all’ateneo statunitense o decida di minarne la permanenza nel Paese con emendamenti lampo simili a quello sui Gender studies.
Nell’attesa, Orbán dà la precedenza ad altre istituzioni accademiche. Il 13 luglio il governo magiaro ha annunciato che da marzo di quest’anno esiste un accordo fra l’università privata ungherese Pázmány Péter e quella americana di Notre Dame. Entrambi gli atenei sono cattolici e cooperano da anni, ma è ora ufficiale che a settembre 2019 Notre Dame aprirà facoltà e corsi in inglese a Budapest. Un’intesa raggiunta grazie ai buoni auspici del governo ungherese e in particolare del ministro degli Esteri, Petro Szijjártó, che il 26 luglio ha firmato un memorandum d’intesa con lo Stato dell’Indiana, dove ha sede l’ateneo americano.
L’autorizzazione lampo concessa all’Università di Notre Dame a operare nel Paese è indicativa di quanto siano cresciute le ingerenze del potere politico nel settore dell’educazione universitaria in Ungheria e di come siano selettive. Da un lato, approvando questa cooperazione accademica, Orbán mostra di non essere contrario a priori a instaurare rapporti con università straniere e nello specifico statunitensi, purché non ricollegabili a Soros. Dall’altro, si tratta anche di un’evidente dimostrazione di come l’attuale governo magiaro ostacoli intenzionalmente il futuro della Ceu tenendone la permanenza nel Paese in sospeso e dando priorità a un altro ateneo privato.
@LorenzoBerardi
Nel mirino del potere che ha varato una legge per imporle la chiusura, la Central European University di Budapest ha trovato un alleato per restare in vita. E si è aperta una via d’uscita a Vienna. Il governo Orbán per ora la lascia nel limbo, mentre sferra nuovi colpi alla libertà accademica