Le prossime elezioni europee decideranno anche la strategia europea per l’Africa
Se non ci occupiamo dell’Africa, l’Africa comunque si occuperà di noi. Quante volte abbiamo detto e pensato questo concetto? Gli scorsi anni hanno dimostrato quanto fosse vero, e non un puro presagio, ma una ragionevole e realistica aspettativa. Dai foreign fighters sconfitti in Siria e costretti a cercare nuove rampe di lancio nel Maghreb, al flusso dei migranti economici fino alla questione dei rifugiati, tutto quello che ha generato paura in questi anni nasce di fronte alle nostre coste. Ecco perché le prossime elezioni europee porranno a tutti i partiti lo stesso quesito: volete occuparvi dell’Africa o preferite che l’Africa si occupi di voi? Questa è la domanda incalzante della cronaca quotidiana e il dubbio sul futuro della stessa Unione Europea.
Alla domanda sul “se” occuparsi dell’Africa va aggiunta inevitabilmente quella sul “come”. Sarà un tema essenziale, e per certi versi esistenziale, sul futuro dell’Europa perché è una delle linee di faglia tra i due campi che sembrano sfidarsi: europeisti ed euroscettici. Il duello delle prossime elezioni europee sarà tra chi considera l’Ue il luogo dei problemi e chi la considera il luogo delle possibili soluzioni. E sull’Africa, la sfida sarà tra chi la considera il continente dei problemi, dove nascono i guai dell’Europa, oppure il continente delle opportunità.
Lo scorso settembre, nella disattenzione generale, l’Ue ha preso posizione descrivendo la nuova strategia “con” l’Africa e non solo “per” l’Africa. Con la comunicazione della Commissione del 12 settembre 2018, a Bruxelles prende forma un documento che già nel nome, “Nuova alleanza per l’Africa”, sostanzia il desiderio di partenariato tra i due continenti.
L’Europa prova così a dotarsi di una strategia “per l’Africa e con l’Africa”, imperniata sul potenziale economico di quel vasto territorio, da stimolare attraverso un piano d’azione innovativo. Alcune grandi linee-guida, la cui implementazione viene affidata a una sequela di azioni concrete, orientano la bussola: direttrici di sviluppo da ricondurre alla necessità di mobilitazione delle risorse economiche per creare posti di lavoro, potenziando il filone degli investimenti del settore privato; investire sul capitale umano, con particolare attenzione all’istruzione e alle competenze, ovvero creando le condizioni affinché studi e formazione incrocino il mercato del lavoro; rafforzare il contesto imprenditoriale, promuovendo un clima che incentivi l’intrapresa, che non può che germogliare in un contesto di pace, stabilità e sicurezza; sfruttare a pieno il potenziale dell’integrazione economica interna al continente africano e stimolare gli scambi commerciali con l’Ue.
Per quanto rappresenti un’originale accelerazione, questa strategia non va considerata un corpus separato, bensì inserita nella più ampia cornice che tiene assieme l’Africa e l’Europa, sostanziandosi per esempio nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e nell’Agenda 2063 dell’Unione Africana, oltre che in una serie di programmi e azioni dedicati a quel continente.
Secondo le statistiche Onu, l’Africa nel 2050 conterà due miliardi e mezzo di persone. Rispetto a tali cifre, l’approccio europeo incrocia tre grandi questioni: la questione demografica, quella climatica e quella economica legata al sottosviluppo del continente nero. Questioni cruciali che sono alla base dei flussi migratori e dei drammi e sfide che hanno posto all’Europa.
Queste considerazioni basterebbero da sole a legittimare il cambio radicale del piano d’azione comunitario, fondato sulla filosofia degli aiuti allo sviluppo – che non vengono cancellati – corroborati però da un altro pilastro, quello della mobilitazione del settore privato. Un elemento che, unitamente al concetto di “alleanza”, segnala un cambio di filosofia: dalla pura cooperazione allo sviluppo intesa come dono, alla partnership, alla scommessa in comune, insieme.
Per favorire occupazione, crescita e sviluppo, non è più sufficiente mobilitare risorse pubbliche; è indispensabile mettere in funzione i meccanismi di investimento privato, tanto europei quanto africani, in una dinamica di corresponsabilità e cointeressenza che possa garantire vantaggi economici a entrambi i contesti economico-produttivi. La nuova alleanza Africa-Europa ha l’ambizione di contribuire alla creazione di 10 milioni di posti di lavoro in Africa nei prossimi 5 anni.
L’Africa ha la popolazione più giovane di qualsiasi altra area del pianeta e, al contempo, la forza lavoro meno qualificata al mondo. Ora, non è possibile immaginare la creazione di un mercato del lavoro se prima non s’investe nelle competenze e nell’istruzione, soprattutto nelle branche tecniche, professionali e nelle abilità digitali, come recita ancora il “manifesto strategico” approvato dalla Commissione Ue. E per attrarre investimenti occorrono certezze in termini di funzionamento dello Stato di diritto, indipendenza del sistema giudiziario, prevedibilità del sistema fiscale.
La pace, la sicurezza e la stabilità sono fattori chiave che influenzano le decisioni degli investitori nazionali e stranieri. Una stabilità in ambito istituzionale, ma anche, e soprattutto, macroeconomico e di sistema finanziario, ovvero che faccia perno su una efficace strutturazione dei canali di accesso al credito da parte del settore privato.
Affrontare “insieme” le grandi questioni poste dalla contemporaneità – che siano le migrazioni o la minaccia terroristica – vuol dire porre particolare riguardo alla fase di coordinamento delle scelte. Quando manca una voce unica e le interlocuzioni avvengono in maniera frammentata, tra 27 Stati che si relazionano con decine di Paesi africani, il rischio è di andare incontro alla dispersione economica delle energie e all’inefficacia degli interventi politici. Ogni singola entità statale pesa ovviamente molto meno di quanto peserebbe l’Europa se fosse percepita come fonte unica e autonoma non solo delle provvidenze ma anche della relazione politico-istituzionale.
L’Ue è già il principale investitore nel continente africano, ma la somma degli investimenti esteri dei singoli Stati Membri le attribuisce questo primato. Si tratta di uno di quei casi in cui la somma algebrica non esprime la forza politica proprio perché ciascuno Stato agisce per sè e la forza politica dell’Ue in Africa non riesce a rappresentare l’insieme delle forze e degli investimenti dei 27 Paesi.
Allo stesso modo si può affermare che l’Ue è il principale partner commerciale dell’Africa, ma il valore degli scambi commerciali Ue-Africa è pari circa al volume degli scambi tra Ue e Svizzera. Anche in questo caso l’Ue è titolare di un primato non spendibile politicamente che dà la misura di quanto sia grande lo spazio innanzi all’Ue se davvero essa deciderà di procedere con determinazione. Anche perché, nel frattempo, nel marzo dello scorso anno, è stata varata dalla gran parte dei Paesi africani la zona continentale di libero scambio per l’Africa, del mercato unico del trasporto aereo e del protocollo di libera circolazione delle persone. Scelte lungimiranti alle quali l’Ue ha offerto sostegno contribuendo economicamente ai negoziati e puntando sul lungo periodo a una zona intercontinentale di libero scambio (Ue-Ua) che sarebbe senza eguali a livello globale.
Il lavoro da fare è ancora enorme se si considera che, secondo i dati forniti dalla Commissione, dal 2009 gli investimenti esteri in Africa hanno rappresentato meno del 5% del totale degli investimenti esteri nel mondo. Se questo è un elemento di debolezza, si può dire che conferma la correttezza della strada intrapresa dalla Commissione di puntare sugli investimenti privati in affiancamento ai fondi pubblici. La chiave è la mobilitazione delle risorse private.
Serve l’ambizione europea, il coraggio di muoversi in quanto Europa nel suo insieme, che permetterebbe alla dinamica comunitaria di guadagnare più ampi spazi di protagonismo e influenza geopolitica, di ricavarne un beneficio diretto in termini di calo dei flussi migratori e di creazione delle condizioni per un’area di co-prosperità e di maggiore integrazione tali da rendere il Mediterraneo un mare che unisce.
Nel momento in cui la competizione per l’influenza nel Mare Nostrum si fa sempre più dura, l’Africa rappresenta una scommessa geostrategica, che si può vincere o perdere. Ma non si può restare immobili, a meno di non volersi condannare all’irrilevanza, a fronte di altri grandi attori della scena internazionale che stanno giocando le loro fiches con determinazione. La Cina, per esempio, acquisisce crediti sempre maggiori con i popoli e i governi africani. Siamo davvero sicuri che convenga lasciare ad altri l’esercizio di una leadership in quella parte del mondo che rappresenta il bacino naturale di proiezione di un’influenza stabilizzatrice e di crescita dell’Europa? I due continenti, divisi da uno spicchio di mare che sembra un piccolo lago, sono in realtà indissolubilmente legati. Da storia, cultura, esperienze di vita, prima ancora che dalle grandi emergenze che oggi riempiono le agende dei governi e allarmano le opinioni pubbliche.
Nell’imminenza delle elezioni europee è bene ricordare che il rapporto con l’Africa e il modo con cui si deciderà di implementare questa Nuova Alleanza, sarà un discrimine essenziale tra i partiti europei e nelle future alleanze europee, ed è doveroso chiedere a chi si candida a rappresentare i popoli europei e governare le istituzioni dell’Ue: per te l’Africa è solo un problema o anche un’opportunità?
La Commissione uscente ha scelto di considerarla un’opportunità strategica per il futuro dell’Europa; spetterà a cittadini europei confermare o bocciare questa opzione.
@angealfa
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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