Nessun impegno vincolante, il compromesso trovato al Consiglio europeo si basa sul volontarismo e su un’ambiguità utile in politica interna ai singoli governanti. Ma lascia irrisolti quasi tutti i contrasti. Ed espone una inquietante fragilità di fondo dell’Unione
Più che un accordo un compromesso, di quelli necessari a salvare la faccia in uno dei momenti più delicati della storia dell’Unione europea. L’intesa trovata tra i 28 Paesi membri può essere interpretata con lo stesso principio del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: a seconda di come lo si guardi, il documento trovato al termine di 13 ore di negoziazioni rappresenta una vittoria o una sconfitta per ognuno dei partecipanti.
Il testo finale lascia in sospeso diversi punti, ma soprattutto colpisce per l’assenza di impegni vincolanti. Nell’accordo spicca il concetto di volontarismo enunciato nel sesto paragrafo del testo, dove si afferma che i centri di accoglienza verranno installati dai Paesi membri solamente su “base volontaria”. In altre parole, gli hotspot saranno creati su discrezione dei governi europei.
Un punto che ha fin da subito sollevato perplessità sulla sua reale efficacia, mostrando divergenze che, a quanto pare, restano insanate. Il premier italiano Giuseppe Conte ha provato ad aggiustare il tiro, affermando che l‘Italia non sarà obbligata a creare nuovi centri, ma il presidente Macron ha chiarito subito le intenzioni dichiarando che le strutture verranno create «Nei Paesi di primo arrivo». La Francia «non aprirà dei centri di controllo dei migranti», ha poi aggiunto il capo di Stato francese al termine dei lavori.
A gettare altra benzina sul fuoco ci ha poi pensato il premier spagnolo, Pedro Sanchez: «Abbiamo già un dispositivo perfettamente rodato e funzionante. Abbiamo squadre di salvataggio marittimo, la guardia civil, accordi con le ong, centri per i richiedenti asilo e per i migranti», ha detto il premier, escludendo la possibilità di aprire nuove strutture sul territorio spagnolo.
Ambiguità anche sulle “piattaforme di sbarco regionali” da installare in Africa per contenere i flussi provenienti dalla regione subsahariana. La Commissione europea esaminerà la proposta, che tuttavia resta vaga visto che non vengono date precisazioni sui Paesi che dovranno accoglierle e sui fondi per sostenere l‘iniziativa. E restando in tema di finanziamenti, il documento prevede il trasferimento di 500 milioni di euro dal Fondo europeo di sviluppo al Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa. Una somma considerevole, composta però solamente da fondi comunitari, senza nessun contributo da parte degli Stati membri, che nel testo sono “invitati” a partecipare.
Ma il dato più significativo riguarda il peso politico che riveste l’accordo. Nei prossimi giorni i leader faranno a gara nel tirare la coperta dalla loro parte cercando di coprire il più possibile le debolezze interne. Conte era atteso al varco per il primo, vero test diplomatico del suo mandato. I lavori sulla questione migratoria sono iniziati con la minaccia da parte del leader italiano di porre il veto sul documento. Roma ha voluto fin da subito mostrare i muscoli lanciando un chiaro messaggio ai suoi interlocutori. Un atteggiamento deciso ma pericoloso, che ha mandato su tutte le furie il presidente francese Emmanuel Macron: «Non sai come funziona un Consiglio europeo! Ci sono delle regole, non ci si comporta in questo modo» ha tuonato il leader di Parigi. Dinnanzi all’inflessibilità del suo interlocutore, però, Macron è stato costretto a rimboccarsi le maniche e sedere al tavolo con il premier italiano per trovare un pre-accordo necessario a smussare gli angoli prima di dare il via alle discussioni.
Ancora una volta il capo dell’Eliseo si è trovato a fare da arbitro in una partita che negli ultimi giorni lo ha visto al centro di una serie di polemiche, soprattutto con il ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini. La linea di Parigi è sempre stata quella della “cooperazione” tra gli Stati membri, anche se il disimpegno francese ha sollevato alcuni dubbi sulle reali intenzioni di Macron. Una posizione ambigua, fortemente criticata anche dall’opposizione interna. Il presidente francese aveva bisogno di rafforzare la sua posizione all’interno dell’Unione, in un momento in cui l‘asse Parigi-Berlino risulta essere indebolita.
La cancelliera Merkel, infatti, deve fare i conti con il suo alleato, il ministro dell’Interno della Csu bavarese Seehofer, che minaccia di far crollare il governo proprio sulla questione dei movimenti secondari. Con l’accordo di oggi la Spagna e la Grecia hanno accettato di riprendersi i migranti che dopo essere passati sul loro territorio raggiungono la Germania. Un buon risultato per la cancelliera, che anche se non incassa l’appoggio dell’Italia può tirare un sospiro di sollievo accontentando il suo alleato.
Ma a cantar vittoria nel coro dei 28 c’è anche il gruppo di Visegrad, forse l’unico ad aver portato a casa il risultato sperato. «Siamo soddisfatti, perché i quattro di Visegrad hanno raccolto una grande vittoria», ha detto il premier ungherese Viktor Orban, mentre il premier ceco, Andrej Babis, ha sottolineato l’importanza di difendere i confini europei aiutando “finanziariamente o inviando rinforzi di polizia” a Paesi come Spagna, Grecia e Italia. La “base volontaria” evocata nel testo smarca Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia da ogni responsabilità.
Il vertice di questa settimana si è concluso senza vincitori né vinti, lasciando aperte una serie di questioni fondamentali che dovranno essere presto risolte. Tuttavia, quest’ultimo Consiglio europeo ha portato alla luce una fragilità di fondo che va ben al di là dei temi migratori e obbliga a una profonda riflessione sul futuro dell’Europa.
@DaniloCeccarell
Nessun impegno vincolante, il compromesso trovato al Consiglio europeo si basa sul volontarismo e su un’ambiguità utile in politica interna ai singoli governanti. Ma lascia irrisolti quasi tutti i contrasti. Ed espone una inquietante fragilità di fondo dell’Unione
Più che un accordo un compromesso, di quelli necessari a salvare la faccia in uno dei momenti più delicati della storia dell’Unione europea. L’intesa trovata tra i 28 Paesi membri può essere interpretata con lo stesso principio del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: a seconda di come lo si guardi, il documento trovato al termine di 13 ore di negoziazioni rappresenta una vittoria o una sconfitta per ognuno dei partecipanti.