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Uruguay: parte la “rivoluzione delle cose semplici” del presidente Orsi


Principale erede politico dell'ex presidente José "Pepe" Mujica, Yamandú Orsi ha vinto domenica scorsa il ballottaggio presidenziale. Si apre così il ritorno della sinistra del Frente Amplio al governo, ma in una versione ancor più moderata.

La sinistra torna al governo in Uruguay. Yamandú Orsi, 57enne professore di storia e candidato dell'ormai mitica coalizione della sinistra uruguaiana, sorta dall'iniziativa degli ex guerriglieri Tupamaros e altre espressioni della resistenza alla dittatura militare (1973-1985), il Frente Amplio, ha battuto al ballottaggio di domenica scorsa il centrodestra al governo. Orsi ha ottenuto circa 4 punti percentuali in più rispetto al conservatore Álvaro Delgado, un distacco che va analizzato soprattutto in chiave geografica: la destra ha infatti vinto nella maggior parte dei distretti del Paese, salvo la capitale Montevideo, Canelones – dove Orsi è stato sindaco per diversi anni – e dintorni. Ancora una volta, la radiografia elettorale mostra un Paese piuttosto diviso tra la metropoli, dove vive oltre il 50% della popolazione, e le regioni rurali.

Nel 2019, quando il conservatore Luis Lacalle Pou strappò il governo al Frente Amplio per soli 37.000 voti, la sinistra comprese la necessità di ridurre il rifiuto nei propri confronti maturato nelle regioni dell'"interior" e di rafforzare la presenza nel proprio bastione, Montevideo: un progetto a lungo termine che sembra aver dato i suoi frutti.

Gli scandali di corruzione che hanno minato la fiducia nel presidente Lacalle Pou, i magri risultati economici a favore dei settori più umili, in particolare tra i giovani, e la debolezza del candidato del centrodestra – scelto, in parte, per consentire a Lacalle Pou di ripresentarsi nel 2029 – hanno segnato una campagna elettorale definita da molti come "l'elezione più noiosa del mondo".

L'Uruguay si conferma infatti un'anomalia nella regione (e non solo): un sistema di partiti tradizionali forti, senza outsider che ne minaccino l'egemonia; una polarizzazione politica moderata dal dibattito istituzionale; sondaggi capaci di prevedere il risultato con precisione; e una transizione che si prevede ordinata e cordiale. La cultura politica uruguaiana, unica al mondo, è poco attraente per i mass media internazionali, ma una manna per gli investitori globali.

Infatti la stabilità politica non è l'unica peculiarità del Paese: anche l'economia uruguaiana si distingue dai risultati del resto dell'America Latina. Secondo un recente report, tra il 2005 e il 2020, il "paisito" ha aumentato la spesa sociale dal 18% al 25% del PIL, generando programmi che hanno beneficiato il 30% delle famiglie, senza compromettere i conti pubblici. Durante i tre governi consecutivi del Frente Amplio (2005-2019), la povertà è scesa dal 40% al 9%. Tuttavia, i rigidi limiti fiscali imposti dal governo di Lacalle Pou e gli effetti della pandemia hanno fatto risalire gli indicatori di povertà, disuguaglianza e disoccupazione dopo quasi due decenni di miglioramento.

Il nuovo presidente ha deciso di evitare la polarizzazione e, nel suo primo discorso da eletto, si è detto disposto a collaborare con tutte le forze politiche. Ne ha bisogno: sebbene il Frente Amplio abbia conquistato una risicata maggioranza al Senato con 16 seggi su 30, alla Camera dovrà negoziare di volta in volta con i diversi partiti per far approvare i propri progetti. È la prima volta, dalla vittoria di Tabaré Vázquez nel 2005, che la sinistra uruguaiana governa senza maggioranza parlamentare.

L'opposizione, composta dal Partito Nazionale (PN), il Partito Colorado (PC), il Partito Indipendente (PI), l'estrema destra di Cabildo Aperto (CA) e il Partito Costituzionale Ambientalista (PCA), conta 51 deputati su 99. Tuttavia, la vocazione al dialogo di Orsi non è solo una necessità politica. Già durante la campagna elettorale, all'interno del Frente Amplio si era diffuso il nomignolo di "TibiOrsi" (TiepidOrsi) per indicare il moderato spostamento del candidato verso il centro.

È in questo contesto che nasce la "rivoluzione delle cose semplici", un motto che riflette la volontà del nuovo governo di migliorare la vita quotidiana senza ambire a cambiamenti radicali. Il Movimento per la Partecipazione Popolare 609 (MPP 609), fondato da Mujica e di cui Orsi fa parte, ha definito questa rivoluzione così: "Come nella fisica e nella chimica, piccoli cambiamenti generano trasformazioni radicali, soprattutto nella vita umana. Quando un paio di metri quadrati, i pasti quotidiani e i vestiti puliti possono trasformare la realtà di alcuni, sommata a quella di altri, producono un cambiamento radicale, così come una goccia, pur essendo poca, con un'altra si trasforma in pioggia".

Si citano i casi di Finlandia, Singapore, Giappone e Corea (tutti modelli poco comuni nella retorica elettorale tipica della sinistra latinoamericana) come esempi di paesi che a partire dall'attenzione alle "cose semplici" hanno fatto grandi passi in avanti: "Paesi che a metà del secolo scorso erano sottosviluppati e che oggi sono tra i più ricchi del mondo. Sebbene tutti abbiano modelli di sviluppo diversi, si possono dare alcuni punti in comune: tutti hanno investito in scienza, tecnologia, infrastrutture pubbliche e istruzione".

Il modello di Orsi prevede un'economia di mercato aperta agli investimenti internazionali, con grandi incentivi per le aziende straniere, uno Stato sociale forte, aziende pubbliche strategiche e ammortizzatori sociali per i più deboli. Tuttavia, questo modello in America Latina spesso contrasta con la protezione ambientale e promuove un sistema produttivo incentrato sull'esportazione di materie prime, spesso dominato da aziende straniere, penalizzando l'industrializzazione endogena. Queste contraddizioni rendono Orsi un leader scomodo per l'ala sinistra del Frente Amplio, ma vincente. La cultura politica uruguaiana si distingue per un voto basato sui programmi di partito, con candidati controllati dalle strutture politiche.

La moderazione del nuovo governo si riflette nella scelta di funzionari come il futuro ministro dell'Economia, Gabriel Oddone, ex socialista con una visione favorevole al libero mercato, poco apprezzato dai settori più radicali della coalizione.

Infine, restano i nodi geopolitici da sciogliere: la relazione col Brasile, apparentemente buona; quella con l'Argentina di Milei; il futuro del Mercosur, messo in discussione dalle liberalizzazioni economiche di Lacalle Pou; e il dialogo con la Cina per un accordo di libero commercio, osteggiato dalle norme del Mercosur e, probabilmente, dagli Stati Uniti di Donald Trump. Insomma, nonostante le intenzioni di Orsi, il suo governo non sembra affatto avviarsi su un cammino fatto di "cose semplici".

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