Le relazioni tra gli Stati Uniti e le piccole nazioni insulari in Oceania, le Marshall, Palau e la Micronesia, sono regolate da un Trattato di libera associazione, che però, al momento, è in una fase di stallo
Il segretario di Stato degli Stati Uniti Antony Blinken è in viaggio nel Pacifico per incontrare gli alleati e rassicurarli del fatto che, nonostante la crisi ucraina, le priorità americane non sono cambiate. L’attenzione mediatica si concentra comprensibilmente sul Quad, il foro informale sulla sicurezza con Australia, Giappone e India: l’incontro tra i vari Ministri degli Esteri ci sarà oggi. Ma altrettanto cruciali per l’America sono i rapporti con tre piccole nazioni insulari in Oceania: la Repubblica delle isole Marshall, gli Stati federati di Micronesia e la Repubblica di Palau.
Valore strategico e stallo negoziale
Considerato il nuovo contesto regionale di competizione con la Cina, il valore strategico dei tre arcipelaghi per gli Stati Uniti, a dispetto delle dimensioni territoriali, è enorme. Innanzitutto perché i loro confini marittimi coprono grosse porzioni di Oceano Pacifico. E poi perché Washington possiede in due di loro – a Palau e nelle Marshall – delle basi utili al contenimento di Pechino. Per di più, il dipartimento della Difesa americano sta valutando un incremento della presenza militare.
Le relazioni tra gli Stati Uniti, le Marshall, Palau e la Micronesia sono regolate da un Trattato di libera associazione (COFA, secondo l’acronimo inglese) che è vicino alla scadenza, nel 2023-2024. Il problema è che, invece che trovarsi in stato avanzato come ci si aspetterebbe, i negoziati per il rinnovo dell’accordo sono rimasti indietro. Le trattative con le isole Marshall sono ferme addirittura da dicembre 2020. Nonostante la retorica sull’Indo-Pacifico, l’amministrazione di Joe Biden non ha ancora nominato un inviato e il dialogo tra Washington e Majuro è pertanto in stallo.
I test nucleari nelle Marshall
Come nota il Diplomat, il ritardo è figlio dell’approccio frammentato tra le varie branche del governo americano (i dipartimenti di Stato, Energia e Interni), che a sua volta riflette la complessità dei legami tra gli Stati Uniti e le tre nazioni oceaniche, che risalgono alla Seconda guerra mondiale ma che si sono sviluppati soprattutto dopo.
Nel luglio del 1946, nemmeno un anno dopo la sconfitta del Giappone, l’America ha infatti dato inizio al suo programma di test di armi atomiche nell’atollo di Bikini, parte delle Marshall. Dal 1946 al 1958 sono state condotte 67 sperimentazioni; la più famosa è stata Castle Bravo, nel 1954, con l’esplosione dell’ordigno più grande mai testato da Washington, mille volte più potente della bomba che colpì Hiroshima. I test nucleari hanno impattato gli ecosistemi insulari e la demografia delle Marshall, sempre meno popolate – 39.300 persone oggi, circa 53.000 dieci anni prima – per via dell’emigrazione, rivolta spesso proprio verso gli Stati Uniti.
I cambiamenti climatici, Taiwan, la Cina
Il Trattato di libera associazione garantisce agli Stati Uniti un accesso militare esclusivo ai territori e alle vie d’acqua di Marshall, Palau e Micronesia; in cambio, riconosce loro assistenza economica.
L’aspetto economico è fondamentale per Washington, se vuole continuare a garantirsi l’alleanza di Majuro, Ngerulmud e Palikir: hanno tutte e tre bisogno di sostegno finanziario per reagire alla crisi del coronavirus e per garantirsi una maggiore resilienza ai cambiamenti climatici, che le minacciano sia nella forma di innalzamento dei mari sia – nel caso di Marshall e Micronesia – di periodi di siccità.
Le isole Marshall e Palau rientrano peraltro tra le poche, e sempre meno, nazioni che riconoscono diplomaticamente Taiwan. Non è però il caso della Micronesia, che ha rapporti formali con la Cina e vi si sta avvicinando (si era parlato la scorsa estate di un progetto di cavo sottomarino di Internet in cui compariva la cinese Huawei Marine Networks). Dei tre arcipelaghi oceanici, la Micronesia è comunque quello meno importante per l’America, vista l’assenza di strutture militari. Ma la penetrazione di Pechino nel Pacifico, sia infrastrutturale che politica – diverse nazioni, come Kiribati, hanno tagliato le relazioni con Taipei –, impone a Washington di prestare la massima attenzione a un’area critica tanto per la proiezione geopolitica quanto per la sicurezza nazionale.
Considerato il nuovo contesto regionale di competizione con la Cina, il valore strategico dei tre arcipelaghi per gli Stati Uniti, a dispetto delle dimensioni territoriali, è enorme. Innanzitutto perché i loro confini marittimi coprono grosse porzioni di Oceano Pacifico. E poi perché Washington possiede in due di loro – a Palau e nelle Marshall – delle basi utili al contenimento di Pechino. Per di più, il dipartimento della Difesa americano sta valutando un incremento della presenza militare.