Usa, Cina, Russia e Iran nella campagna elettorale venezuelana
A tre settimane dalle presidenziali in Venezuela, Washington riapre il dialogo col governo Maduro. Che però avverte: "Cina, Iran e Russia pronte a difenderci".
Venerdì scorso è iniziata ufficialmente la corsa alle presidenziali del 28 luglio in Venezuela, in cui l'attuale presidente Nicolás Maduro dovrà affrontare il candidato dell'opposizione riunita nella Plataforma Unida Democrática, Edmundo González Urrutia. Sebbene tutti i sondaggi prevedano un'ampia vittoria di Urrutia, il chavismo al governo assicura di avere i numeri per poter garantire un terzo mandato consecutivo per Maduro, e dunque la continuità del progetto bolivariano inaugurato da Hugo Chávez nel 1998.
Le preoccupazioni a livello internazionale girano oggi intorno a due aspetti fondamentali: le garanzie istituzionali per la realizzazione di elezioni trasparenti, e l'accettazione del risultato finale da parte di entrambe le parti. Nel primo aspetto ci sono stati passi avanti significativi ma anche gravi ostacoli, specialmente per le forze di opposizione. Durante il 2023 il governo Maduro ha accettato la celebrazione di una serie di dialoghi con l'opposizione alle Barbados, con l'appoggio di Norvegia, Cile ed altri paesi latinoamericani. Gli Accordi di Barbados prevedevano la realizzazione di elezioni presidenziali trasparenti, garantendo la presenza di osservatori internazionali e la candidatura dei principali leader dell'opposizione. In cambio, gli Usa si sono impegnati ad alleviare le sanzioni economiche che pesano sul paese sudamericano dal 2019. Ma nel febbraio del 2024 la principale candidata della destra, Corina Machado, è stata esclusa dalla corsa alla presidenza dal Consiglio Nazionale Elettorale a causa di una condanna per riciclaggio e corruzione. Washington ha deciso allora di ripristinare le sanzioni contro il Venezuela e la Plataforma Unida Democrática, dopo una serie di difficili negoziazioni, ha confermato la candidatura di Urrutia al posto di Machado.
Sebbene esistano denunce presentate dall'opposizione, e diversi organismi per i diritti umani abbiano espresso la loro preoccupazione intorno alle garanzie democratiche di cui gode la popolazione in vista del voto, in Venezuela si è giunti ormai al consenso secondo cui il prossimo 28 luglio sarà un giorno chiave per il futuro della nazione, e metterne in dubbio la legalità serve a poco. Anche il leader dell’opposizione esiliato in Europa, Leopoldo López, ha sostenuto la legittimità delle elezioni di fine mese assicurando che la Plataforma Unida Democrática vincerà con una valanga di voti.
L'altro interrogativo, quello dell'accettazione dei risultati, è quello che oggi genera maggior timore. Entrambi i fronti assicurano che una sconfitta solo potrebbe essere frutto di brogli promossi dall'avversario. Urrutia è stato l'unico dei dieci candidati alla presidenza a rifiutarsi di firmare un compromesso pubblico, promosso da Maduro per l'accettazione dei risultati la sera del 28 luglio. Ma a livello internazionale ciò che più preoccupa è il clima in cui potrebbe essere gestita una possibile transizione in caso di vittoria dell'opposizione. È probabilmente per questo che, settimana scorsa, la Casa Bianca ha promosso un incontro virtuale coi rappresentanti del governo venezuelano per risolvere "questioni in sospeso". L'incontro è stato promosso dal governo del Qatar, che nel dicembre scorso aveva organizzato un importante dialogo a Doha in cui Usa e Caracas avevano concordato lo scambio di prigionieri e l'allentamento delle tensioni bilaterali. Sebbene il contenuto del dialogo della settimana scorsa non sia stato reso pubblico, le delegazioni assicurano che si tratta di un passo avanti per il sostenimento di una relazione "rispettosa e costruttiva".
L'annuncio, fatto alla vigilia dell'avvio della campagna elettorale, ha chiaramente favorito il governo di Maduro, sebbene abbia anche raccolto il beneplacito dell'opposizione. Il governo può mostrare così il suo lato più dialoghista di fronte ad un elettorato evidentemente stanco delle controversie: sebbene l'opinione pubblica venezuelana sia estremamente critica verso la decisione degli Usa di imporre durissime sanzioni economiche che ricadono direttamente sulle condizioni di vita dei venezuelani, la grande maggioranza crede anche che sia necessario il dialogo per risolvere i problemi economici del paese.
"Sanno già chi vincerà, e io gli renderò le cose più facili", ha detto Maduro durante l'annuncio dell'inizio delle conversazioni. "Sono un uomo di dialogo, e voglio che attraverso il dialogo si rispetti il Venezuela, voglio far rispettare il nostro paese, la sua democrazia, il suo popolo".
Per Caracas però questa distensione significa anche qualcosa in più. Maduro sa bene che, in vista delle elezioni di novembre negli Stati Uniti, difficilmente troverà un interlocutore così flessibile come il presidente Joe Biden in futuro. Per il Venezuela risulta imperativo raggiungere accordi economici mentre Biden è ancora alla Casa Bianca, o almeno ancora il candidato Dem. Per Washington la ripresa del dialogo permette di mettere le mani avanti in vista della possibile transizione di governo, e soprattutto dare continuità alla ripresa dell'importazione di petrolio dal Venezuela. Nel primo quadrimestre del 2024 infatti le esportazioni di greggio venezuelano verso gli Usa sono cresciute del 49% rispetto al 2023, secondo dati della Energy Information Administration (EIA). Caracas è tornata nella top 10 dei paesi fornitori di petrolio per gli Stati Uniti dopo il blocco imposto dall'amministrazione di Donald Trump, ed oggi invia in media 209.000 barili di greggio al giorno. Un commercio che favorisce chiaramente Washington, che può contare su una fonte alternativa di approvvigionamento nel pieno delle turbolenze in Medio Oriente e la guerra in Ucraina. Ma di cui si avvantaggia soprattutto Caracas: la ripresa del settore ha permesso all'azienda nazionale Petróleos de Venezuela (PDVSA) di riparare e modernizzare le strutture rimaste obsolete dopo un decennio di profonda crisi economica, e garantire l'arrivo di valuta straniera vitale per l'economia venezuelana.
In ogni caso Maduro non rinuncia al suo lato più provocatorio, caro ai suoi fedelissimi. "Abbiamo la nostra arma segreta, il popolo in armi, la milizia nazionale bolivariana e i suoi quattro milioni di combattenti, e fortunatamente abbiamo il sostegno di Paesi con tecnologia all'avanguardia nel combattimento con droni, anti-droni, come la nostra sorella Russia, la Cina, l'Iran, che nessuno commetta un torto contro il Venezuela", ha avvertito Maduro durante le celebrazioni per il 213º anniversario dell'Indipendenza.
Alla sfilata militare hanno partecipato anche alcuni membri dell'esercito russo, col quale Caracas mantiene stretti legami e riceve assistenza militare. Proprio in questi giorni, due importanti navi da guerra russe sono arrivate al porto della Guajira dopo una serie di esercitazioni congiunte realizzate a Cuba tra maggio e giugno.
Le elezioni del 28 luglio si presentano dunque come un vero e proprio spartiacque per la storia recente del Venezuela. Ma coinvolgono anche altri interessi geopolitici, specialmente quelli degli Stati Uniti, preoccupati per la presenza di rivali sistemici nel proprio continente, e per il futuro delle risorse venezuelane.