Lungo viaggio in Asia di Blinken dopo il ritiro di Biden e in vista di un possibile ritorno di Trump. Il centro del viaggio di Blinken è stato il confronto di sabato 27 luglio con Wang Yi, ministro degli Esteri della Cina e capo della diplomazia del Partito comunista.
Undici giorni. È la durata del nuovo, ennesimo, viaggio in Asia orientale di Antony Blinken. Il segretario di Stato americano è partito per la regione lo scorso 24 luglio e vi rimarrà fino al 3 agosto con un obiettivo: rassicurare i partner e gli alleati regionali della tenuta dell’impegno degli Stati Uniti. Un’esigenza resa impellente dall’annuncio del ritiro di Joe Biden dalla corsa per le presidenziali e dal potenziale ritorno di Donald Trump, che ha sì nel mirino la Cina ma che nel suo primo mandato aveva molto allentato la rete di alleanze statunitensi in Asia. L’amministrazione Biden le ha invece rafforzate con una serie di mosse: ha lanciato l’AUKUS, il patto per sviluppare in modo congiunto sottomarini a propulsione nucleare con Regno Unito e Australia, allo scopo di schierarli nelle acque del Pacifico. Ha rivitalizzato ed esteso l’alleanza con il Giappone, ha ampliato gli accordi militari con Corea del Sud e Filippine, che durante il primo mandato di Trump sembravano traballare. Ma poi, anche e soprattutto attraverso il lavoro di Blinken, l’amministrazione Biden ha favorito il disgelo tra Giappone e Corea del Sud, certificato dal summit di Camp David dell’agosto 2023 col premier Fumio Kishida e il presidente Yoon Suk-yeol, ha stimolato un nuovo asse tra Giappone e Filippine col recente summit di Washington con lo stesso Kishida e il presidente Ferdinand Marcos Junior. Giappone e Corea del Sud sono stati inseriti in questo modo negli ingranaggi di partnership della Nato, con la quale entrambi i Paesi hanno siglato documenti di partnership nel 2023.
Il centro gravitazionale del viaggio di Blinken è stato però il confronto di sabato 27 luglio con Wang Yi, ministro degli Esteri della Cina e capo della diplomazia del Partito comunista. I media di Pechino hanno presentato l’incontro un po’ come “l’ultimo ballo” del segretario di Stato, di cui malignamente si ricorda l’approssimarsi della “data di scadenza” e se ne mettono dunque in dubbio affidabilità e credibilità, visto l’annuncio del ritiro di Biden dalle elezioni. Il confronto si è svolto a Vientiane, capitale del Laos, a margine della ministeriale degli Esteri dell’ASEAN, l’associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico.
Sono emersi con ancora maggiore evidenza rispetto al passato i tre temi davvero divisivi nelle relazioni politiche e strategiche tra le due potenze. Il primo è ovviamente Taiwan. Blinken ha espresso preoccupazione per quelle che ha definito “azioni provocatorie intraprese di recente, tra cui un blocco navale simulato in occasione dell’insediamento” del presidente taiwanese Lai Ching-te. La risposta di Wang è stata secca: “Taiwan fa parte della Cina, non è mai stato e mai sarà un Paese indipendente”, ribadendo che Pechino “contrasterà qualsiasi provocazione delle forze per l’indipendenza di Taiwan”, affermando che il governo cinese sta lavorando per raggiungere la “riunificazione completa”. Nessuno spazio negoziale, come già chiaro ed evidente, ma al massimo un accordo di essere in disaccordo. Possibili nei prossimi mesi nuove turbolenze in corrispondenza di un probabile transito negli Usa da parte dello stesso Lai nell’ambito di un potenziale viaggio in America latina.
Il secondo fronte è la guerra in Ucraina. Blinken ha accusato la Cina di fornire sostegno alla base industriale russa e ha avvertito che “se non agirà per affrontare questa minaccia alla sicurezza europea, gli Stati Uniti continueranno a prendere misure appropriate in tal senso”. Riferendosi a un possibile ampliamento delle sanzioni. La risposta di Wang parte proprio denunciando l’uso “unilaterale” delle sanzioni e chiarendo che Pechino non accetterà “pressioni e ricatti”. Complice l’incontro con l’omologo ucraino Dmytro Kuleba, nella sua prima visita in Cina dall’inizio della guerra, Wang ha sostenuto che la posizione di Pechino sul conflitto è “giusta e trasparente”, mentre gli Usa “gettano benzina sul fuoco”. Stessa accusa rivolta a Washington in merito alle dispute nel mar Cinese meridionale, su cui Blinken era intervenuto esplicitamente in sessione coi colleghi dei Paesi del Sud-Est asiatico poche ore prima sempre a Vientiane. Il segretario di Stato ha parlato di “azioni illegali” e di escalation, soprattutto in riferimento ai ripetuti incidenti nei pressi dell’atollo di Second Thomas tra le navi della guardia costiera cinese e quelle filippine, su cui è stato comunque siglato la scorsa settimana un fragile accordo di de-escalation.
Dopo il confronto con Wang, definito “franco e costruttivo” e servito più che altro a ribadire le rispettive posizioni sui temi divisivi, Blinken prosegue il suo viaggio con un calendario molto fitto e teso a rafforzare ulteriormente la tela di sicurezza asiatica, che gli alleati sperano regga anche con un potenziale Trump bis. Domenica 28 luglio, ha partecipato a una ministeriale 2+2 con il segretario della Difesa Lloyd Austin e i due omologhi giapponesi a Tokyo, dopo che il capo del Pentagono aveva già siglato un memorandum di intesa sulla sicurezza con Giappone e Corea del Sud riguardante il programma missilistico della Corea del Nord. Washington e Tokyo hanno concordato di rafforzare ulteriormente la cooperazione militare, migliorando il comando e il controllo delle forze statunitensi nel Paese dell’Asia orientale e rafforzando la produzione di missili con licenza americana, descrivendo la crescente minaccia della Cina come “la più grande sfida strategica”.
Lunedì 29 luglio, Blinken incontra sempre a Tokyo i ministri degli Esteri di Australia, India, Giappone e Stati Uniti per l’ottava ministeriale del Quad per discutere di sicurezza economica, informatica e marittima nell’Indo-Pacifico. Martedì 30 luglio, Blinken si sposta invece a Manila per la ministeriale 2+2 con le Filippine. Il segretario di Stato è invece già stato anche in Vietnam, dove ha portato gli omaggi dell’amministrazione per la scomparsa di Nguyen Phu Trong, segretario generale del Partito comunista vietnamita scomparso una decina di giorni fa. Le aziende della difesa americana stanno per la prima volta negoziando la vendita di dispositivi militari al vecchio rivale Hanoi.