L’amministrazione di Joe Biden ha esposto la sua visione generale per lo spazio, dichiarando che bisogna “esigere responsabilità da tutte le nazioni che vi viaggiano”. Un chiaro riferimento alla Russia e alla Cina
Mercoledì l’amministrazione di Joe Biden ha esposto la sua visione generale per lo spazio, storico teatro di scontro tra le potenze ma anche – e sempre più – occasione per nuovi business nonché acceleratore della competitività economica e industriale.
La minaccia degli irresponsabili
La parola chiave, quella sulla quale è stata posta più enfasi dagli Stati Uniti, è “responsabilità”. La vicepresidente Kamala Harris, che guida il Consiglio nazionale dello spazio – ovvero l’organismo pluridisciplinare dedicato al dominio spaziale, interno all’ufficio esecutivo della presidenza –, ha detto che servono “regole chiare per l’uso responsabile dello spazio”. Ha accusato la Russia di essere stata “irresponsabile” con il recente test di un’arma antisatellitare, che ha prodotto numerosi rottami e messo in pericolo gli astronauti della Stazione spaziale internazionale. E, ancora, ha dichiarato che bisogna “esigere responsabilità da tutte le nazioni che viaggiano nello spazio”.
Oltre alla Russia, quello di Harris è un attacco anche alla Cina, altra grande avversaria americana. Washington può sfruttare il caso internazionale del rientro incontrollato nell’atmosfera dei frammenti del lanciatore cinese CZ-5B, a maggio, per raccogliere nuove firme nel mondo (quella italiana c’è già) agli accordi di Artemis, che prevedono l’impegno comune alla riduzione dei detriti spaziali.
Il ritorno del Consiglio
Dopo una ventina d’anni di inattività, il Consiglio nazionale dello spazio ha ritrovato la sua centralità nel 2017, sotto Donald Trump, che nel 2019 ha anche creato una forza armata dedicata al presidio cosmico: la Space Force.
Quelle di Harris di mercoledì sono state le sue prime dichiarazioni sullo spazio in veste di vicepresidente. Non si è limitata alle questioni militari, ma ha menzionato anche le attività civili e commerciali: sono infatti diverse le aziende americane – SpaceX di Elon Musk, Blue Origin di Jeff Bezos, Virgin Galactic di Richard Branson – attive non solo nel nascente mercato del turismo spaziale ma anche come contrattiste per la Nasa per portare in orbita gli astronauti.
Il discorso di Harris è stato affiancato dalla pubblicazione di un framework, un documento contenente le priorità sullo spazio degli Stati Uniti, e dalla firma di un ordine esecutivo di Biden sul Consiglio nazionale. Rispetto a quella di Trump, l’attuale amministrazione vuole espandere la portata di quest’organo e diversificare la natura dei suoi membri: generalmente il Consiglio si è concentrato sulla tutela della sicurezza nazionale, sull’esplorazione spaziale e sul commercio; adesso invece si aprirà anche alle segreterie del Lavoro, dell’Agricoltura, degli Interni e del Lavoro, oltre al consigliere per il clima.
L’ampliamento delle competenze del Consiglio riflette la crescente importanza dello spazio: non solo sicurezza, proiezione di potere e connettività, ma anche innovazione agricola (il precision farming), monitoraggio delle infrastrutture terrestri, osservazione dei cambiamenti climatici e nuove opportunità di lavoro.
Guerre (ombra) stellari
Attraverso la definizione di norme di comportamento nello spazio quanto più condivise tra i Governi, gli Stati Uniti puntano a isolare Cina e Russia, a ostacolarne la proiezione verticale e a garantire la sicurezza del proprio territorio. Si parla sempre più di una nuova “corsa alle armi”, in riferimento soprattutto ai missili ipersonici, che viaggiano per l’orbita a velocissima altissime, invalidando le difese contraeree convenzionali.
Al di là di questi nuovi dispositivi dalle capacità straordinarie, che attirano l’attenzione di stampa e pubblico, nello spazio – come ha scritto Josh Rogin sul Washington Post – è in corso una “guerra ombra” ben più silenziosa, e spesso ignorata, tra Washington, Mosca e Pechino.
Gli avversari dell’America, sostiene Rogin, effettuano costantemente delle manovre contro i satelliti statunitensi dalla natura ambigua, che le pone a metà tra operazioni di intelligence e atti di guerra. Il generale David Thompson della Space Force ha detto all’analista che si tratta di “attacchi reversibili” (cioè che non provocano danni permanenti) ai satelliti governativi degli Stati Uniti, e che avvengono “ogni singolo giorno”.
Per queste molestie, spiega il generale Thompson, i cinesi e i russi utilizzano mezzi non cinetici come laser, dispositivi che interferiscono con le trasmissioni e cyberattacchi. Entrambi i Paesi stanno però lavorando allo sviluppo di satelliti in grado di colpire altri corpi artificiali: Pechino, ad esempio, pare stia sviluppando un apparecchio dotato di braccia robotiche e uncini per afferrare e artigliare i satelliti.
Thompson, poi, lancia un allarme: considerato il ritmo al quale la Cina sta mandando in orbita i suoi satelliti, doppio rispetto a quello americano, gli Stati Uniti rischiano di vedersi sorpassati per capacità spaziali nel giro di qualche anno. “Siamo ancora i migliori al mondo”, rassicura, “ma dovremmo preoccuparci entro la fine di questo decennio, se non ci adattiamo”.
Le dichiarazioni di David Thompson si sommano a quelle di altri membri di spicco delle forze armate statunitensi, che stanno esprimendo preoccupazione per i progressi bellici (innegabili) della Cina e per l’imminente perdita (presunta) della superiorità dell’America. Non è detto però che lo pensino veramente, ossia che il sorpasso sia così vicino come vogliono far credere: trattandosi di frasi pubbliche, l’apparato militare di Washington potrebbe anche stare volontariamente calcando sulla minaccia cinese per convincere la politica ad aumentare le spese per la difesa e gli alleati degli Stati Uniti a schierarsi contro Pechino.