Le numerose riforme messe in campo dal nuovo Capo dello Stato Shavkat Mirziyoyev stanno incidendo positivamente sul sistema politico e sociale uzbeko
Le procedure amministrative che un Paese richiede di rispettare ai cittadini stranieri intenzionati a varcarne la frontiera sono una cartina di tornasole abbastanza affidabile del suo grado di apertura verso l’esterno. L’Uzbekistan, storicamente particolarmente rigido da questo punto di vista, il 1° febbraio scorso ha fatto cadere l’obbligo di visto d’ingresso per i viaggiatori (a prescindere dalla natura del viaggio) provenienti da 45 Paesi, tra cui l’Italia. Questa novità, molto significativa anche dal mero punto di vista simbolico, non ha però rappresentato una sorpresa. Essa, infatti, incarna solamente una delle ultime tappe del percorso di graduale apertura verso l’esterno inaugurato da Shavkat Mirziyoyev, Presidente dell’Uzbekistan dalla fine del 2016.
Mirziyoyev è salito al potere dopo la scomparsa di Islam Karimov, leader che, dal crollo sovietico e per 25 anni, impose ai propri cittadini una realtà fatta di repressione interna e isolazionismo regionale. La lunga militanza di Mirziyoyev nel regime guidato da Karimov – come Primo Ministro dal 2003 al 2016 – e il sostegno ottenuto da parte della nomenklatura uzbeca nella sua ascesa al potere, facevano presupporre la continuazione della precedente linea politica. A sorpresa il nuovo Presidente ha in realtà iniziato con decisione a impostare la propria strategia cercando, da un lato, di allentare il controllo dello Stato sulla sfera economica e, dall’altro, di potenziare le relazioni politiche ed economiche dell’Uzbekistan, innanzitutto quelle intrattenute con le altre repubbliche centro asiatiche.
Mirziyoyev è alla guida di un Paese di 32 milioni di abitanti con un’età media di poco più di 30 anni. L’Uzbekistan rappresenta inoltre il cuore geografico dell’Asia Centrale – confinando con Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Afghanistan. Quella centro asiatica è un’area, fin dal dissolvimento sovietico – e spesso proprio a causa dell’eredità politica del Cremlino nell’area –, caratterizzata da diffidenze reciproche tra gli attori regionali a causa di tensioni legate a confini, minoranze etniche e alla gestione di risorse scarse, su tutte quelle idriche.
Per quanto l’obiettivo ultimo del leader uzbeco sia garantire il mantenimento della stabilità interna, elemento che lo accomuna a Karimov, molto diversa è la via intrapresa: progressive aperture in termini economico/commerciali e politici laddove in precedenza vi erano repressione, asfissiante presenza dello Stato e assoluto isolazionismo regionale. Gli esempi pratici di questo nuovo corso sono numerosi.
Sul fronte economico, Mirziyoyev sta cercando di rendere più appetibile il proprio Paese per attrarre crescenti flussi di investimenti esteri. Vanno in questa direzione misure come la svalutazione della valuta nazionale (il Som) di quasi il 100% rispetto al dollaro, l’introduzione di meccanismi di mercato per determinarne il tasso di cambio, il lancio di nuove zone economiche speciali e l’invito a organizzazioni internazionali come la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo a tornare a operare nel Paese. Lo stesso si può dire per il debutto uzbeco sui mercati internazionali con il lancio, avvenuto a febbraio, della prima emissione obbligazionaria governativa del Paese, per un totale di 1 miliardo di dollari.
Mirziyoyev ha favorito un allentamento anche dal punto di vista del controllo sulla realtà sociale e politica domestica. Per quanto non siano state ancora introdotte significative riforme di natura strutturale, decisioni come la scarcerazione di decine di prigionieri politici di alto profilo, il lancio di una campagna governativa per eliminare la pratica del lavoro forzato e, su tutti, la rimozione dalla sua posizione di Rustam Inoyatov, storico e temutissimo capo dei Servizi di Sicurezza Interni, sono sicuramente da accogliere positivamente. I media locali vengono inoltre sottoposti a un minore controllo e verso la sfera religiosa viene adottato un atteggiamento più tollerante, soprattutto con riferimento alla dimensione dell’istruzione, dopo anni in cui la costante repressione di qualsiasi forma di pratica dell’Islam (di gran lunga il credo più diffuso nel Paese) era stato tra i fattori a favorire il diffondersi di concezioni estremiste.
È però sul fronte della politica estera che si stanno registrando le maggiori sorprese. Dal punto di vista dei rapporti regionali, in varie occasioni vi sono stati incontri con i leader degli altri –stan centro asiatici. Il dialogo ha portato alla conclusione di importanti accordi commerciali, militari, legati alla sfera della connettività e politici. Nel settembre 2017, ad esempio, Mirziyoyev si è recato in Kirghizistan, Paese che Karimov aveva visitato l’ultima volta nel 2000. Tra gli importanti accordi stretti, merita menzione in particolare l’intesa siglata sulla demarcazione di oltre 1.170 km di confine contestato. Altrettanto significativo è il dialogo con il Tagikistan: in questo caso, a essere al centro della distensione è stata la potenzialmente esplosiva questione idrica. Al punto che alla fine dello scorso anno è stata parzialmente avviata l’operatività della diga Rogun, utilizzata dal Tagikistan per produrre energia elettrica: si tratta di un’opera che, a causa delle preoccupazioni uzbeche circa l’impatto che essa avrebbe potuto avere sul soddisfacimento del fabbisogno idrico interno, in passato ha fatto paventare anche lo scoppio di un vero e proprio conflitto.
Anche a livello internazionale il dinamismo impresso alla politica estera del Paese dal leader uzbeco sta avendo riscontri positivi. Mirziyoyev è consapevole, da un lato, della necessità di non incrinare la relazione con nessuna delle grandi potenze interessate a quanto si muove in Asia Centrale – Russia, Cina e Stati Uniti e Unione Europea – e, dall’altro, delle possibili positive ricadute geopolitiche di un atteggiamento cooperativo. Sta agendo quindi di conseguenza, pur mantenendo intatti i capisaldi della propria strategia, come la non adesione a forme multilaterali di cooperazione politica: così ponendosi come un interlocutore di alto profilo su tematiche legate alla sfera della sicurezza (anche rispetto al processo di pacificazione dell’Afghanistan), a quella economica e a quella politica.
Anche se alcuni osservatori si sono spinti a parlare di una “primavera uzbeca”, le aperture favorite dalla salita al potere di Mirziyoyev al momento paiono ancora fortemente controllate dall’alto. Sicuramente risultati positivi sono stati registrati, si pensi alla sfera economica: nel 2018, secondo fonti governative uzbeche, gli scambi commerciali del Paese con i vicini regionali sono aumentati del 54% rispetto all’anno precedente e l’Uzbekistan ha scalato la classifica della Banca Mondiale relativa alla facilità di fare impresa, arrivando in 74esima posizione (nel 2015 Tashkent occupava il 141° posto). Imprescindibile sarà però valutare la tendenza nel medio-lungo periodo, per verificare se le riforme saranno di natura strutturale o solamente temporanee. Il modello a essere replicato, infatti, potrebbe essere quello imposto in Kazakistan da Nazarbayev (dimessosi dalla carica di Presidente a metà marzo), a base di modernizzazione economica ma stretto controllo sulla sfera politica. Proprio quest’ultimo paese, inoltre, qualora sposasse gli sforzi uzbechi verso una maggiore cooperazione regionale, potrebbe dimostrarsi decisivo per dare natura strutturale anche al neonato nuovo corso nell’area, dato il suo peso politico ed economico. A ringraziare sarebbero i cittadini di tutti e cinque gli –stan, destinati a passare dagli attuali 66 milioni circa a oltre 90 milioni entro il 2040.
@davidecancarini
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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Le numerose riforme messe in campo dal nuovo Capo dello Stato Shavkat Mirziyoyev stanno incidendo positivamente sul sistema politico e sociale uzbeko