Vacilla il “muro di Dublino”
Possono chiedere asilo solo nel paese di arrivo dove, se partono, vengono rispediti. Una legge opposta ai valori base dell’Unione.
Possono chiedere asilo solo nel paese di arrivo dove, se partono, vengono rispediti. Una legge opposta ai valori base dell’Unione.
Sonopassati 65 anni da quel 9 maggio del 1950 quando l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman, con la sua dichiarazione sulla Comunità del carbone e dell’acciaio, gettava le fondamenta per la nuova Comunità europea.
Tra le priorità dei paesi usciti distrutti dalla guerra veniva indicata (e non era, allora, affatto scontato) la necessità di promuovere lo sviluppo del continente africano. Sessantacinque anni che sembrano essere passati invano con gli Stati membri (soprattutto Regno Unito e Francia) impegnati solo a chiudere la stagione della decolonizzazione e riassorbire nella maniera meno traumatica le ondate crescenti di sans-papiers.
Carestie e guerre sbagliate insieme all’acuirsi di uno scontro di civiltà che ha prodotto, con gli errori dell’Occidente, il dilagare dello Stato islamico Isis, hanno fatto il resto trasformando il Canale di Sicilia nella tomba senza fiori per migliaia di migranti in fuga.
In quello stretto braccio di mare pattugliato con grandissimo impegno e professionalità dalla Marina italiana dopo la tragedia di Lampedusa dell’ottobre 2013 con Mare nostrum e poi, negli ultimi mesi, con i dispositivi più leggeri della missione Ue Triton, non è messa in gioco solo l’efficacia di una politica migratoria dell’Ue. Inquelle acque si sta decidendo molto di più: la rinascita o l’affondamento della stessa Unione europea, la sua capacità di attrazione per i valori di cui è portatrice restando fedele ai principi di solidarietà e civiltà che la dichiarazione Schuman aveva fissato 65 anni fa.
Principi non sempre perfettamente chiari ai capi di Stato e di Governo europei che il 25 e 26 giugno scorsi si sono riuniti a Bruxelles per discutere l’agenda Ue sull’immigrazione proposta dalla Commissione e che prevede la ricollocazione tra i 28 della grande massa di richiedenti asilo affluiti negli ultimi mesi dalla Libia in Italia e Grecia.
Nello stesso tempo quello che in Italia qualcuno si è spinto a definire “muro di Dublino” ossia l’insieme dei regolamenti (appunto di Dublino) secondo i quali l’asilo va richiesto nel primo paese di arrivo dei migranti, sembra destinato a vacillare con il consenso silenzioso ma determinante della Germania e nonostante i mal di pancia francesi e spagnoli, gli opting out danesi inglesi e irlandesi.
L’Unione europea, pur consapevole delle difficoltà che il problema sta creando alle opinioni pubbliche di molti Stati membri (fino a decidere il successo di molti partiti e le sorti di elezioni politiche), non ha rispettato la regola base: velocizzare, semplificare, tranquillizzare. I servizi della Commissione e le burocrazie degli Stati membri pare abbiano speso le loro migliori energie per allungare i tempi dell’operazione, complicare le procedure e impaurire ulteriormente opinioni pubbliche già in allarme.
Secondo la proposta redatta dalla Commissione, la redistribuzione obbligatoria dei migranti sbarcati in Italia riguarda 24mila Siriani ed Eritrei arrivati sulle coste a partire dal 15 aprile e 16mila arrivati in Grecia per complessivi 40mila richiedenti asilo per i prossimi due anni. Ma per far fronte alla situazione eccezionale creatasi nel Mediterraneo, si rimette in discussione per la prima volta anche il regime di Dublinosul primo approdo che le autorità di Polizia italiane hanno spesso disatteso negli ultimi mesi mancando di identificare e foto-segnalare i migranti appena sbarcati sul territorio italiano (come evidenziato nel caso del sospetto terrorista tunisino del Bardo espulso e rientrato via mare due volte) per lasciarli poi liberamente defluire verso le destinazioni del Nord, soprattutto Germania e Svezia, nello stile del film Io sto con la sposa.
Il piano europeo di relocation riguarderà per ora solo Eritrei e Siriani perché i rifugiati provenienti da quei Paesi nel 2014 hanno registrato un tasso di accoglimento medio delle domande superiore al 75% negli Stati Ue. I costi del trasferimento dei 40.000 rifugiati da Italia e Grecia negli altri Stati membri saranno finanziati dalla Commissione europea con uno stanziamento di 240 milioni di euro, ovvero 6.000 euro a persona.
Dai campi dell’Unhcr in Africa dovrebbero inoltre giungere in Europa 20mila richiedenti. Tempi molto più lunghi, invece, per far approvare quella risoluzione delle Nazioni Unite che consenta anche l’uso della forza per far partire la missione navale Ue a guida italiana davanti alle coste libiche per neutralizzare i trafficanti e distruggere i barconi.
Operazioni troppo spesso sbandierate e poi rimangiate nelle ultime settimane in un ping pong che ha solo rafforzato la rete dei trafficanti in grado di adottare tutte le contromisure possibili. Senza contare che lo stesso segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, nonostante sia stato costretto a posare per una foto opportunity organizzata da Matteo Renzi a bordo della nave San Giusto nel Canale di Sicilia, è apparso molto prudente. Secondo Ban Ki-Moon ci sono altre vie rispetto all’azione militare dell’Unione europea per fermare gli scafisti che portano in Europa gli immigrati su carrette del mare.
Ma affidarsi al Palazzo di vetro per risolvere una questione percepita ancora come emergenza migratoria europea è stata un’imprudenza. Il fattore tempo non è affatto trascurabile e nel caso si verificasse un’altra tragedia di migranti nel canale di Sicilia a farne le spese potrebbe essere lo stesso Premier italiano Renzi. E Bruxelles, a quel punto, non muoverebbe un dito per aiutarlo.
Possono chiedere asilo solo nel paese di arrivo dove, se partono, vengono rispediti. Una legge opposta ai valori base dell’Unione.
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