A inizio luglio centinaia di donne hanno sfondato un posto di frontiera con la Colombia per andare a comprare cibo e medicine, che mancano anche per i malati più gravi come quelli oncologici o i trapiantati.
Il paese è allo stremo e il presidente Obama, l’Organizzazione degli Stati americani, Ban Ki-Moon, la Ue e papa Francesco, tra gli altri, sono preoccupati per la situazione della popolazione.
Tra gli sviluppi auspicati c’è che il governo autorizzi l’ingresso di medicine e cibo per risolvere la crisi umanitaria (che il governo nega); che si ripristini lo stato di diritto e si realizzi quindi un referendum che costringerebbe il presidente a rinunciare; e che si liberino i prigionieri politici (su 245, otto non sono ancora stati processati).
Si parla anche della necessità di un dialogo tra il governo e l’opposizione che a dicembre ha conquistato con una larga maggioranza il controllo dell’Assemblea Nazionale. Il governo chavista di Nicolás Maduro quando non respinge tout court le sue decisioni dei legislatori, le ostacola, sull’economia e su altri temi.
Per il referendum che l’Articolo 72 della Costituzione garantisce e che l’opposizione sta promuovendo sono stati raccolti 2 milioni di firme, ma la Commissione elettorale, controllata politicamente dall’esecutivo, ha fatto finora di tutto per posticiparlo al 2017 e permettere al governo Maduro di gestire la transizione – e salvare il salvabile quanto a cariche, benefici, potere e immunità. Il generale Diosdado Cabello, il secondo uomo più potente del Paese, su cui pendono all’estero accuse di corruzione e legami con il narcotraffico, ha tranquillamente dichiarato che “non ci sarà referendum nel 2016”.
In questo clima, solo l’iniziativa per un “dialogo” promossa dall’Unasur, con mediatori gli ex presidenti José Luis Zapatero e Omar Torrijos, si è messa in moto. L’opposizione, tuttavia, per bocca di Henrique Capriles di Proyecto Venezuela, Corina Machado della Mud, il presidente dell’An Henry Ramos Allup e Freddy Guevara di Volontà Popolare, avverte che non è la prima volta che il governo chavista parla di dialogo per guadagnare tempo e diluire l’azione dell’opposizione.
Le misure di questi giorni confermano il sospetto. A Leopoldo Lopez, uno dei leader dell’opposizione in carcere, Maduro ha concesso di persona la visita di Zapatero, ma pochi giorni prima gli erano stati sequestrati dalla cella gli scritti per la difesa e cancellata un’udienza.
La cancelliera Delcy Rodríguez ha cominciato a parlare di “disponibilità di Maduro al dialogo” lo stesso giorno in cui egli accentrava – ancora di più se possibile – l’approvvigionamento di ogni settori dell’economia, un compito critico, nelle mani di un generale che non risulta esperto in economia, il ministro della Difesa, Vladimiro Padrino Lopez, che ora controlla sia le Forze Armate sia lo Stato.
Negli stessi giorni, la leadership militare, ovvero il governo, ha deciso di promuovere più di cento ufficiali “di provata lealtà ” a generale o ammiraglio, proprio mentre filtrano notizie di un’insoddisfazione tra i militari estranei al governo.
Zapatero ha lunedì incontrato sette rappresentanti dell’opposizione, ma tra le parti, almeno in questa fase, c’è uno sfasamento. L’opposizione considera il referendum un diritto non negoziabile pertanto. Lo vede come una precondizione a un dialogo che dovrebbe riguardare tutte le altre emergenze in Venezuela. Zapatero invece, pur concordando sul diritto al referendum insiste “che bisogna attenersi alla procedura della Commissione elettorale”, aggiungendo che “è quando si rinuncia alle richieste di massima che inizia il dialogo”, e che “con o senza referendum, occorre ricostruire la fiducia tra i venezuelani”.
È proprio il concetto astratto di “fiducia” che ha bloccato la trattativa per ora. “Se il dialogo serve a far apparire al governo come democratico agli occhi del mondo e a ritardare il referendum, ovviamente non sarà utile”, secondo Guevara. Zapatero ha incontrato poi Cabello e mercoledì Maduro.
“Non abbiamo veti, ma Zapatero dice che il problema economico è conseguenza della mancanza di dialogo. Sbaglia diagnosi. (…) Vede in Venezuela un altro film”, ha dichiarato Capriles a Efe.
Tra le condizioni dell’opposizione, oltre al referendum e ai prigionieri politici, c’è che s’includa nella mediazione il Vaticano e l’Osa, che nelle ultime ore Maduro avrebbe accettato. Tra l’Osa e il governo non corre buon sangue da quando il segretario Luis Almagro ha convocato una riunione speciale sul Venezuela, il cui ordine del giorno includeva la lotta alla corruzione.
Il Venezuela chavista non conta più sugli alleati incondizionati di un anno fa. Restano Bolivia, Ecuador e Nicaragua. Al Venezuela toccava questo semestre la presidenza dell’organizzazione economica Mercosur, ma è stata posticipata da una discussione tra gli altri membri sullo stato della democrazia nel Paese. A giugno, il Banco centrale del Venezuela ha chiesto un prestito di 1 miliardo al Fondo latino-americano per le riserve, che è stato però concesso solo per 400 milioni di dollari, perché per statuto entità superiori devono essere motivate proprio dall’Assemblea nazionale che Maduro continua a ignorare.
Una mediazione del Vaticano, che sembra delinearsi a giudicare dai contatti intensi di Papa Francesco con il suo Nunzio a Caracas, determinerebbe una svolta.
Aumentando la pressione dall’estero, il governo può utilizzare meno gli stratagemmi quali la “congiura dell’imperialismo”, ma non ha rinunciato a misure punitive contro i cittadini che hanno firmato per il referendum: ha negato loro borse di studio e ne ha licenziati a centinaia, come nell’azienda di Stato Seniat.
Non sorprende il subbuglio causato da due paia di scarpe. Il primo, sfoggiato da un sindaco, vale quattro volte il salario minimo – che si esaurisce comprando un pollo, un kilo di carne, uno di cipolla e mezzo di pomodori. L’altro paio lo indossava Cilia Flores, “la prima combattente”, la moglie di Maduro. Costano 140 dollari, vale a dire 42 volte il salario minimo, sussidio alimentare incluso.
A inizio luglio centinaia di donne hanno sfondato un posto di frontiera con la Colombia per andare a comprare cibo e medicine, che mancano anche per i malati più gravi come quelli oncologici o i trapiantati.