Con il Bolìvar sovrano, punto forte del “Piano di recupero economico” varato da Caracas, i prezzi sono volati alle stelle. E i commercianti vengono additati come nemico del popolo. Ma al netto della retorica, per la prima volta Maduro ha usato gli odiati parametri economici neoliberisti
Se si chiede a Caracas come sta andando con la nuova moneta, il Bolivar Soberano (BsS), quello che ha tolto ben cinque zeri alle banconote diventate inutili del vecchio Bolivar Fuerte (BsF), chiunque apre le braccia. E ci mette un po’ prima di rispondere. Un silenzio o un balbettio di qualche secondo che sembra durare un’eternità.
È vero che i venezuelani si sono disabituati a girare con cash in tasca (ci vorrebbero delle valige per fare la spesa) e i pagamenti si fanno da tempo solo con bancomat, anche nei chioschi per strada. E se si fa un prelievo, la banca permette di ritirare solo 10 BsS al giorno, con cui forse si arriva a comprare una bottiglietta d’acqua. I nuovi biglietti insomma rimangono un oggetto misterioso.
Chi non è fuggito, alimentando un esodo che è diventato un incubo per l’intera regione, sta facendo i conti in questi giorni con il “Piano di recupero economico” lanciato dal presidente Nicolas Maduro il 13 agosto scorso. E la nuova moneta è il punto forte del piano.
Ad ogni modo, quando i venezuelani si riprendono dal silenzio o dal balbettio, tutti dicono la stessa cosa: i prezzi sono volati. Non che sia gente impressionabile: secondo il Fmi l’inflazione chiuderà l’anno a una cifra di 1 milione per cento. Cosa è successo, dunque?
A volare sono i prezzi dei servizi, finora fortemente sussidiati. Nella metropolitana, ad esempio, che è sempre costata pochissimo, negli ultimi mesi si viaggiava completamente gratis visto che nessuno aveva oramai più biglietti da 4 BsF in tasca. Dal 1 settembre sarà di 0,50 del nuovo taglio, vale a dire 50 mila dei vecchi BsF. Un passaggio urbano in camionetica, uno dei piccoli bus che arrancano per le strade di Caracas, già era arrivato a 10 mila BsF: ora costerà 1BsS, vale a dire dieci volte tanto. È pure vero che il trasporto urbano è collassato: secondo l’associazione di categoria, il 90% della flotta di bus è ferma, per mancanza di pezzi di ricambio e l’alto costo della manutenzione.
Persino i Clap, gli scatoloni di prodotti-base che ogni 20 giorni vengono distribuiti, passeranno tra qualche giorno dai 25 mila vecchi BsF (cioè 0,25 dei nuovi) a 150 BsS (15 milioni di prima). D’altra parte, si giustificano le agenzie governative, il costo sarebbe oltre i 1000 BsF, perché lo Stato li sussidia per l’85%.
Poi sarà il turno della benzina: nel giro di due anni, ha promesso Maduro, avrà un prezzo a livello internazionale, «per battere il contrabbando con i vicini», un traffico che sottrae al Paese almeno 18 miliardi di dollari l’anno. Il prezzo della gasolina, in Venezuela, è considerato un tabù: l’ultimo che ci ha provato, Carlos Andrés Pérez nel 1989 (dentro un piano di austerità firmato Fmi), è finito con la rivolta del Caracazo, la capitale in fiamme e centinaia di morti. Eppure, da quando Maduro l’ha annunciato, nessuno ha alzato la voce, finora.
È vero che in molti aspettano di sapere chi avrà diritto al prezzo sussidiato, come promesso dal governo. Ma in realtà il Paese è così tramortito e incredulo che neppure una notizia simile riesce a scuoterlo. Due conti li ha fatti l’ex-braccio destro di Hugo Chavez ed ex- potentissimo presidente della Pdvsa, Rafael Ramirez, ora in esilio e nemico giurato di Maduro. Di recente ha scritto sul giornale digitale RunRun: «Se prendiamo un prezzo medio internazionale della benzina pari a 1,2 dollari per litro, un pieno di 40 litri che possa durare una settimana significa 48 dollari: come è possibile in un Paese dove il salario minimo mensile è di 1,36 dollari? E come sarà possibile anche con un salario a 30 dollari mensili, come deciso dal governo?».
Ora si aspettano gli aumenti di luce, acqua, gas. Per non seminare panico, Maduro ha preso alcune misure: ha alzato di getto il salario minimo a 1800 BsS e fissato i prezzi massimi di 25 prodotti-base, come caffé, zucchero, pasta, fagioli, carne, latte, formaggio bianco, mais, prosciutto, mayonese, pollo, pesce, farina di frumento, olio e altri prodotti per l’igiene.
Eppure, con il cambio di conio, anche tutti questi prodotti sono aumentati clamorosamente. La farina Pan, la più comune, che oscillava tra 800 mila e 1,2 milioni di BsF ora sarà di 20 BsS, cioè 2 milioni della vecchia moneta. Il riso, altro alimento molto consumato, dai 2,2 milioni al chilo è passato a 4,2 milioni.
L’Iva, da parte sua, è stata aumentata dal 12 al 16%.
I commercianti si dicono disperati: l’obbligo dei prezzi fissati per legge e l’aumento fuori misura del salario minimo dei dipendenti, li ha lasciati a mani vuote o costretti a chiudere. Un reportage di questi giorni, realizzato da Efecto Cucuyo tra le panetterie di Caracas, ha fatto emergere un quadro allarmante. Tutti sono in attesa del provvedimento di aiuto alle piccole imprese promesso dal governo, per far fronte ai costi esorbitanti, ma soprattutto aspettano i carichi di farina, che arrivano a fatica e non prima di 20 giorni e più dall’ordinativo. Persino il caffé, nella patria del guayoyo, il lungo caffé amaro che tutti amano sorseggiare, è spesso introvabile per baristi e negozianti.
Quando non si trovano i prodotti nei canali ufficiali e al prezzo concordato, si ricorre al mercato nero, che è l’altro nemico di Maduro. Per questo negli ultimi giorni, dopo l’annuncio del suo piano economico, ha dispiegato un’operazione di polizia senza precedenti, facendo controlli in centinaia di negozi e grandi catene commerciali. Si parla di 200 fermi e 500 casi multati, anche se la Sovrintendenza dei prezzi ha confermato solo 27 arresti.
María Carolina Uzcátegui, presidente Consecomercio, è un fiume in piena. Dice che i commercianti sono il nuovo nemico da dare in pasto all’opinione pubblica: «Il problema non siamo noi, ma loro stessi. Devono smetterla di stampare moneta, devono aprire il Paese, devono mettere mano alle imprese pubbliche diseconomiche e inutili, devono far ripartire Pdvsa. Senza tutto questo, l’inflazione e la penuria di materie prime e di prodotti aumenteranno».
Quello che più ha sorpreso del piano annunciato da Maduro è che, tra la coltre di retorica contro l’aggressione imperiale e il Fmi, per la prima volta ha usato i tanto odiati parametri economici neoliberisti: «obiettivo sarà il deficit fiscale zero» e la «libera fluttuazione della moneta», il Paese ha bisogno di «rigore fiscale», «nuove entrate» e «fermare la stampa di moneta inorganica». Cose che fino a qualche tempo fa solo gli economisti di opposizione chiedevano.
Secondo molti analisti, persino la stessa manovra sulla valuta nazionale ha in realtà come modello il “Plan Real” attivato in Brasile nel 1994 dall’allora presidente Itamar Franco, con l’obiettivo di aggredire l’iperinflazione: allora si creò una moneta usata solo come unità di valuta (la Unità Real di Valore, Urv) che era equivalente a un dollaro; a sua volta la Urv era equivalente a una quantità di cruzeiro, la moneta allora in circolazione. Maduro ha introdotto il Bolivar Soberano, svalutando l’ex-Bolivar Fuerte del 95.8% e legandolo al Petro, la criptomoneta sostenuta dalle riserve di petrolio e il cui valore è fissato a 60 BsS, pari cioè a un dollaro.
Significa che ha ancorato la moneta al dollaro? Secondo Ingerzon Freites, dell’Osservatorio venezuelano della realtà economica (Ovre), «Il Petro già non è più una criptomoneta. È una unità di misura e avrà una funzione simile al dollaro parallelo, quello scambiato al mercato nero. Sarà il valore di riferimento».
Per far funzionare il meccanismo, Maduro ha tolto il controllo ferreo sulla compravendita di valuta, istituendo aste di dollari tre volte la settimana aperte a imprese e privati che possono transitare fino a 400 mila dollari le prime e 500 i secondi ogni mese. Nelle ultime aste il dollaro si è portato a quasi 70 BsS e oscilla sopra il valore fissato, mentre al mercato nero è dato a circa 90 BsS. Il che significa che la battaglia contro la speculazione che Maduro tenta invano di vincere è tuttora aperta.
Il governo chavista ha messo in atto una sorta di deregulation controllata, i cui effetti si vedranno fin dalle prossime settimane e solo allora si potrà capire se la manovra sarà capace di dare ossigeno in valuta alle imprese del Paese. E si potrà valutare anche se avrà qualche effetto sull’inflazione.
Allo stesso tempo ha imposto a Pdvsa, la petrolifera di Stato, di aumentare la produzione, che è scesa ormai a 1,39 milioni di barili giornalieri secondo l’Opec (con ritmi di -2,7% al mese) dovuto alla mancanza di investimenti, agli impianti logori e a una gestione definita da tutti disastrosa.
Nessuno in Venezuela è pronto a scommettere che Maduro ci riuscirà, né che dal suo piano uscirà qualcosa di buono. Lui va avanti e come se il Paese vivesse una situazione normale ha lanciato persino un piano nazionale di risparmio, invitando i venezuelani a investire nell’oro della patria. Come? Comprando un lingotico da 1,5 o da 2,5 grammi. Il prezzo: 3.502 BsS e 5.780 BsS, che in dollari sono 58 e 96 biglietti verdi, cioè due o tre volte il salario minimo. Saranno disponibili dall’11 settembre.
@fabiobozzato
Con il Bolìvar sovrano, punto forte del “Piano di recupero economico” varato da Caracas, i prezzi sono volati alle stelle. E i commercianti vengono additati come nemico del popolo. Ma al netto della retorica, per la prima volta Maduro ha usato gli odiati parametri economici neoliberisti