Gli animi sono incendiati in Venezuela nel conto alla rovescia verso le elezioni più volute della sua storia. Il chavismo, il progetto di socialismo iniziato da Hugo Chávez forte di alti prezzi del petrolio, è dato per sconfitto. Gli errori nell’economia, l’ubriacatura di potere tra i militari, la corruzione e la violenza diffuse ora potrebbero fare trionfare l’opposizione per la prima volta in 17 anni.
Messo alle corde da sondaggi che attribuiscono al presidente uscente il 20% nel migliore dei casi, il regime del presidente Nicolás Maduro ha tutto da perdere. Tra l’altro, che si aggravi la posizione dei militari coinvolti nel traffico internazionale della cocaina già ricercati dal Dipartimento della Giustizia Usa, oltre a far traballare un vasto sistema di relazioni clientelari e di potere in tutte le istituzioni. Non ha quindi sorpreso Maduro quando ha dichiarato, parlando alla televisione, di essere “pronto a scendere nelle piazze assieme al popolo” se i suoi candidati perderanno le elezioni domenica.
La campagna si chiude quindi nel peggiore dei modi, come si temeva. L’opposizione è sotto tiro, e non è un modo di dire. Mercoledì scorso è stato assassinato un suo dirigente dopo che il suo comizio era stato sabotato con un lancio di pietre. Luis Manuel Diaz, di Azione Democratica è stato colpito da proiettili lanciati da una macchina. L’ufficialismo ha preso di mira, in particolare, Lilian Tintori, la giovane moglie di un altro leader dell’opposizione, Leopoldo López, condannato a 16 anni di carcere. Scrive il segretario generale del Ps spagnolo: “Se succede qualcosa a Lilian additeremo come massimo responsabile il regime di Maduro, e lui in particolare”. Le vessazioni da parte di bande, i freni dell’aereo sabotati, l’umiliazione di doversi spogliare e mettersi carponi quando va a trovare il marito in carcere, non hanno zittito Tentori né la stampa imbavagliata, ma hanno reso loro la vita molto difficile, oltre che concretamente metterla a rischio.
Il Psuv ha utilizzato tutte le risorse del governo per la propria campagna elettorale ufficiale e la mano pesante in quella non ufficiale, da trucchetti come attribuire lo stesso nome di un partito dell’opposizione a una sua coalizione o l’utilizzo di un simbolo analogo collocato accanto a uno dell’opposizione, oltre a minacce e ostacoli alla stampa e alle tv non ufficiali, non rinnovando per esempio le licenze.
Il portavoce di John Kerry, l’Alto Commissario per i Diritti umani dell’Onu, l’Osa, 27 ex presidenti di tutti i colori dello spettro politico e 150 deputati dal Canada all’Argentina lanciano appelli da mesi a Nicolás Maduro per un voto corretto.
Il governo, però, ha rifiutato gli osservatori stranieri, per esempio, quelli dell’Organizzazione degli Stati americani, accettando solo quelli di Unasur che dovrebbero essergli più favorevoli.
“Tutti siamo Chávez” si leggeva sui cartelli nella manifestazione di chiusura del governo in plaza Cristal a Caracas. La base che segue il chavismo è stata spaventata anche con il rischio che cambino le politiche per i poveri, tra cui sussidi e doni. In ogni caso, secondo molti osservatori, come il direttore del giornale El Nacional, Miguel Henrique Otero, “nemmeno più i poveri vogliono il regime, perché li costringe a fare le code [per acquistare da mangiare]”.
Contro il candidato Maduro gioca anche il livello di violenza, e non solo quella politica. Il Venezuela è il 2° paese più violento al mondo. Lo scrittore più noto in Venezuela,Leonardo Padrón, lo riassume in un’intervista a El País: “Il chavismo ha gestito una scuola di odio e risentimento coltivando i peggiori elementi della lotta di classe. È una vera impresa aver trasformato una nazione così ricca come il Venezuela nel paese più indigente della regione”.
L’inflazione è surreale, ma non ci sono dati ufficiali dal dicembre 2014. La società di ricerca economica Ecoanalitica a Caracas l’ha calcolata con la stessa metodologia della Banca centrale arrivando a un 190% l’anno. Ricalcolata al netto di una serie di distorsioni, tra cui il dollaro con tre quotazioni, i prezzi bloccati di certi prodotti e la loro rivendita al nero, essa si avvicina al 365%. “Considerando che alla fine dell’anno si registra solitamente un’inflazione più alta, il 2015 potrebbe chiudere con un 410-430% di inflazione reale”, spiega a East il loro capo economista di Ecoanalitica, Carlos Miguel Alvarez.
Se non ci saranno “sorprese”, come quelle annunciate da Maduro giovedì, al prossimo governo aspettano comunque dei compiti difficilissimi nell’economia, tra cui fugare i timori di un default sul debito. Per ottemperare agli impegni, “il governo è riuscito a risparmiare una media di 500 milioni di dollari al mese”, spiega Alvarez, con misure quali ridurre le importazioni di un altro 11%, liquidare attivi e cancellare il debito con la pubblica amministrazione.
I conti però sono stati fatti con il petrolio a 40 dollari al barile. Se scendesse a 35, com’è successo in questi giorni, la situazione cambia. Il Venezuela “ha un problema di liquidità, non di solvibilità”, spiega Alvarez. “Non vedo un default nei primi sei mesi dell’anno, ma sì che il governo si dovrà sedersi al tavolo con i detentori delle obbligazioni nel mondo per rinegoziare le scadenze”.
Cruciale sarà la Cina, che compra dal Venezuela 700.000 barili di petrolio al giorno. “Di questi 400.000 sono destinati al debito. Il resto va a un fondo che sta in Cina e alquanto opaco”, da cui presumibilmente si ripaga altro debito. Il Venezuela sta disperatamente tentando di ottenere da Pechino un prestito da 20 miliardi di dollari, ma realisticamente ne otterrà solo 5. È molto importante perché si tratta di liquidità senza i vincoli che pongono altri prestatori quali l’Fmi, spiega l’economista.
Domenica al voto i venezuelani saranno probabilmente tanto disciplinati quanto lo sono nelle code per procurarsi il cibo. Non si sa bene cosa succederà dopo comunicati i risultati, ma tutti sono d’accordo che il 6 dicembre sarà una data storica.