Il business dei passeur e l’accoglienza dei volontari. Poi le incursioni e gli sgomberi, come quello di ieri dell’accampamento sul greto del fiume Roja. Ma i migranti in transito alla stazione di Ventimiglia non demordono. E con il buio rilanciano la sfida alle guardie francesi
Ventimiglia – Il rituale è una danza sottile alimentata da sguardi e finte, distrazioni e azioni repentine. Al binario sette il convoglio regionale per Grasse delle 14.39 attende il fischio per modulare i suoi sbuffi verso la frontiera. Un poliziotto francese, a bordo, marca i pochi vagoni allungando lo sguardo ai suoi lati. Sulla banchina una manciata di migranti studia la scena e la tattica consumando i secondi che avvicinano la partenza. Uno di loro s’incunea nella carrozza conclusiva come un’ombra scomposta, ma viene intercettato e ricollocato nella sterilità del binario italiano. La Francia può attendere.
A Ventimiglia la stazione è un transito obbligato per chi progetta di violare la frontiera blindata d’oltralpe. Al calar della sera s’intensifica il lavoro sordido dei passeur, i tentativi di incursione sui treni e i crocicchi di giovani che condividono strategie e insuccessi. Verso mezzanotte sei ragazzi partono con gli zaini in una marcia dall’esito incerto. Khalifa Fang è al primo binario, nel foyer una ventina di persone riposa sul marmo. Khalifa ha una giacca di pelle marrone e un berretto da aviatore.
«In Camerun ho frequentato una scuola inglese, parlo anche francese e un po’ di tedesco. L’italiano è complesso: con una “p” di differenza indicate il “capello” o il “cappello”. Come si fa? Sono un disegnatore e vorrei continuare a farlo piuttosto che concentrare ogni sforzo sull’italiano» racconta il 28enne, allargandosi in sorrisi mai di circostanza. È in Italia da 4 mesi: lo sbarco a Lampedusa, qualche settimana a Pisa e infine l’ultimo lembo di Liguria. «Cerco di prendere il primo treno per Nizza. Passare il confine a piedi? Non è sicuro, se cammini con uno zaino i poliziotti francesi potrebbero anche spararti».
Dopo la reintroduzione dei controlli francesi, nel giugno 2015, Ventimiglia ha scritto un’altra pagina della sua storia meticcia. Una pagina controversa dove l’apertura al mondo e alla contaminazione si è misurata con l’indifferenza e la riaffermazione identitaria (ma quale visto che l’immigrazione dal sud Italia è uno dei suoi fattori costitutivi?) e dove l’eroismo civile ha contenuto il claudicare istituzionale e statuale.
Negli ultimi mesi il numero dei migranti si è asciugato: qualcuno a cavallo del nuovo anno è riuscito a passare, mentre gli sbarchi sono diminuiti drasticamente in seguito alla dottrina Minniti in Libia. Attualmente sono 180-200 le persone che soggiornano nel campo di transito Roja, poche decine alloggiano in stazione e una cifra variabile (da 100 a 170) erano nel campo sotto il ponte che è stato sgomberato mercoledì.
Sotto il cavalcavia della superstrada, sul greto del fiume Roja, era fiorito un accampamento di tende e teli di fortuna di uomini, donne e bambini che si erano rifiutati di entrare al campo Roja gestito dalla Croce rossa (a 4 chilometri dalla città) dopo la chiusura dell’esperienza liminare della chiesa delle “Gianchette” che ospitò fino a mille persone.
«Fino alla fine del 2017 la maggior parte dei migranti proveniva dal Sudan, dall’inizio dell’anno sono soprattutto eritrei con minori. Ventimiglia ha reagito con solidarietà nel 2015 quando si è creato il problema, poi le cose sono cambiate. Bruxelles e Roma dovrebbero prendersi carico di questa vicenda» sottolinea Alessandra, che dona tutto il suo tempo libero come volontaria della Caritas.
«Lo smantellamento del campo sotto il ponte aveva l’obiettivo di spingere i migranti a recarsi a quello ufficiale (Roja). Qualcuno lo farà sicuramente, altri non sappiamo dove andranno. Temono le impronte digitali, ma senza motivo perché gliele hanno già prese allo sbarco, e la lontananza dalla stazione. Uno dei nodi irrisolti è che con questo sistema normativo si finisce facilmente per diventare irregolari» analizza una cooperante.
Nelle ore precedenti l’evacuazione, sotto il ponte è presente un mondo: donne eritree, senegalesi, gambiani, guineani, nigeriani, pachistani, afghani, maliani, sudanesi e così via in un crescendo geografico.
«La mia rotta per l’Europa si è compiuta nel 2014. Sono andato in Danimarca, ma si è rivelata un’esperienza negativa. Allora sono arrivato a Milano e da una settimana sono a Ventimiglia. Mi piacerebbe andare in Francia, sono un meccanico e potrei trovare un’occupazione» racconta Alì che si è lasciato alle spalle l’Afghanistan, dice, «dopo che la mia famiglia è stata uccisa dai talebani».
Ripete spesso di essere solo, s’illumina se gli nomini Massud “il leone del Panshir” – eroe della lotta anti-sovietica. Dimora in una tenda con alcuni ragazzi senegalesi e gambiani e ammette la difficoltà di vivere lì: «Non ci sono servizi igienici né docce né acqua. Nulla. Tutto è precario».
Valery passa tra le baracche, distribuendo arachidi e medicinali. Quattro antidolorifici per Moussa che soffre di un’infiammazione ai denti. «Da settembre ogni weekend vengo qui o a Porte de la Chapelle a Parigi. Per raggiungere Ventimiglia impiego tre ore – spiega Valery, volontaria senza sigle -, questi migranti sono la mia seconda famiglia. Chiamarli per nome è sufficiente per restituire loro un’identità, una dignità. Ai miei figli, di 19 e 14 anni, che devono stare senza di me voglio insegnare che non è importante se abbiamo poco, possiamo fare tanto lo stesso per gli altri. Cosa mi spinge? Quand’ero giovane ho vissuto dieci anni in strada, so come ci si sente, qual è la psicologia».
Dentro al campo, al di fuori o in stazione troneggiano i passeur. Sono italiani o francesi, ma anche viaggianti che hanno fiutato il business. «L’80% dei senegalesi vuole andare in Spagna perché la raccolta dei pomodori frutta il doppio che a Foggia (5 euro l’ora contro 2,5), più in generale nessuno vuole rimanere in Italia e pochi scelgono la Francia. Spagna, Inghilterra e Germania sono le destinazioni più ambite. Ma la maggior parte di loro è destinato a vivere qui. Con un permesso di soggiorno italiano non vanno da nessuna parte. Perché sono qua? Cerco di aiutare chi posso» spiega un passeur di Nizza.
Prendono mediamente dai 150 ai 180 euro senza garanzie di riuscita. Dal treno ai bagagliai delle auto, dai tir in partenza all’autostrada passando per il Passo della Morte – un sentiero che dal paesino arroccato di Grimaldi s’inerpica sulle vette a precipizio sul mare dove il rudere di una dimora alloggia vestiti e scarpe, indizi degli ultimi passaggi – sono numerose le varianti per sfidare le forze dell’ordine francesi. Da quando hanno sospeso de facto Schengen persino ai minori viene talvolta negato l’accesso, come denunciano le ong impegnate nei ricorsi.
Se c’è un emblema della resilienza ventimigliese questo è sicuramente don Rito Alvarez. Il sacerdote colombiano ha aperto nel 2016 la sua chiesa alle Gianchette, offrendo un rifugio e un pasto per 440 giorni ad una marea umana. Ancora oggi è amareggiato dalla sua chiusura, «perché la nostra disponibilità a fare un passo indietro era legata all’identificazione di un’alternativa credibile. Molti hanno invece scelto di allestire un campo sotto il ponte e ora è un bene che venga smontato perché non c’erano le condizioni minime per viverci. La conclusione dell’esperienza delle Gianchette è stata una sconfitta dell’essenzialità della vita umana» racconta don Rito nel refettorio della Caritas dove ogni mattina vengono serviti colazione e pranzo.
«Ho due sogni ricorrenti: il primo è che si realizzi quello che tanta gente vuole: aiutiamoli a casa loro. Bene, allora spero che se ne vadano e insieme a loro la ricchezza che la Francia e altri Paesi predano quotidianamente: coltan, diamanti, pietre preziose, petrolio. Immagino la Francia che diventa il Paese più povero al mondo e allora ci ripenserebbe e direbbe: lasciamo tutto com’è. Il secondo sogno è un dialogo tra tre governanti africani con questa conclusione: “Se avessimo investito nell’istruzione e non nella guerra saremmo felici”. Allora prendono le armi costruite in Occidente e le depositano nelle principali piazze d’Europa».
Cristian Papini dirige la Caritas, l’altro pilastro dell’accoglienza che ha sempre elargito pasti, indumenti e kit igienici. «Quello che residenti e politici locali non capiscono è che questa situazione è responsabilità della Francia. Da quasi tre anni ha chiuso la frontiera, al di fuori delle deroghe previste da Schengen».
Intanto quella stessa frontiera tra Ventimiglia e Mentone quasi ad ogni ora colloca ai bordi della strada i migranti respinti in un corteo mesto e ipnotico. Una frontiera che riconosce ormai nella polarizzazione cromatica bianco-nero il suo unico criterio di selezione.
@simonecasalini


Il business dei passeur e l’accoglienza dei volontari. Poi le incursioni e gli sgomberi, come quello di ieri dell’accampamento sul greto del fiume Roja. Ma i migranti in transito alla stazione di Ventimiglia non demordono. E con il buio rilanciano la sfida alle guardie francesi