Quest’anno si celebrano i venticinque anni dal 4 giugno 1989, un momento di svolta nella recente storia cinese, ancora al centro di riflessioni e analisi. In Cina se ne parla poco, ma se ne parla, specie negli ambienti accademici e all’interno del Partito. Si cerca di comprendere cosa realmente accadde e come evitare, da parte del Pcc, che possa accadere di nuovo. Nel frattempo chiunque provi pubblicamente a parlarne, in incontri o sui giornali, viene arrestato.

La questione non è per niente semplice, il 1989 fu un anno fondamentale, non solo per la Cina. Quanto accadde nelle principali città cinesi, la protesta studentesca, il tentativo di unire alle proteste le rivendicazioni dei settori lavorativi, rimane ancora oggi un argomento molto complesso. Ci furono errori nella gestione della piazza, spaccature tra studenti, trattative con un Partito su cui tornò a comandare con il pugno di ferro un vecchio Deng Xiaoping, che decise infine per l’intervento militare.
Oggi quei fatti appaiono distanti, sembra di parlare di una Cina che non c’è più. Quando arrivai a Shanghai nel 2006, durante una cena con alcuni amici cinesi, che parlavano in inglese, una ragazza cinese quando sentì dire Tiananmen e 1989 mi chiese, «Scusa ma di cosa stai parlando?». Non ne sapeva nulla e come lei, molti altri, giovani nati negli anni 80, completamente inconsapevoli di quanto accaduto.
Ma chi ha dai 40 anni in su, si ricorda, c’era, ha visto e vive quelle giornate con un doppio comportamento: chi vuole dimenticare, ricordando i progressi fatti dalla Cina e chi vive nella memoria di quelle giornate, quasi sussurrando la propria versione dei fatti.
C’è infine chi si espone: Pu Zhiqiang e altri attivisti sono stati arrestati questa settimana dopo aver partecipato ad un incontro in cui si richiedeva un’inchiesta nella repressione delle proteste pro-democrazia di Tiananmen del 1989. O la giornalista Gao Yu, arrestata dalla polizia con l’accusa di aver passato «segreti di Stato» ad un sito web all’estero. Gao, 70 anni, è apparsa all’emittente di Stato China Central Television mentre confessava le accuse e dichiarava di aver «minato gli interessi nazionali». Secondo la polizia, citata da altri media di Stato, Gao è accusata di «aver ottenuto illegalmente un documento altamente confidenziale e di averne mandato una copia elettronica ad un sito all’estero». Il documento è stato poi ampiamante diffuso dal sito, che non viene identificato.
La Gao è stata arrestata il 24 aprile e la polizia afferma di aver trovato «prove sostanziali» durante la perquisizione della sua abitazione. Secondo alcuni analisti, l’arresto della giornalsita potrebbe essere legato alla diffusione, da parte di un sito di Hong Kong, di un documento in cui si discuteva di minacce politiche al partito comunista al potere. La Gao era già stata condannata nel 1993 a sei anni di carcere con l’accusa di aver passato segreti di stato ad un giornale di hong Kong. Il suo arresto si inquadra in un giro di vite contro i dissidenti all’approssimarsi del 25esimo anniversario della protesta di piazza Tienanmen. Questa settimana sono stati arrestati almeno altri cinque attivisti.
Eppure la Cina procede, va avanti. Nessuno in Cina vuole il luan, il caos. È questo il fattore favorevole al Partito per mantenere la stabilità e gestire anche l’oblio di alcune fasi storiche. Vale per il 1989 e vale anche per la Rivoluzione culturale. Si tratta di rimossi storici, che prima o poi il paese dovrà affrontare. Per ora si accontenta dello sviluppo, dei soldi e del miglioramento delle condizioni di vita.
Quest’anno si celebrano i venticinque anni dal 4 giugno 1989, un momento di svolta nella recente storia cinese, ancora al centro di riflessioni e analisi. In Cina se ne parla poco, ma se ne parla, specie negli ambienti accademici e all’interno del Partito. Si cerca di comprendere cosa realmente accadde e come evitare, da parte del Pcc, che possa accadere di nuovo. Nel frattempo chiunque provi pubblicamente a parlarne, in incontri o sui giornali, viene arrestato.