In un momento in cui le frontiere vacillano, l’Unione europea rilancia Frontex per garantire la tenuta dei confini esterni.
L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Ue, comunemente conosciuta come Frontex, ha compiuto il suo 10° anniversario in un anno cruciale per la sua storia, probabilmente decisivo. La crisi migratoria che ha scosso l’Ue, arrivando a far vacillare una delle conquiste più simboliche del processo di integrazione, lo spazio di libera circolazione, è stata da più parti imputata all’inadeguatezza dei controlli alle frontiere esterne. Frontex è apparsa inadeguata a svolgere i compiti per cui era stata creata, dimostrandosi impotente di fronte al continuo afflusso di migranti. Tale la sua impotenza, che nell’autunno 2015, durante una delle fasi più acute della crisi, non è stata nemmeno in grado di ottenere il supporto materiale necessario a potenziare le sue attività nelle aree del Mediterraneo orientale e centrale, ricevendo dai Paesi membri solo 447 uomini, sui 775 richiesti.
Dietro queste polemiche si annida forse un equivoco. Si ha sovente l’impressione che Frontex venga scambiata per un corpo di polizia vero e proprio, mentre in realtà il suo mandato è quello di agenzia di coordinamento. Non esiste alcun corpo di polizia europeo, né potrebbe visto che i Trattati ribadiscono chiaramente che le funzioni di tutela della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico sono prerogative esclusive degli Stati membri. L’esercizio dei poteri coercitivi e, di conseguenza, la creazione di apparati di sicurezza è una prerogativa sovrana gelosamente custodita dagli Stati nazione, che su aspetti così delicati acconsentono al massimo a qualche forma di coordinamento e collaborazione.
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In un momento in cui le frontiere vacillano, l’Unione europea rilancia Frontex per garantire la tenuta dei confini esterni.