Vertice Ue: dietro lo scontro Conte-Rutte emerge lo spettro dell’Europa intergovernativa, con il premier olandese che tiene in ostaggio gli altri Stati membri
Vertice Ue: dietro lo scontro Conte-Rutte emerge lo spettro dell’Europa intergovernativa, con il premier olandese che tiene in ostaggio gli altri Stati membri
BRUXELLES – Ci voleva la pandemia e la proposta di un Recovery Fundda 750 miliardi di euro per riportare a galla quel conflitto mai sopito tra chi in Europa si erge a strenuo difensore del metodo comunitario (quello, per intenderci, che con il “funzionalismo” di Jean Monnet ha prodotto tanti risultati positivi fino alla moneta unica) e chi invoca un ruolo decisionale maggiore per i Governi nazionali all’interno del Consiglio Ue attraverso il metodo intergovernativo.
Dissidio riemerso ora in tutta la sua forza dirompente durante l’interminabile vertice sul nuovo bilancio europeo e sul Recovery Fund in corso a Bruxelles. Posizioni inconciliabili quando si deve decidere sui meccanismi di funzionamento di strumenti delicati come, appunto, l’erogazione delle sovvenzioni ai Paesi più colpiti dalla pandemia. La leadership dell’Europa intergovernativa l’ha assunta, di fatto nelle ultime settimane, il premier olandese, Mark Rutte, che sta tenendo in ostaggio gli altri 26 Paesi Ue con proposte inconciliabili spesso con le attuali regole europee. Rutte non crede all’accordo e rema contro. Anche i suoi tweet prevertice rivelano la volontà di un “non accordo”. “Oggi e domani a Bruxelles – scriveva Rutte venerdì – per discutere del bilancio pluriennale europeo e del fondo di ripresa per superare le conseguenze della crisi del coronavirus. Due argomenti grandi e complicati che coinvolgono grandi interessi. Saranno trattative difficili”.
Quanto alle percentuali di successo, il Primo Ministro olandese crede che siano ben al di sotto del 50%. Più nel dettaglio, l’Olanda vorrebbe un ‘freno di emergenza’ (in pratica il diritto di veto) sulla governance del Recovery Plan. L’Olanda insiste cioè per un ruolo decisionale del Consiglio sugli esborsi delle risorse europee per l’attuazione dei piani di riforma nazionali, e appare inflessibile nella richiesta di un voto all’unanimità. “Se vogliono che concediamo sovvenzioni invece di prestiti, cosa che noi non consideriamo affatto positiva, allora vogliamo che i Paesi diano garanzie molto forti sul fatto che le riforme saranno attuate”, ha avvertito.
Ma la base legale usata per il Recovery Fund è la stessa della politica di coesione e non prevede l’unanimità. La proposta del Presidente del Consiglio, Charles Michel, prevede che la Commissione Ue conduca una valutazione, e il Consiglio la voti a maggioranza qualificata. Questa ipotesi rappresenta già un punto di mediazione rispetto alla proposta precedente che vedeva coinvolta solo la Commissione. Il premier Conte, dopo vari contatti diretti avuti con Rutte, avrebbe perso la pazienza e in una pausa del vertice ha ammonito: “La posizione olandese sulla governance del Recovery Fund è incompatibile con i trattati e impraticabile sul piano politico”.
Sorretto al Governo da una fragile maggioranza che deve contare sul sovranista Wilders in patria, Rutte intercetta tutta la diffidenza olandese nei confronti dei Paesi del sud poco affidabili quanto a spesa. A capo del Governo dell’Aja dal 2010, il liberale Rutte sta tenendo in ostaggio il vertice di Bruxelles con la sua minaccia di veto. Parlare di una Thatcher del 2020 è forse eccessivo ma resta un “falco” che sta guidando i cosiddetti “frugali” e che ambisce a svolgere un ruolo di tutoraggio anche nei confronti di quei Paesi poco inclini a delegare potere alla Commissione, e quindi su posizioni intergovernative. L’olandese non è inviso solo a Italia e Spagna, ma è anche guardato a vista dall’asse franco-tedesco.
L’unica persona in grado di contenere l’effetto Rutte è attualmente la Cancelliera tedesca Angela Merkel. Solo lei potrebbe far cadere sul tavolo una delle sue carte coperte per dare una svolta alle discussioni. Ma, a quel punto, è fin troppo scontato che a farne la spese saranno in larga misura anche i Paesi del sud, primo fra tutti l’Italia.
BRUXELLES – Ci voleva la pandemia e la proposta di un Recovery Fundda 750 miliardi di euro per riportare a galla quel conflitto mai sopito tra chi in Europa si erge a strenuo difensore del metodo comunitario (quello, per intenderci, che con il “funzionalismo” di Jean Monnet ha prodotto tanti risultati positivi fino alla moneta unica) e chi invoca un ruolo decisionale maggiore per i Governi nazionali all’interno del Consiglio Ue attraverso il metodo intergovernativo.
Dissidio riemerso ora in tutta la sua forza dirompente durante l’interminabile vertice sul nuovo bilancio europeo e sul Recovery Fund in corso a Bruxelles. Posizioni inconciliabili quando si deve decidere sui meccanismi di funzionamento di strumenti delicati come, appunto, l’erogazione delle sovvenzioni ai Paesi più colpiti dalla pandemia. La leadership dell’Europa intergovernativa l’ha assunta, di fatto nelle ultime settimane, il premier olandese, Mark Rutte, che sta tenendo in ostaggio gli altri 26 Paesi Ue con proposte inconciliabili spesso con le attuali regole europee. Rutte non crede all’accordo e rema contro. Anche i suoi tweet prevertice rivelano la volontà di un “non accordo”. “Oggi e domani a Bruxelles – scriveva Rutte venerdì – per discutere del bilancio pluriennale europeo e del fondo di ripresa per superare le conseguenze della crisi del coronavirus. Due argomenti grandi e complicati che coinvolgono grandi interessi. Saranno trattative difficili”.
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