La tragica notizia della violenza di gruppo e omicidio – o suicidio? – per impiccagione delle due adolescenti in Uttar Pradesh ha generato un’ondata d’indignazione internazionale. A mente fredda, ecco un po’ ci cose che sono successe, che ho letto, e che non mi sono piaciute.

Il “merito” della propagazione della notizia va senz’altro tributato alla diffusione dell’immagine shock delle due ragazzine impiccate all’albero di mango, circondate da donne, uomini e bambini impegnati nella presa di posizione silenziosa ma, grazie all’intercessione dei media, estremamente efficace: finché non si trovano i colpevoli, i corpi rimangono lì appesi e li facciamo vedere a tutto il mondo.
Per la comunità dalit, non è chiaro se con premeditazione – come sostiene Roberto Toscano su La Stampa – o per una conseguenza non calcolata, l’intervento dei media è stato la chiave di volta per far emergere una storia “come le altre” fuori dall’anonimato. Le violenze subite dalle comunità disagiate e ai margini della società indiana – dalit ma anche le altre Other Backward Castes, i tribali, donne migranti del nord-est – nel paese sono letteralmente episodi quotidiani: un’assuefazione all’orrore che, per innescare il meccanismo indignazione – massa critica di attenzione – notizia di cui ci si deve occupare, necessita di peculiarità “inedite” e disturbanti, come la macabra foto delle bambine morte (che per il medesimo motivo ho messo in testa al pezzo, e se qualcuno è disturbato possiamo discuterne sotto nei commenti. E no, non è un fotomontaggio, come ho letto in alcuni commenti su Facebook ieri).
Qui in India si è aperto un dibattito online sull’opportunità di mostrare una foto del genere, ma ci sono davvero pochi dubbi sul fatto che senza quella foto la notizia non sarebbe uscita con l’enfasi che sappiamo. E, mi sento di aggiungere, la polizia locale avrebbe avuto più possibilità di insabbiare – come succede nel resto dei casi – e levarsi da una posizione complicata.
Ora, con l’esplosione della news all’estero e il ritorno del ritrito slogan “è emergenza stupri” – che emergenza non è, poiché gli stupri ci sono sempre stati qui in India e anche con questa frequenza, come spiegavo tempo fa – nel paese si è avviata la macchina della politica.
Maneka Gandhi, nuovo ministro per Women and Child Welfare, ha auspicato che i poliziotti coinvolti nel crimine – due, per ora, tra gli stupratori; tra i negligenti, non è chiaro ancora quanti – siano tutti licenziati, offrendo contemporaneamente alle famiglie delle vittime lo spostamento delle indagini, se lo volessero, affidandole a uno dei team investigativi “d’élite” indiani.
Rahul Gandhi – non si sa bene a che titolo – oggi è andato a far visita alle famiglie delle vittime, chiedendo che il caso fosse passato al Central Bureau of Investigation (Cbi), l’Fbi indiana. Richiesta condivisa dal padre di una delle ragazze che si è augurato la morte per impiccagione dei colpevoli (Akilesh Yadav, chief minister dell’Uttar Pradesh, pare abbia accordato lo spostamento delle indagini coinvolgendo il Cbi). Posizione, quella dell’impiccagione per i colpevoli, molto popolare in queste ore.
Talmente popolare che, secondo un comunicato stampa, pare essere anche ciò che si augura ufficialmente Save The Children India.
Sul sito di Save The Children Italia si legge infatti:
“Siamo in presenza di un fatto orribile, all’interno di una tendenza allarmante di brutali violenze nei confronti delle donne, in particolare quelle appartenenti a comunità marginalizzate. E’ necessario e urgente intraprendere azioni concertate per fermare tutto ciò”, dichiara Shireen Vakil Miller, Direttore delle Relazioni Istituzionali di Save the Children, India. “E’ necessario che venga inflitto il massimo della pena, in accordo con l’Atto per la prevenzione di offese sessuali sui bambini e il codice penale indiano. Bisogna mandare un messaggio chiaro per fermare un crimine così orribile contro delle ragazze”.
La stessa dichiarazione è riportata da Reuters in quello che sembra essere il comunicato stampa originale – firmato Save The Children – che purtroppo, a causa di disservizi al server, non è possibile al momento vedere nella home di Save The Children India. Si legge invece benissimo sulla home di Save The Children Uk.
Ora, quando Shireen Valiki Miller si riferisce alla massima pena secondo il codice penale indiano, nel caso degli stupri si tratta di una perifrasi per dire pena di morte, a seguito dell’innalzamento della pena massima per crimini sessuali dopo lo “stupro di Delhi”.
Come dimostrato dal ripetersi continuo di episodi di violenza in India, la pena di morte non è assolutamente un deterrente. E se un’uscita del genere è più che comprensibile – seppur non condivisibile – da parte dei parenti delle vittime, la posizione di Save The Children India appare abbastanza grave e non aiuta le riflessioni profonde che un caso del genere dovrebbe generare.
Peccato.