Di solito a quattro giorni dall’apertura delle urne si attacca con “È davvero tutto pronto…” e via a spiegare cosa ci si aspetta dall’esito delle urne. Cosa che si può fare – e si farà – ma senza uno straccio di documento programmatico che spieghi per quale motivo un indiano dovrebbe votare per Narendra Modi.

Lunedì si inizia a votare e le trombe che suonano l’avanzata della “Modi Wave” si fanno sempre più insistenti. Su giornali stranieri e locali l’eventualità di Modi primo ministro è data con una certezza spiazzante, probabilmente valutando la pochezza degli avversari che dovrebbero ostacolare l’inevitabile: un Congress drammaticamente in sordina, quasi rassegnato alla sconfitta aritmetica, deciso a giocarsi tutto nel “mercato delle vacche” delle alleanze post elettorali; un Aap che gode dello slancio del nuovo che avanza, coltivando sogni di gloria che ne facciano la terza forza politica nazionale, posizionandosi dietro lo scranno del vincitore a manovrare gli equilibrismi parlamentari.
Preparandomi all’inevitabile, dunque, ho provato a cercare del materiale che mi indicasse quale fosse, nel dettaglio, questa benedetta “Vision” di NaMo, quali fossero i piani di crescita, politica estera, riduzione della povertà, lotta alla corruzione, creazione di posti di lavoro, stanziamento di fondi per le infrastrutture di cui questa immaginata “Shining India” ha disperato bisogno per provare a competere alla pari con Pechino e il resto del Sudest asiatico, per cominciare. Tutti dettagli che dovrebbero essere contenuti nel minaccioso “Manifesto Programmatico”, un papiro di buone intenzioni destinate spesso ad essere disattese.
Mentre Congress e Aap hanno diligentemente pubblicato il loro programma – i primi concentrati su misure di sostegno per le classi indigenti e consolidamento dello stato sociale, i secondi su lotta alla corruzione – il Bjp non è ancora riuscito a mostrare una riga circa le intenzioni reali di un governo Modi.
È interessante notare come il tenore della campagna elettorale non ne risenta assolutamente, muovendosi secondo schemi di distruzione dell’avversario perché corrotto, falso, vecchio, senza esperienza, italiano, estremista hindu, psicopatico, anarchico, mangiatore di manzo / maiale, fallito, inetto, incapace…
Se qualcuno fosse interessato a valutare, numeri alla mano, cosa ci si può aspettare da un India governata da Modi, i sostenitori del Bjp si rifanno all’immagine eterea del cosiddetto “Modello Gujarat”, ovvero replicare su scala indiana l’amministrazione virtuosa di Modi in due mandati da chief minister dello stato indiano occidentale.
I tassi di crescita dal 2001 ad oggi del Gujarat sono stati effettivamente sopra la media nazionale (tra il 5 e il 6 per cento, un punto percentuale in più della media indiana), grazie ad agevolazioni fiscali e la collaborazione attiva del governo locale nel dirimere le problematiche salariali e di compravendita dei terreni (stringendo sui diritti dei lavoratori e dei piccoli proprietari terrieri, chiaramente). Ma il Gujarat è sempre cresciuto oltre la media anche prima di Modi e soprattutto, durante Modi, non ha saputo agire con la stessa efficacia mostrata nel Pil sui problemi strutturali della popolazione locale: povertà, alfabetizzazione, aumento dei salari minimi, denutrizione infantile, diminuzione della forbice tra ricchi e poveri.
Il Modello Gujarat, secondo i detrattori, nasconderebbe dietro al Pil il proseguimento della crescita a due velocità indiana, con riserve di ricchi sempre più facoltosi circondati da sacche di povertà incapaci di affrancarsi dalla propria condizione, di poter aspirare ad un miglioramento sensibile della propria esistenza.
Ma tutte queste valutazioni – assieme ai grandi interrogativi di politica estera, ad esempio – sono completamente risibili rispetto all’aura di “Uomo del Fare” che Narendra Modi è stato in grado di costruirsi in questi mesi di campagna elettorale, uscendo vincitore dai pantani delle correnti del Bjp e mostrando l’immagine di un leader autoritario poco disposto al dialogo o alla mediazione.
Alle folle dei comizi Modi promette crescita, sviluppo, gloria e grandeur e nessuno si sogna di mettere in dubbio il “come”, nessuno lo interroga circa le famose coperture, nessuno si interroga su quali saranno le mosse di Modi in seno all’Onu o -soprattutto – al Wto.
Spostando il baricentro dello scontro politico nel campo dei sogni, grazie a un’oratoria superlativa e a un’amministrazione del Congress sotto molti punti di vista fallimentare, Modi è riuscito a magnetizzare il voto dell’India delle grandi speranze infrante, di chi vuole vedere un primo ministro guerriero, “con le palle”, in contrapposizione al mite burocrate Manmohan Singh eternamente condannato al ruolo di burattino nelle mani dell’italiana Sonia Gandhi.
Dal 7 aprile al 12 maggio si voterà il carisma, la sfacciataggine, il machismo politico; poi si farà la conta dei voti e per quindici giorni ci si accorderà su quale coalizione sosterrà il vincitore delle elezioni – probabilmente Modi, ma sarà in grado di formare una coalizione che gli garantisca una maggioranza agevole in parlamento? – e solo allora, nella prima settimana di giugno, si insedierà il nuovo governo indiano. Poi, con calma, proveremo anche a capire dove l’India abbia intenzione di andare e, in particolare, come.
E se 810 milioni di elettori bastano per esaltare la grande festa dell’espressione democratica, questa è l’altra faccia della democrazia con caratteristiche indiane.
Di solito a quattro giorni dall’apertura delle urne si attacca con “È davvero tutto pronto…” e via a spiegare cosa ci si aspetta dall’esito delle urne. Cosa che si può fare – e si farà – ma senza uno straccio di documento programmatico che spieghi per quale motivo un indiano dovrebbe votare per Narendra Modi.