«Non avere sicurezza su Internet equivale a non avere sicurezza nazionale. Non avere informatizzazione equivale a non avere modernizzazione». Parola di Xi Jinping, che dopo la sequela di cariche accumulate nel suo primo anno di leadership, assume su di sé anche la guida del Comitato per la cybersicurezza cinese. Ma quali sono gli obiettivi di questo nuovo organo della nomenklatura cinese?

Secondo quanto riportato dalla stampa internazionale e cinese, l’obiettivo è fare della Cina una moderna potenza informatica. Del resto dei 600 milioni di utenti registrati a fine 2013, la maggior parte è urbana. Un primo sforzo, viene detto, andrà quindi ad aumentare le infrastrutture, consentendo a sempre più persone di partecipare all’immenso mercato on line del paese. Si potrebbe dunque pensare ad una mossa inserita ancora una volta all’interno di quelle misure che puntano ad aumentare il mercato interno, foraggiando l’e-commerce che ha visto negli ultimi anni un boom senza precedenti.
Come ha scritto il China Daily, «Alla fine del 2013, la Cina aveva circa 618 milioni di utenti Internet, ma solo il 28,6 per cento di loro viveva in campagna. Xi ha chiesto sforzi per aumentare lo sviluppo di tecnologie chiave e l’assegnazione di maggiori risorse nella costruzione di infrastrutture.
Egli ha infine chiesto politiche più favorevoli per le imprese tecnologiche di Internet per consentire loro di innovare».
Inoltre c’è la volontà di aumentare le competenze tecnologiche, per portare avanti quella trasformazione epocale della struttura produttiva del paese: puntare di più sulla qualità. Come riportato dal New York Times, «la Cina oggi ha la seconda più grande economia del mondo, dopo gli Stati Uniti, e il maggior numero di utenti Internet, più di 600 milioni. Ma le autorità cinesi si lamentano che le capacità scientifiche e tecnologiche del paese sono molto indietro rispetto a quelle dei paesi più sviluppati. L’annuncio del governo non ha offerto dettagli circa quale sicurezza informatica e informatizzazione verrà trattata dal gruppo, ma il governo ha chiarito che è determinato a rafforzare le sue capacità».
In realtà però ci sono alcune questioni che non sono state sottolineate adeguatamente. Il controllo del numero uno del paese su questo tipo di organizzazioni interne, specie oggi, suggerisce alcuni percorsi possibili nel prossimo futuro:
1) Potrebbe dare vita ad un ulteriore irrigidimento dei controlli sulla rete; sappiamo quanto Xi Jinping abbia fatto sua la battaglia della compattezza ideologica del Partito e quanto il Movimento Nuovi cittadini che tanto seguito ha avuto, abbia saputo sfruttare proprio la rete per incidere profondamente sulla società cinese.
2) Di sicuro, anche la Cina come gli Usa e la Gran Bretagna, hanno un sistema di controllo e di spionaggio: la scelta di formare un comitato presieduto da Xi e da altri due membri del Politburo (uno è il premier Li Keqiang) potrebbe suggerire la volontà cinese di evitare a tutti i costi un potenziale Snowden cinese. Controllo ferreo e nessuna possibilità che un domani qualche leaks dall’interno possa rovinare l’immagine del paese.
3) Infine, la questione della sovranità digitale: proprio lo scandalo Datagate potrebbe offrire un’ottima possibilità, data da vari giochi di sponda con Russia e India, ad esempio, per spingere sul concetto di sovranità digitale, che potrebbe diventare un nuovo obiettivo internazionale del Dragone; ovvero affermare internet nazionali, governati da proprie leggi e chiuse a potenziali controlli esterni. Potrebbe essere un ambito internazionale, di cui la Cina potrebbe guidare un’importante compagine.
«Non avere sicurezza su Internet equivale a non avere sicurezza nazionale. Non avere informatizzazione equivale a non avere modernizzazione». Parola di Xi Jinping, che dopo la sequela di cariche accumulate nel suo primo anno di leadership, assume su di sé anche la guida del Comitato per la cybersicurezza cinese. Ma quali sono gli obiettivi di questo nuovo organo della nomenklatura cinese?