Quando l’ex potente leader di Chongqing Bo Xilai, giovedì a processo, iniziò la propria parabola discendente, eliminato, espulso e infine incriminato per questioni legate a corruzione e abuso di potere, si disse che per la «nuova sinistra» cinese sarebbero cominciati tempi bui.

Quel gruppo di intellettuali, funzionari e accademici che veniva inserito all’interno della «nuova sinistra» si diceva avrebbe avuto un periodo gramo, a causa dell’ineluttabile lotta che sarebbe seguita al capitombolo di Bo Xilai. Quest’ultimo, infatti, attraverso la sua campagna «canta il rosso, picchia il nero» aveva recuperato antichi slogan maoisti e attraverso una politica popolare, era diventato il nuovo punto di riferimento della sinistra cinese.
E’ bene però precisare alcuni punti: innanzitutto l’utilizzo del termine «nuova sinistra» è una semplificazione – dovuta – giornalistica, perché non esiste, né è esistito in passato un corpo unico teorico capace di unire tutto quanto veniva inserito all’interno del filone della nuova sinistra. Inoltre alcuni tra gli intellettuali più in vista di questa «corrente» hanno sempre rifiutato il termine, si veda per tutti Wang Hui.
Esiste inoltre un’altra importanza specificazione: esiste infatti una «sinistra» cinese che si riconduce al socialismo e alla democrazia costituzionale, che recupera per certi versi Marx e non solo nell’analisi della società contemporanea e che avrebbe anche l’intenzione di rileggere, da sinistra, nel termine più vicino a quanto intendiamo in Occidente (a parte la recente difficoltà anche occidentale di definire cosa si intenda oggi per «sinistra») la storia rivoluzionaria cinese. Questa corrente, specie intellettuale, non può essere accomunata a funzionari o accademici che invece si definiscono «neomaoisti» ma che sono molto distanti dalle istanze appena descritte.
Per quanto il giornalismo debba semplificare, non si può infatti banalizzare. Così inserire Bo Xilai e i suoi sostenitori, come ad esempio tutto quanto era ed è legato al sito e alla libreria Utopia a Pechino, all’interno del filone della cosiddetta «nuova sinistra» appare piuttosto inesatto. I «neomaoisti» infatti si potrebbero definire oggi «neonazionalisti» in quanto di quel periodo storico riprendono e recuperano soprattutto le istanze più nazionaliste e dunque conservatrici.
Ecco allora che quando si dice che Xi Jinping, nelle sue recenti affermazioni pro Mao, avrebbe fatto riaffiorare la «nuova sinistra» nell’ambito del dibattito politico cinese, si dice una inesattezza. Quanto abbiamo sempre definito «nuova sinistra» infatti si riferisce a istanze più «liberali» di quanto non si pensi; la corrente intellettuale pare anche abbia avuto un ruolo di primo piano durante il periodo armonioso di Hu Jintao, salvo poi incontrare difficoltà di fronte alla necessaria volontà di ristrutturare l’economia e il recupero di un’unità del Partito voluto dalla dirigenza pechinese.
Negli scorsi giorni Xi Jinping avrebbe rinnovato la sua attenzione al vecchio Mao, attraverso alcune affermazioni che hanno di nuovo consentito a molti media di definirlo come il «nuovo Mao». In realtà Xi Jinping, nell’ambito del suo tentativo di disegnare il «sogno cinese» sta cercando di tenere unito il Partito, consentendo anche all’ala più conservatrice e nazionalista di appoggiarlo. Le recenti dichiarazioni secondo cui serve una figura forte, come ha specifica Jiang Zemin con riferimento a Xi Jinping, fanno credere che Xi abbia in pugno il partito, proprio perché capace di accontentare quei liberali che chiedono riforme economiche e quei conservatori che non chiedono tanto politiche socialiste, quanto una Cina forte, determinata, sopratutto nell’ambito delle politiche asiatiche (si veda la contesa con il Giappone o con i confinanti per il mare cinese del Sud). Il sogno cinese forse è questo: una Cina forte, nazionalista, orgogliosa della rinnovata forza economica e capace di ristrutturare l’economia come richiesto dalla nuova situazione economica mondiale.