Secondo il New York Times, «nel gennaio dello scorso anno, poco dopo che Xi Jinping è arrivato al potere, la sorella maggiore e il cognato hanno perfezionato la cessione della loro quota del 50 per cento in una società di investimento di Pechino che avevano messo su in partnership con una banca di proprietà dello Stato. Secondo il finanziere miliardario Xiao Jianhua, che ha co-fondato la società che ha acquistato la quota, la mossa è parte di uno sforzo costante da parte della famiglia per uscire dagli investimenti».
Cosa signfiica? Significa alcune cose: innanzitutto che la campagna contro la corruzione lanciata da Xi Jinping non si fermerà a breve e continuerà a picchiare duro contro i funzionari corrotti. Dall’altro significa che il peso di alcune inchieste dei media occidentali, come quella di Bloomberg di un anno e mezzo fa, vengono viste con una certa attenzione dalla leadership cinese, se è vero come sostiene il Times, che Xi non è l’unico politico che sta «mollando» alcuni investimenti.
Le due cose sono collegate: liberando la propria famiglia da pericolose connesioni (non credo che Xi e i suoi parenti si liberino dello ricchezze quanto di proprietà e azioni da cui sarebbe facile risalire a loro) Xi Jinping si smarca da possibili nemici interni e può continuare la sua lotta a tigri e mosche, come più volte annunciato.
Secondo la fonte del Times, «dal 2012 fino a quest’anno, la sorella del signor Xi, Qi Qiaoqiao, e il cognato, Deng Jiagui, hanno venduto partecipazioni in almeno 10 aziende, per lo più incentrate nei settori minerario e immobiliare. In tutto, le società che la coppia ha venduti, liquidato o, in un caso, trasferito a un socio in affari di fiducia, hanno un valore di centinaia di milioni di dollari, parte di una fortuna documentata in un rapporto del Giugno 2012 da Bloomberg News».
Va specificato che «nessuna quota di investimento è legata direttamente al signor Xi o alla moglie e la figlia», ma le numerose attività commerciali di sua sorella e del cognato sono parte «di un modello diffuso tra i parenti dell’elite del Politburo, che hanno costruito notevoli fortune sfruttando la posizione politica della loro famiglia».
Analogamente aveva fatto Wen Jiabao, il precedente premier, colto da un’inchiesta del New York Times, che valse il Pulitzer al quotidiano. Nel reportage, costruito dopo lo studio di numerosi documenti e l’aiuto di un team di avvocati, i parenti del premier figuravano in numerose società di investimenti.
È abitudine dei dirigenti cinesi costruire piramidi finanziarie, confermando la straordinaria vicinanza tra potere politico ed economico in Cina.

Come specifica il New York Times, «le famiglie dominanti dell’élite cinese hanno accumulato miliardi di dollari in beni, tra cui quote societarie e immobili, negli ultimi dieci anni in cui l’economia cinese è cresciuta. Molti degli investimenti sono relativi a miniere, infrastrutture e immobili che coinvolgono la privatizzazione dei beni ex statali.
Almeno quattro famiglie tra i nove uomini del Comitato permanente del Politburo che hanno governato il paese dal 2007 al 2012 possiedono o controllano attività documentate per un valore superiore a 150 milioni di dollari, compresi i parenti del signor Xi, dell’ex primo ministro Wen Jiabao, del signor Zhou e di Jia Qinglin, l’ex membro numero quattro nella gerarchia di partito».
Secondo il New York Times, «nel gennaio dello scorso anno, poco dopo che Xi Jinping è arrivato al potere, la sorella maggiore e il cognato hanno perfezionato la cessione della loro quota del 50 per cento in una società di investimento di Pechino che avevano messo su in partnership con una banca di proprietà dello Stato. Secondo il finanziere miliardario Xiao Jianhua, che ha co-fondato la società che ha acquistato la quota, la mossa è parte di uno sforzo costante da parte della famiglia per uscire dagli investimenti».