Il silenzio che domina nella valle di Lalish è eterno, immutabile, sovrannaturale. Un rito iniziatico che parte già dal camminare a piedi nudi per la strada che porta all’ingresso del villaggio-tempio.

Si abbassa la voce, a Lalish, mentre si avanza con circospezione, cercando di focalizzare particolari e segnali sparsi dappertutto.
Simboli cabalistici, sacri serpenti neri, pavoni (come viene raffigurato l’angelo Melek Ta’us) e sopra tutti, il sole.
Ogni gesto, ogni colore presente nella lucente Lalish ha un significato preciso, spesso difficilmente comprensibile ai non iniziati. Lalish si trova a circa sessanta chilometri da Mosul.
E’ la sacra casa degli Yazidi. Un gruppo etnoreligioso di circa 500mila persone che vivono qui, in questi paesaggi immutati, da secoli. Una religione e una comunità che si perde nella notte dei tempi e che ci racconta più di quattromila anni di storia.
Legati allo Zoroastrismo, nel corso dei secoli hanno ricevuto e donato influenze alle principali religioni monoteiste.
Molti di loro si sono allontanati da Mosul quando l’esercito iracheno ha rovinosamente lasciato le sue posizioni di fronti ai miliziani dell’Isis. Nella comunità è ancora vivo il ricordo degli attentati del 14 agosto del 2007, quando al-Qaeda mise a segno quattro tremendi attentati suicidi contro la comunità Yazida a Kahtaniya e Jazeera, poco fuori Mosul.
Un massacro. Cinquecento i morti (per la Croce rossa irachena 796) e oltre 1500 feriti. “Il problema dell’intolleranza e dell’estremismo ci ha toccato pesantemente. È un problema per tutto l’Iraq”, racconta Baba Chawish, sacerdote del tempio. “Hanno ucciso diversi di noi anche nei giorni scorsi. La maggior parte degli yazidi che vive intorno a Mosul è fuggita. Molti si sono rifugiati nei villaggi della valle. “Amiamo tutte le religioni, tutti i popoli. Se tutti facessero come noi nel mondo non ci sarebbe nessun problema. La nostra porta è aperta , tutte le nostre case sono aperte per sunniti, sciiti, cristiani.”
Simili agli yazidi sono gli Shabak, stimati attorno alle sessantamila unità e che vivono anch’essi nel governatorato di Ninive. Il settanta per cento di loro è sciita, mentre il restante 30% è sunnita.
Dal 2003 ad oggi oltre mille shabak sono stati uccisi dalla violenza settaria sunnita. Mentre per i cristiani il novello califfato di Abu Bakr al-Baghdadi prevede comunque un loro posto nella società, per shabak e yazidi ciò non è possibile.
Considerati ‘adoratori del diavolo’, sono obbligati a prendere atto che una coesistenza pacifica tra religioni, in un contesto come quello attuale, è impossibile.
Il silenzio che domina nella valle di Lalish è eterno, immutabile, sovrannaturale. Un rito iniziatico che parte già dal camminare a piedi nudi per la strada che porta all’ingresso del villaggio-tempio.