La condanna a morte per proselitismo di Hammed bin Haydara espone le persecuzioni in corso contro le minoranze religiose. Nel mirino delle milizie sciite è finita la comunità baha’i, da tempo sotto attacco a Teheran. E che ora rischia di essere cancellata a Sana’a
Il caso di Hammed bin Haydara sta diventando il caso più di rilievo in Yemen come prova della violazione dei diritti umani e civili in guerra. Una questione che si gioca sui diritti delle minoranze religiose dello Yemen poco conosciute almeno fino alla sentenza di morte pronunciata dalla corte delle milizie degli Houthi yemeniti nel Nord nei confronti di Haydara, accusato di proselitismo in favore della sua fede baha’i.
L’uomo, detenuto da ben quattro anni, è stato vittima di pesanti torture, malattie indotte tra cui una gravissima cardiopatia, isolamento forzato. Sarebbe stato anche costretto a firmare false confessioni sotto tortura, secondo quanto sostengono i suoi avvocati. La “Yemeni initiative to defend the minorities rights” considera il caso di Haydara come il caso più grave ai danni della minoranza baha’i in Yemen e sostiene che questo atto e le sue conseguenze rendono evidente l’obiettivo delle milizie del Nord: cancellare la comunità baha’i dal Paese e sradicare la diversità religiosa in Yemen.
La “Yemeni initiative” tira in ballo “l’agenda iraniana” e viene seguita a ruota dai media sauditi come al-Arabiya. Il motivo risiede nella nota estromissione dei baha’i dalla vita politica e civile nell’Iran dei pasdaran, particolarmente ostili a questa comunità religiosa che il suo leader Bahaullah fondò nel 1863, identificandosi con l’ultimo profeta inviato da Allah, alla stregua di Gesù o Maometto. La comunità conta a oggi tra i 5 e i 7 milioni di aderenti nel mondo.
La vicenda di Haydara in Yemen non è isolata e la denuncia di persecuzione nei confronti di questa minoranza religiosa appare credibile, considerato che le milizie del Nord hanno già arrestato dozzine di baha’i senza capi d’accusa e che venerdì scorso la Corte marziale del Nord – la stessa che ha condannato a morte Haydara e ha chiesto la confisca dei beni immobili e mobili per lui e per la sua famiglia – ha deciso di chiudere tutti i centri di fede baha’i nel Paese.
Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Onchr) ha già condannato la vicenda lo scorso maggio, ma c’è il timore che la sentenza emessa nei confronti di Haydara e il provvedimento annunciato siano il preludio di una ufficiale “caccia al baha’i” nel Paese, in particolare nella capitale Sana’a, in mano esclusiva alle milizie Houthi che si ispirano a Hezbollah e guardano alla teocrazia iraniana come un modello da perseguire. L’Onchr sostiene che più di 2mila persone di fede baha’i nel Paese sono a rischio discriminazione e persecuzione.
Il rapporto sulla libertà religiosa delle Nazioni Unite trova similitudini tra la situazione che i baha’i attraversano nello Yemen attuale delle milizie filo-hezbollah e l’Iran khomeinista dove, dalla rivoluzione del 1979, i baha’i sono l’unica minoranza religiosa ufficialmente perseguitata e ritenuta illegale. I baha’i iraniani, infatti, dopo il 1979 si sono dispersi in varie zone nel mondo, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada e in Europa. In Yemen sono stati tollerati fino a quando le milizie Houthi si sono espanse in tutto il Paese, rimanendo poi al controllo esclusivo nel Nord, da Saada a Taiz.
A sollevare la voce per prima, conducendo un’inchiesta articolata sul campo, era stata l’organizzazione umanitaria yemenita Mwatana che ha prodotto un report poi diffuso e firmato anche da Amnesty International, per chiedere pressioni internazionali per il rilascio di Hammed bin Haydara dalla prigionia. L’uomo, dell’età di 52 anni, venne arrestato nel dicembre 2013 e i documenti esaminati dalla corte che ha poi emanato la sentenza lo accusano, oltre che di proselitismo, di minare alla sicurezza dello Yemen e, soprattutto, di avere raccolto e falsificato carte di identità locali per acquistare dei terreni dove reclutare altre persone di fede baha’i e minare la sicurezza dello Stato, secondo istruzioni ricevute dalla Casa della Giustizia in Israele.
Tutto l’impianto accusatorio si basa soprattutto su un particolare: il fatto che Haydara, nato a Socotra nel 1964 da padre iraniano naturalizzato yemenita nel 1954 dal Sultano di al-Mahra, ottenne ufficialmente la nazionalità yemenita nel 1985. Il padre, dopo la naturalizzazione, modificò il suo nome da Mirza Kamali Sirostani a Kamal Mohammed bin Haydara. E quando il figlio ottenne a sua volta la nazionalità yemenita modificò il suo nome da Hammed Mirza Kamali Sirostani a Hammed Kamal Mohammad bin Haydara. I passaggi burocratici di questo cambiamento, come spesso accede in Yemen, non sono stati registrati da una fedele burocrazia. La mancanza di documenti che li testimonino, oltre che la carta di identità parzialmente compilata, sono stati utilizzati come prove della frode di cui è accusato.
Il complicato caso giudiziario è stato presentato parecchi mesi fa al Comitato per i Diritti umani delle Nazioni Unite da Mwtana e Amnesty International che già si dicevano fortemente preoccupate che a Hammed bin Haydara potesse essere comminata la pena di morte, trasformandolo nel capro espiatorio di una intolleranza religiosa e culturale nuova allo Yemen ma ormai sempre più diffusa.
La condanna a morte per proselitismo di Hammed bin Haydara espone le persecuzioni in corso contro le minoranze religiose. Nel mirino delle milizie sciite è finita la comunità baha’i, da tempo sotto attacco a Teheran. E che ora rischia di essere cancellata a Sana’a