Orlando Trinchi ha intervistato per noi Mohamed Hazem Abbas, amico fraterno di Patrick Zaki. Domani l’udienza a Mansura, in Egitto
“Siamo stati molto sollevati dal fatto che, dopo più di 650 giorni, Patrick ha dormito nel suo letto e non sul pavimento. Ha potuto trascorrere finalmente del tempo con la sua famiglia e gli amici. Ma siamo molto cauti nei confronti di quello che potrebbe succedere. Non dimentichiamoci che il processo è ancora in corso”. Non nasconde l’emozione Mohamed Hazem Abbas, amico fraterno di Patrick Zaki, alla notizia della scarcerazione del ricercatore, avvenuta l’8 dicembre dopo 22 mesi di detenzione preventiva in un carcere del Cairo.
Scarcerato ma non ancora assolto: cosa c’è da temere?
Vi sono tre scenari che potrebbero verificarsi: nel primo – lo scenario peggiore – Patrick subirà una dura sentenza; nel secondo, otterrà una condanna di due anni che non sconterà, in quanto ha già trascorso lo stesso lasso di tempo in custodia cautelare; nel terzo – lo scenario migliore – Patrick viene assolto e tutte le accuse ritirate. Il primo scenario è quello che temiamo maggiormente.
Siete ottimisti riguardo la prossima udienza?
Se saremo capaci di mantenere alta la pressione sul Governo egiziano, il primo febbraio potrebbe arrivare qualche bella notizia, ovvero lo scenario migliore fra quelli descritti in precedenza.
Cosa dovrebbe fare l’Italia per aiutare Patrick?
Continuare a incalzare e sollecitare con determinazione affinché cadano le accuse mosse contro di lui e si smetta di tormentarlo: in assenza di ciò, non ci sono garanzie che Patrick rimanga fuori di prigione.
Zaki è stato in prigione dal 7 febbraio 2020 per “diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”. Quali sono, a suo avviso, le vere ragioni dietro la sua detenzione?
Secondo me, una delle principali ragioni per cui Patrick e migliaia di altri attivisti sono stati perseguiti è la loro partecipazione alla rivoluzione del 25 gennaio 2011. Esiste un modello di rappresaglia continua contro chiunque abbia preso parte a qualcosa di collegato alla rivoluzione egiziana. Patrick, inoltre, è un attivista politico e per i diritti umani e, infine, uno dei pochi attivisti cristiani copti che hanno deciso di non seguire il percorso tracciato per loro dalla chiesa in conformità ai dettami dello Stato.
Lei è un amico fraterno di Patrick Zaki: come lo descriverebbe?
Patrick è un narratore divertente e talentuoso. È anche una persona molto sincera e premurosa verso tutti coloro che lo circondano. I due anni che ha trascorso in prigione sono stati davvero molto difficili per tutti i suoi amici perché hanno segnato un vuoto nelle loro vite.
Zaki ha chiesto: “non dimenticatevi di me e dei 60mila prigionieri egiziani”. La situazione dei diritti civili in Egitto è davvero così drammatica?
Preferisco chiamarla tragica piuttosto che drammatica. Dal colpo di Stato militare del 2013, decine di migliaia di attivisti politici sono stati arrestati, mentre ci sono stati oltre 3000 casi di sparizioni forzate. Le condizioni carcerarie in Egitto sono terribili: i detenuti non hanno accesso all’acqua pulita, a una corretta alimentazione, a esercizio fisico o ricambio d’aria. In alcuni casi, la negligenza medica ha portato alla morte delle persone. Le prigioni sono così sovraffollate che lo Stato ne costruisce sempre di più quasi ogni anno.
“Siamo stati molto sollevati dal fatto che, dopo più di 650 giorni, Patrick ha dormito nel suo letto e non sul pavimento. Ha potuto trascorrere finalmente del tempo con la sua famiglia e gli amici. Ma siamo molto cauti nei confronti di quello che potrebbe succedere. Non dimentichiamoci che il processo è ancora in corso”. Non nasconde l’emozione Mohamed Hazem Abbas, amico fraterno di Patrick Zaki, alla notizia della scarcerazione del ricercatore, avvenuta l’8 dicembre dopo 22 mesi di detenzione preventiva in un carcere del Cairo.