Per Israele, l’Onu è sempre stata troppo politicamente schierata verso la causa palestinese, ma ora, con la guerra a Gaza, le differenze e i contrasti si sono ulteriormente acuiti: revocato il visto al coordinatore umanitario Onu Lynn Hastings.
I rapporti tra Nazioni Unite e Israele non sono mai stati idilliaci. Le guerre che hanno visto impegnato il paese ebraico, la questione dei Territori, i confini. In questi luoghi tutti imparano ad avere a che fare con le Risoluzioni, a riconoscerne i numeri, a sapere compiti e poteri dei vari organismi. Ma in questo periodo, dall’aggressione di Hamas a Israele del 7 ottobre con conseguente attacco a Gaza, sembrano ormai irrimediabilmente compromessi i rapporti tra Israele e le Nazioni Unite.
La decisione da parte di Gerusalemme, formalizzata mercoledì, di revocare il visto a Lynn Hastings, coordinatore umanitario per le Nazioni Unite nella città santa, è stata solo l’ultima delle schermaglie tra le due parti. Il ministro degli esteri israeliano, Eli Cohen, ha infatti affermato senza mezzi termini che “chi non ha condannato Hamas per il brutale massacro di 1.200 israeliani ma condanna invece Israele, un paese democratico che protegge i suoi cittadini, non può prestare servizio nelle Nazioni Unite e non può entrare in Israele!”.
Per Israele, l’Onu è sempre stata troppo politicamente schierata verso la causa palestinese, ma ora, con la guerra a Gaza, le differenze e i contrasti si sono ulteriormente acuiti. Già pochi giorni fa la Hastings aveva sottolineato come i continui bombardamenti di Israele rendono difficili le operazioni umanitarie, senza mai però fare cenno alla condizione e alla sorte degli ostaggi israeliani a Gaza.
Oltre alla Hastings, Israele non vede di buon occhio nemmeno le continue esternazioni del Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres. Il 18 ottobre Guterres aveva chiesto un cessate il fuoco immediato, condannando la punizione collettiva dei palestinesi.
Pochi giorni dopo, il 25 ottobre, aveva poi suscitato grande scalpore una sua frase, in cui aveva affermato che l’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre non è avvenuto “nel vuoto poiché i palestinesi sono stati sottoposti a 56 anni di soffocante occupazione”. “I palestinesi – aveva aggiunto il segretario dell’Onu – hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e piagata dalla violenza; la loro economia soffocata; la loro gente sfollata e le loro case demolite. Le loro speranze per una soluzione politica sono svanite”.
“Scioccanti, orribili e totalmente distaccate dalla realtà”, così furono immediatamente definite queste dichiarazioni dal rappresentante israeliano all’Onu, Gilad Erdan. Rincarò la dose il ministro Eli Cohen, che chiese a Guterres “dove vive, sicuramente questo non è il nostro mondo”.
A causa di queste frizioni, Cohen poi cancellò un incontro programmato con il segretario generale dell’Onu. “Dopo il 7 ottobre – ha detto varie volte Cohen – non c’è spazio per un approccio equilibrato”.
Guterres, forse per tentare di aggiustare il tiro in uno sforzo diplomatico, aveva alla fine detto che “le lamentele del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas. E questi terribili attacchi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”. Ma servì a poco.
In risposta a quella frase l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, aveva detto che sarebbero stati negati i visti ai funzionari delle Nazioni Unite. Cohen, nei giorni scorsi ha anche detto senza mezzi termini che Guterres non è idoneo a guidare l’Onu, accusandolo di sostenere Hamas e chiedendo le sue dimissioni. Il suo mandato a capo dell’agenzia è stato definito da Cohen come “un pericolo per la pace nel mondo”.
Da qui in poi è tutto stato un’accusa reciproca. Pochi giorni fa sui principali giornali israeliani è apparsa, con grande risalto, la notizia che uno dei prigionieri israeliani rilasciati durante la tregua di sette giorni era stato tenuto segregato da un’insegnante di una scuola gestita dall’Unrwa (l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi). Accuse subito respinte dall’organizzazione, che le ha definite infondate e che ha controbattuto accusando Israele di bombardare le loro scuole e i loro edifici e che 130 persone del loro staff sono rimaste uccise nei raid israeliani.
Le scuole Unrwa attualmente ospitano circa 1,2 milioni di civili – due terzi di tutti gli sfollati a Gaza – sia nel nord che nel sud della Striscia. Ma in queste scuole sono state anche trovate armi dall’esercito.
Nel mirino delle polemiche, è finita anche l’Unicef la cui direttrice generale ha infatti rilasciato una dichiarazione in cui condanna genericamente le violenze sessuali perpetrate in Israele il 7 ottobre, senza però mai né menzionare né condannare apertamente Hamas.
Cosa che Israele ha ritenuto inaccettabile. Come pure il fatto che l’agenzia Onu per le donne ci ha messo 57 giorni per aprire un dibattito sugli stupri e le violenze contro le donne israeliane da parte di Hamas.
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, ha deciso intanto di tentare la sua ultima carta, invocando, per la prima volta dal suo insediamento, l’art. 99 della Carta delle Nazioni Unite. In una lettera inviata al Consiglio di Sicurezza, il capo delle Nazioni Unite ha utilizzato quello che è considerato lo strumento diplomatico più potente che ha a disposizione per portare all’attenzione qualsiasi questione che, a suo avviso, possa minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. “Ho appena invocato l’articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite, per la prima volta nel mio mandato di segretario generale – afferma Guterres in un post su ‘X’ – di fronte al grave rischio di collasso del sistema umanitario a Gaza, esorto il Consiglio a contribuire a evitare una catastrofe umanitaria e faccio appello affinché venga dichiarato un cessate il fuoco umanitario”.
Cohen ha subito detto che è una mossa che vuole aiutare Hamas, perché un cessate il fuoco permette al gruppo che controlla Gaza di riorganizzarsi. La risoluzione per il cessate il fuoco è già pronta, ma, come sempre successo nella storia dei rapporti tra Israele e Onu, il primo può contare sul suo alleato americano, che ha il diritto di veto in Consiglio, per bloccare queste risoluzioni. Cosa che succederà ancora, aprendo di nuovo il dibattito sui veri poteri e ruolo del palazzo di vetro.
I rapporti tra Nazioni Unite e Israele non sono mai stati idilliaci. Le guerre che hanno visto impegnato il paese ebraico, la questione dei Territori, i confini. In questi luoghi tutti imparano ad avere a che fare con le Risoluzioni, a riconoscerne i numeri, a sapere compiti e poteri dei vari organismi. Ma in questo periodo, dall’aggressione di Hamas a Israele del 7 ottobre con conseguente attacco a Gaza, sembrano ormai irrimediabilmente compromessi i rapporti tra Israele e le Nazioni Unite.
La decisione da parte di Gerusalemme, formalizzata mercoledì, di revocare il visto a Lynn Hastings, coordinatore umanitario per le Nazioni Unite nella città santa, è stata solo l’ultima delle schermaglie tra le due parti. Il ministro degli esteri israeliano, Eli Cohen, ha infatti affermato senza mezzi termini che “chi non ha condannato Hamas per il brutale massacro di 1.200 israeliani ma condanna invece Israele, un paese democratico che protegge i suoi cittadini, non può prestare servizio nelle Nazioni Unite e non può entrare in Israele!”.