Per lo più di seconda generazione o convertito, rifiuta l’islam perdente della tradizione familiare e nazionale, il poco che sa viene dalla propaganda in rete.
Capire i motivi della radicalizzazione per capire il terrorismo. È questo quello che vuole fare l’ultimo libro di Olivier Roy, islamista dell’European University Institute. Con “Le Djihad et la mort”, infatti, Roy prova a spiegare le ragioni che spingono un soggetto ad avvicinarsi all’Islamic state (Is). E parte da un assunto: non bisogna parlare di radicalizzazione dell’islam, ma di islamizzazione del radicalismo.
È un volume ragionato, quello di Roy, e che pone un quesito di fondo interessante: e se finora avessimo dato una interpretazione errata dei motivi che spingono i terroristi dell’Is a compiere le loro stragi? Da tempo si accusa il salafismo di essere la matrice della radicalizzazione di molti giovani, ma Roy nega che sia questo il motivo. I salafiti che diventano terroristi, sottolinea l’islamista, sono pochi. È il dissenso sociale, l’alienazione costante di alcune fasce dei musulmani europei, a essere il portale verso la radicalizzazione. E Roy lo spiega in modo preciso. Secondo la sua tesi bisogna partire dal fatto che in diverse aree metropolitane europee vivono giovani musulmani di seconda o terza generazione le cui aspettative sociali e professionali sono ridotte ai minimi termini. Frustrati e ghettizzati, abbracciano un islam utopico, narrato con enfasi e dolo dai terroristi dell’Is. In pratica, il Califfato non fa altro che dare una speranza a chi speranza non ha. E lo fa per scopi puramente politici. Roy ricorda infatti che l’Is non è a mero supporto dei musulmani, considerati tutti quelli morti nei recenti attentati, come quello di Nizza.
L’Islamic state usa quindi il pretesto dei salafiti per attirare fra le sue braccia i giovani perduti e quindi attuare il suo piano di terrore. Una prospettiva che apre diversi scenari. Il primo è che il terrorismo è frutto anche della ghettizzazione imposta dalla società europea. L’esempio? Le banlieu parigine, in cui questo fenomeno è più evidente grazie alla presenza fisica del Boulevard Périphérique. Il secondo scenario è quello della lotta al terrorismo, che oltre agli aspetti d’intelligence deve essere portata avanti dall’intera comunità moderata, senza facili populismi. Fino a quando non si renderà più inclusiva la nostra società, è questo il messaggio di fondo, non verranno fermate le azioni terroristiche dell’islamizzazione del radicalismo.
Il sentimento che spinge i giovani è quello della vendetta, secondo Roy. Vendetta contro una società che non li capisce e che non li vuole includere. In questo ambito, un importante ruolo può e deve essere giocato dagli attuali vertici dell’islam, che dovrebbero scendere in campo in modo deciso non solo condannando il terrorismo, ma anche creando le basi per una progressiva occidentalizzazione dell’islam. L’obiettivo è duplice. Da un lato ridurre gli attentati, dall’altro porre fine all’attrattiva dell’Islamic state in Europa. E per Roy, i programmi di de-radicalizzazione sono inutili. Questo perché chi voleva farsi esplodere, con fine vendicativo, nell’Is ha solo trovato un pretesto per farlo. E viceversa, l’Is utilizza menti deboli e manipolabili, che poco hanno a che fare con l’Islam, nel tentativo di guadagnare più potere.
Per Roy lo scopo dell’Is, dunque, non è quello di portare una guerra religiosa in Europa, ma non perdere terreno nei territori mediorientali. Non capirlo, specie a distanza di anni dal primo attacco, rischia di far durare ancora di più il periodo d’emergenza che sta vivendo il continente europeo. Ma non capirlo significa anche permettere che l’islamizzazione del radicalismo continui.
Per lo più di seconda generazione o convertito, rifiuta l’islam perdente della tradizione familiare e nazionale, il poco che sa viene dalla propaganda in rete.