A capo del partito democratico dal ‘93 la longevità politica di Janez Janša sta bloccando il Paese. Il semestre europeo e i fondi del Recovery Fund allontanano il possibile cambiamento politico
Il primo luglio la Slovenia ha assunto la presidenza di turno dell’Unione europea per la seconda volta da quando ne è membro. Come nel 2008, a rappresentare Lubiana nel consesso europeo è Janez Janša, il Primo Ministro e il politico che caratterizza la scena politica della Slovenia da oltre 30 anni, nel bene e nel male. Come leader giovanile della Lega dei Comunisti, egli fu uno dei quattro processati e condannati da un tribunale militare jugoslavo per aver pubblicato illegalmente documenti con segreti militari, un processo intorno al quale si raccolsero i primi moti di protesta contro il centralismo di Belgrado. Janša divenne poi uno dei protagonisti della guerra di indipendenza dei “10 giorni” (27 giugno – 6 luglio 1991) e Ministro della Difesa della Slovenia indipendente. Ora è accusato di essere la vergogna del Paese, di mettere il bavaglio ai media e di portare la Slovenia su derive autocratiche, autoritarie e vicine alle posizioni sovraniste di Viktor Orbán, il premier ungherese che è una presenza fissa nei congressi del Partito democratico sloveno (SDS), il principale partito parlamentare guidato con decisione da Janša. Un ex comunista eroe della Slovenia indipendente che ha tradito i valori per i quali ha combattutto, secondo i detrattori. Un eroe dell’indipendenza perseguitato dal cosidetto Stato profondo in mano alle sinistre, secondo i suoi sostenitori.
Si gioca in questo spazio angusto la partita politica della Slovenia, che con la vetrina europea ha la possibilità di amplificare le sue divisioni o mettere in luce le potenzialità di un paese piccolo e capace, che proprio 30 anni fa divenne indipendente. La bulimia social di Janša contribuisce ad alzare i toni dello scontro. Ribattezzato Maresciallo Twito o Twitler, il premier ricorre spesso a Twitter per polemizzare con i media, accusati di essere divulgatori di notizie false, e in particolare con l’Agenzia di stampa nazionale (STA), che considera schierata contro di lui e rimasta senza contratto e senza fondi pubblici nel 2021, vittima di una guerra fra il governo e il direttore.
Tuttavia, la realtà del Paese è più sfumata di come viene descritta. Ad esempio, la vicinanza all’Ungheria e, più in generale, al gruppo di Visegrad (V4 – Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) è dettata da contingenze e convenienze politiche prima ancora che da affinità elettive e valori condivisi. Se è vero che la presenza economica ungherese è sempre più significativa, soprattutto dopo l’acquisizione da parte dell’istituto di credito OTP della banca Nova KBM, che a sua volta aveva comprato il business della francese Sociéte Gènèrale, uscita dal mercato sloveno, è anche vero che l’interscambio con l’Ungheria è lontano anni luce da quello con Germamia, Italia e Austria, per citare i principali partner commerciali. La Slovenia, inoltre, può essere considerata un esempio virtuoso e non troppo problematico tanto in Europa centrale che nei Balcani sud-occidentali, le due naturali aree geografiche cui il paese guarda e fa riferimento. Infatti, Lubiana è uno dei pochi Stati d’oltre cortina che fa parte di tutte le istituzioni euro-atlantiche ed è membro sia dell’area Schengen che dell’Eurozona, tutti indicatori – quantomeno teorici – di sviluppo e stabilità.
Se da un lato c’è Janša a condizionare la scena politica, l’altra costante di questi decenni è rappresentata da diversi volti e partiti nuovi che si sono succeduti per contrastarlo, con alterne fortune, prima di essere spazzati via alle successive elezioni. Nati sia per dare una ventata di freschezza che per creare un polo di attrazione per gli oppositori di Janša, alcuni di questi movimenti e partiti sono passati con notevole disinvoltura da un lato all’altro del panorama politico, anche dopo aver formato una coalizione di governo con Janša. L’esempio più recente è quello del segretario del Partito dei Pensionati (DeSUS), Karl Erjavec, defenestrato a inizio 2020 e poi richiamato a dicembre scorso dello stesso anno per presentarsi come candidato unico del cosiddetto Arco costituzionale (KUL), sigla altisonante, ma poco fortunata intorno alla quale si sono raccolti tutti gli oppositori parlamentari del Governo. Risultato? Opposizione lontana dai voti necessari per sfiduciare Janša, Erjavec di nuovo fuori dalla politica, e parlamento ancora più diviso fra appartenenza partitica e voti d’Aula in ordine sparso. Di fatto, ora non esiste una chiara maggioranza, perché anche la coalizione di maggioranza per ben due volte non è riuscita a sfiduciare il Presidente del Parlamento, uscito dal suo partito di appartenenza che ancora sostiene Janša e quindi non più considerato figura di garanzia.
Dopo che le elezioni anticipate del 2018 avevano decretato ancora una volta l’SDS come primo partito politico, nessuno voleva sedersi al tavolo con Janša. Il successivo Governo di minoranza a trazione progressista, però, è durato meno di un anno e mezzo, prima di implodere e consegnare le chiavi alla destra, aiutata anche da un paio di partiti trasformisti. L’attuale esecutivo si è insediato a metà marzo 2020, all’inizio della crisi pandemica. Meno di un paio di mesi dopo il giuramento, le piazze di Lubiana hanno iniziato a riempirsi di persone che denunciavano furti ai danni dello Stato nell’approvvigionamento del materiale sanitario-protettivo, attentato alla democrazia e alla libertà di stampa. Per aggirare le prime restrizioni e mantenere il distanziamento, i manifestanti scelsero le biciclette, diventate simbolo di una protesta che si ripete ormai ogni venerdì da oltre un anno. A inizio giugno, sono state decine di migliaia le persone che hanno attraversato il centro di Lubiana, accompagnate per la prima volta anche da esponenti politici e parlamentari. Che però non sono stati (ancora?) in grado di esprimere un’alternativa politica credibile. Infatti, Janša può essere destituito solo in caso di voto di sfiducia o di dimissioni, ipotesi al momento remote, durante il semestre di presidenza europea.
Janša e la sua squadra di Governo, infatti, sono concentrati sulla presidenza del consiglio dell’Ue, ma anche sulla gestione dei fondi europei in arrivo con il Recovery Fund. Come emerso in un recente dibattito pubblico dal titolo The Future of Europe – Discussion on Strategic Challenges at the Beginning of the Pan-European Debate, l’agenda slovena per il semestre sarà notevolmente influenzata dal lavoro sulla transizione verde e su quella digitale. Tra gli altri temi predominanti ci saranno anche argomenti per i quali non c’è molta unità, quali il processo decisionale a maggioranza sulle questioni di politica estera e il quadro demografico, tema strategico secondo Janša, che ha anche creato un Fondo demografico per incentivare la natalità.
Il Presidente della Repubblica, Borut Pahor, intervenuto sui temi del semestre europeo, ha chiesto un dibattito inclusivo sia a livello di cittadini che a livello di politica, convinto che un’Ue forte e connessa è nell’interesse della Slovenia. E secondo Pahor, ex Primo Ministro socialdemocratico, l’Ue sarebbe ancora più forte, connessa e stabile se riuscisse ad aprire le porte ai paesi dei Balcani occidentali, “l’unico modo strategico per eliminare l’ascesa dei “nazionalismi”. Ma la politica slovena si è divisa ancora una volta, anche su questo tema. In primavera si è diffusa la (non) notizia di un documento ufficioso e anonimo, in gergo non paper, sostenuto dalla Slovenia per ridisegnare i confini della Bosnia Erzegovina. Sia Pahor che l’esecutivo, tramite il ministro degli Esteri, Anže Logar, ne hanno negato l’esistenza anche in Parlamento, anche perché distante dagli interessi della Slovenia.
Il semestre sloveno riserva grandi potenzialità, perché potrebbe abbinarsi al definitivo superamento della crisi sanitaria e alla ripresa economica, oltre a coincidere con il trentennale dell’indipendenza. Spetta alla politica sfruttare al meglio questa occasione.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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