Il capo dello Stato non ha mai cessato in tutto il suo mandato di richiamarsi ai valori europei. Ma non ha neppure risparmiato, all’occorrenza, dure critiche ai Paesi membri che tradivano lo spirito dell’Unione europea
Il rilancio delle istituzioni comunitarie è certamente il sigillo del settennato di Sergio Mattarella, ormai entrato nell’ultimo tratto del “semestre bianco”. Ma anche nell’ultima fase del suo mandato il capo dello Stato non cessa di richiamarsi ai valori europei, non solo per il suo ruolo di “guardiano” dello spirito della Costituzione (che contempla il disegno di costruzione della casa comune europea, a cominciare dai Trattati fondativi) ma anche perché interpreta e condivide l’apertura all’Europa e il suo sempre maggiore protagonismo legislativo (il 60% dei decreti legislativi italiani, che hanno pieno valore di legge ordinaria, nasce a Bruxelles o a Strasburgo).
Questo non impedisce di muovere critiche alle istituzioni che si sono sviluppate a partire dal Trattato di Roma e ai suoi Paesi membri. È recente l’affondo sulla loro scarsa disponibilità ad accogliere i profughi afghani e della loro doppia morale di fronte alla tragedia di Kabul e dei richiedenti asilo. In un messaggio al Forum Ambrosetti, il capo dello Stato ha voluto sottolineare un aspetto positivo: la capacità di reazione dell’Europa di fronte alla pandemia, “efficace e tempestiva”.
Dopo un breve momento di afasia, l’Unione, infatti, a cominciare dalla Commissione, ha saputo mettere in moto la macchina che avrebbe portato al vaccino, finanziando la ricerca e articolando la distribuzione dei sieri, senza contare le misure di sicurezza sul territorio, con la chiusura delle frontiere e il sovvenzionamento dei materiali e delle attrezzature per la sanità pubblica (tenendo conto che la gestione di questo aspetto non è di pertinenza dell’Europa ma dei Paesi membri). Per non parlare della politica economica, completamente ribaltata – dal rigore al sostegno finanziario – di fronte alla pandemia, con la creazione del gigantesco Next Generation Eu Plan approvato dal Consiglio europeo.
L’auspicio di Mattarella è che l’Europa riesca a rilanciare anche la sua politica estera, una politica estera più incisiva e armonica, tesa ad assicurare la pace non solo tra i suoi 446 milioni di abitanti ma anche nel mondo con un ruolo più attivo. Per il Presidente della Repubblica le vicende dell’Afghanistan rilanciano “il contributo dell’Unione europea alla causa della pace, dello sviluppo, della sicurezza e della stabilità internazionale”. Da qui la necessità di una politica estera e di sicurezza comune. Una materia su cui l’Europa si è mossa, sin qui, “troppo timidamente”. Parlare di politica estera comune significa anche, come conseguenza indiretta, di dotarsi di un esercito europeo. L’Afghanistan spinge l’Europa in questa direzione.
Il capo dello Stato non ha mai cessato in tutto il suo mandato di richiamarsi ai valori europei. Ma non ha neppure risparmiato, all’occorrenza, dure critiche ai Paesi membri che tradivano lo spirito dell’Unione europea
Il rilancio delle istituzioni comunitarie è certamente il sigillo del settennato di Sergio Mattarella, ormai entrato nell’ultimo tratto del “semestre bianco”. Ma anche nell’ultima fase del suo mandato il capo dello Stato non cessa di richiamarsi ai valori europei, non solo per il suo ruolo di “guardiano” dello spirito della Costituzione (che contempla il disegno di costruzione della casa comune europea, a cominciare dai Trattati fondativi) ma anche perché interpreta e condivide l’apertura all’Europa e il suo sempre maggiore protagonismo legislativo (il 60% dei decreti legislativi italiani, che hanno pieno valore di legge ordinaria, nasce a Bruxelles o a Strasburgo).