Merkel, Draghi, Junker sono stati i punti di riferimento della politica europea nello scorso decennio. I nuovi protagonisti di oggi sono in prova
Quando, lunedì 10 febbraio, Annegret Kramp-Karrenbauer ha comunicato l’intenzione di abbandonare la guida della tedesca Cdu, e quindi di rinunciare a correre per la cancelleria alle elezioni dell’autunno 2021, ci si è resi pienamente conto che c’è un vuoto al cuore dell’Europa. Ed è il vuoto peggiore che si possa immaginare, dal punto di vista della Ue: il sistema politico della Germania è entrato in una fase confusa, di probabile instabilità. Angela Merkel, l’ultima leader del Vecchio Continente, ha imboccato il viale del tramonto, alle sue spalle Akk non è stata in grado di imporre la sua autorevolezza, nessun altro politico tedesco al momento sembra in grado di assumere un ruolo simile a quello svolto dalla Cancelliera negli scorsi 15 anni. E, anche fuori dalla Germania, le alternative al momento non ci sono.
Nel 2019, l’Europa ha vissuto alcuni passaggi che ne hanno decisamente mutato il panorama. Uno è il declino di Angela Merkel. Un secondo è l’uscita di scena, per scadenza di mandato, di Mario Draghi. La Cancelliera tedesca e il Presidente della Bce sono stati i punti di riferimento della politica europea nello scorso decennio, nei giorni della crisi del debito europeo. Senza di loro, probabilmente l’euro non se la sarebbe cavata: da un lato, il “Whatever it takes” di Draghi seguito da drastiche politiche espansive della Bce, dall’altro l’appoggio che al banchiere italiano diede Merkel nonostante la chiara contrarietà dell’establishment tedesco. Questo è un primo, grande cambiamento: Merkel è ancora in carica ma la sua capacità operativa in Europa è molto ridotta; Christine Lagarde ha preso, lo scorso novembre, il posto di Draghi, ha grandi ambizioni ma deve ancora conquistarsi l’autorevolezza di grande banchiere centrale, di protagonista che con una frase può orientare, rassicurare o fermare i mercati.
Un secondo notevole cambiamento è venuto con l’elezione del Parlamento europeo la scorsa estate e la conseguente creazione della nuova Commissione europea. Uscito di scena un veterano di Bruxelles, Jean-Claude Junker, la presidenza dell’esecutivo Ue è stata presa da una politica tedesca, Ursula von der Leyen, la quale, anche lei, dovrà mostrare quanto vale in un passaggio che, già a breve, dovrà affrontare la definizione dell’accordo post-Brexit con il Regno Unito e la definizione del bilancio comunitario a 27 per il periodo 2021-2027. E che a medio periodo si è data l’obiettivo di costruire una “Commissione geopolitica” in un panorama internazionale segnato dal ritorno delle politiche di potenza. Un nuovo personaggio per una nuova fase storica: dovrà dimostrare doti di leadership notevoli. Si vedrà. Lo stesso si deve dire del nuovo presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel che ha preso il posto di Donald Tusk, con in più, per lui, un’altra sfida.
L’appannarsi della stella Merkel, leader riconosciuta e grande mediatrice tra interessi nazionali, rende meno facile che in passato la gestione del Consiglio europeo: quando viene meno il leader che mette ordine, al quale è difficile dire di no, aumenta la probabilità che gli equilibri entrino in tensione. Riuscirà Michel a gestire i vertici dei 27 nei quali Emmanuel Macron è spesso su posizioni in contrasto con quelle dei membri dell’est e del nord (Nuova Lega Anseatica), senza la moderazione di Berlino? Che dinamiche si instaureranno nel Consiglio una volta venuta meno la più che decennale Pax Merkeliana? Qui nascono alcune domande sul ruolo del Presidente francese.
Certamente, Macron ha una visione per il futuro dell’Europa. Ma fino a che punto è disposto a rinunciare un po’ all’interesse nazionale francese a favore di quello europeo? Fu proprio Akk a irritarlo quando gli chiese di dimostrare fattivamente il suo europeismo rinunciando alla sede di Strasburgo del Parlamento europeo, per concentrare tutto a Bruxelles, e a “europeizzare” il seggio di Parigi nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ora che Akk non è più la potenziale futura Cancelliera tedesca, Macron si sentirà semplicemente vendicato oppure cercherà di essere la figura politica che unisce l’Europa? Finora è stato spesso divisivo. Di fronte al vuoto politico che si è creato in Germania, su Parigi si sposta una considerevole responsabilità, per alcuni versi quasi esclusiva vista l’uscita di Londra dalla Ue.
I protagonisti politici europei, in altri termini, sono un po’ tutti in prova: nessun chiaro leader all’orizzonte. Anche il Presidente del Parlamento, David Sassoli, dovrà cercare un ruolo per i deputati in questo passaggio incerto. Lo stesso vale per Josep Borrell, lo spagnolo Rappresentante per la Politica Estera della Ue, sulle cui spalle cade parte dell’obiettivo di creare la “Commissione geopolitica”. Leader nazionali forti, d’altra parte, non sono all’orizzonte, se si esclude Boris Johnson che è però ormai di là dalla Manica. In tutto ciò, rimane Christine Lagarde.
Non si può dire che la nuova Presidente della Bce non sia ambiziosa. Da una parte ha lanciato ufficialmente la revisione delle politiche della banca, qualcosa che non si era più fatto dal 2003. Il processo potrebbe durare per tutto il 2020, se non arriverà una crisi ad affrettarne la conclusione. In discussione c’è in teoria tutto, ha detto Lagarde. Quasi certamente verrà rivisto l’obiettivo d’inflazione, dal momento che la banca centrale fatica a raggiungere l’obiettivo di “vicino ma sotto al 2%”. Si arriverà probabilmente a un target di “attorno al 2%, sopra o sotto”. Dall’altra parte, oggi la discussione nelle stanze di Francoforte, ma anche in pubblico e tra un certo numero di stakeholder, è l’introduzione esplicita di obiettivi “verdi”, legati soprattutto ai cambiamenti climatici, nelle politiche della Bce. Impostazione che rispecchia quella più generale della Ue di mettere il riscaldamento del pianeta al centro dell’azione ma che nella Banca Centrale ha la potenzialità di sollevare obiezioni. Si tratta di capire come verrà articolato.
Se il “greening” della Bce significherà tenere in esplicito conto, nelle analisi sulla situazione economica, i rischi posti all’economia dai cambiamenti climatici, non ci saranno problemi: è ovvio e ogni economista non può farne a meno, a cominciare dal numeroso staff della Bce. Se invece ciò significasse che la banca in futuro non acquisterà più titoli a basso contenuto “verde”, qualche governatore nazionale potrebbe sollevare eccezioni. È vero che, all’interno del programma di acquisti di titoli sui mercati (Quantitative Easing) la maggioranza è diretta a bond di Stato, resta però il fatto che ci sono anche obbligazioni emesse da imprese. La domanda è: può la Bce discriminare tra “verdi” e non? Non andrebbe al di là del proprio mandato che è solamente quello di controllare l’inflazione? Non sarebbe un’incursione nel campo della politica condotto da un’istituzione che non è stata eletta dai cittadini?
Su questo, la discussione si svilupperà nei prossimi mesi. Ma ciò che è chiaro già oggi è che, tra i nuovi protagonisti in Europa, Lagarde è colei che ha non solo il profilo più netto ma anche l’ambizione maggiore, forse non solo come banchiera centrale ma anche come politica, dimensione che le è più familiare. A situazioni eccezionali, scelte eccezionali – sembra volere dire. Se ciò farà bene alla Bce è da vedere. Ma da verificare è anche se un profilo più politico di Francoforte sarà preso bene a Bruxelles e nelle cancellerie del continente. Il fatto è che, in politica, i vuoti vengono presto riempiti.
Quando, lunedì 10 febbraio, Annegret Kramp-Karrenbauer ha comunicato l’intenzione di abbandonare la guida della tedesca Cdu, e quindi di rinunciare a correre per la cancelleria alle elezioni dell’autunno 2021, ci si è resi pienamente conto che c’è un vuoto al cuore dell’Europa. Ed è il vuoto peggiore che si possa immaginare, dal punto di vista della Ue: il sistema politico della Germania è entrato in una fase confusa, di probabile instabilità. Angela Merkel, l’ultima leader del Vecchio Continente, ha imboccato il viale del tramonto, alle sue spalle Akk non è stata in grado di imporre la sua autorevolezza, nessun altro politico tedesco al momento sembra in grado di assumere un ruolo simile a quello svolto dalla Cancelliera negli scorsi 15 anni. E, anche fuori dalla Germania, le alternative al momento non ci sono.
Nel 2019, l’Europa ha vissuto alcuni passaggi che ne hanno decisamente mutato il panorama. Uno è il declino di Angela Merkel. Un secondo è l’uscita di scena, per scadenza di mandato, di Mario Draghi. La Cancelliera tedesca e il Presidente della Bce sono stati i punti di riferimento della politica europea nello scorso decennio, nei giorni della crisi del debito europeo. Senza di loro, probabilmente l’euro non se la sarebbe cavata: da un lato, il “Whatever it takes” di Draghi seguito da drastiche politiche espansive della Bce, dall’altro l’appoggio che al banchiere italiano diede Merkel nonostante la chiara contrarietà dell’establishment tedesco. Questo è un primo, grande cambiamento: Merkel è ancora in carica ma la sua capacità operativa in Europa è molto ridotta; Christine Lagarde ha preso, lo scorso novembre, il posto di Draghi, ha grandi ambizioni ma deve ancora conquistarsi l’autorevolezza di grande banchiere centrale, di protagonista che con una frase può orientare, rassicurare o fermare i mercati.
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