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Tutti i perché dell’ascesa dell’Iran


L'Iran è in prepotente ascesa nello scacchiere mediorientale. A livello territoriale ha praticamente "conquistato" l'Iraq, ha costretto sulle difensive i rivali sauditi in Yemen, è riuscito nell'impresa - ancora due anni fa data quasi per impossibile - di mantenere al potere in Siria l'alleato Assad e da ultimo pare abbia riportato tra i propri ranghi Hamas, pedina dall'alto valore simbolico e ancor più importante in quanto sunnita.

A livello diplomatico ha ottenuto che la Russia – sua alleata in Siria – riuscisse a rimuovere l’embargo sulla vendita di missili anti-aerei. Ha poi costretto sulle difensive la Turchia – la potenza regionale che dopo le Primavere arabe aveva eroso il potere di Teheran in Siria, Libano, Palestina e Iraq – tanto che Erdogan, pur rimanendo formalmente alleato dei Sauditi nello scontro sunniti-sciiti, ha di fatto sdoganato un atteggiamento pragmatico nei confronti della Repubblica islamica. Ma non solo. Grazie alla necessità di contrastare l’Isis – sunnita e nemico degli amici di Teheran in Siria e Iraq – l’Iran ha guadagnato peso e spazio di manovra, tanto che non è più un mistero il coordinamento de facto con gli americani in quello scenario per contrastare gli uomini del Califfato. La chiave di volta, che permetterebbe all’Iran di cristallizzare questa situazione vantaggiosa, e anzi anche migliorarla, è ovviamente l’accordo sul nucleare con il 5+1 (gli Stati del Consiglio di sicurezza Onu, più la Germania).

Di recente si sono registrate alcune marce indietro da parte degli Ayatollah sull’accordo raggiunto e gli analisti si interrogano se sia solo una strategia per guadagnare qualcosa nella trattativa sui dettagli tecnici che dovrebbe scadere a fine giugno, o se nasconda il timore dell’establishment conservatore iraniano che un’apertura verso l’esterno non rischi di accelerare lo sfaldamento della Repubblica islamica (un’istituzione a cui i giovani – la maggior parte del Paese – sembrano volersi ribellare sempre più). Resta il fatto che qualora venisse definitivamente varato l’accordo non sarebbe solo la questione nucleare a esserne coinvolta, ma l’intera economia e geopolitica della regione, con un’affermazione dell’Iran come potenza riconosciuta a livello globale. E il merito di questa svolta sarebbe, in buona parte, degli Stati Uniti guidati da Obama.

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