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Il gioco pericoloso di Assad: a chi conviene la guerra in Siria?


Non ci sono speranze di pace per la Siria. Nel conflitto tra il regime di Bashar al Assad e i ribelli si scarica la tensione intrareligiosa tra sunniti (la maggioranza della popolzione) e sciiti (gli Assad sono alawiti, una corrente dell'islam vicina allo sciismo) che attraversa tutto il Medio Oriente. Ma non solo.

Così, ad esempio, dietro le recenti vittorie dei ribelli e le sconfitte del regime (tanto gravi da non poter essere negate nemmeno da Assad) si intuiscono i movimenti degli attori regionali e i loro cambi di strategia. Costretti sulle difensive dall’espansionismo iraniano – e ancor più dalla sua legittimazione, con l’accordo sul nucleare che pare in dirittura d’arrivo – l’Arabia Saudita da un lato e Qatar e Turchia dall’altro hanno sepolto le precedenti divergenze (Qatar e Turchia sostengono fortemente la Fratellanza Musulmana, mentre la casa reale dei Saud la considera un nemico giurato) per propiziare la nascita lo scorso 24 marzo di una coalizione di gruppi ribelli islamisti, Jaish al-Fatah (l’Esercito della Conquista). Questa nuova coalizione a pochi giorni dalla sua nascita ha strappato Idlib, importante città dell’entroterra siriano, alle truppe governative e nelle settimane successive ha espanso l’area sotto il proprio controllo, arrivando a Jisr al-Shughour, cittadina che presidia la strada per Latakia (importante città di porto della parte alawita del Paese).

Di contro il regime attraversa un momento di difficoltà: il suo esercito è dissanguato, pare gli uomini a disposizione siano stati dimezzati dagli anni di conflitto e c’è difficoltà a rimpolpare le fila dei reggimenti visto che è rischioso attingere leve dalla maggioranza sunnita del Paese. Inoltre sembra che serpeggi del malcontento nell’apparato militare siriano per l’eccessiva libertà di manovra che viene lasciata ad Hezbollah, la milizia sciita libanese che – su ordine dell’Iran – è intervenuta nel conflitto siriano per puntellare Assad. Hezbollah, è questa l’accusa che gira tra i papaveri del regime di Damasco, si preoccuperebbe di presidiare giusto la zona di confine col Libano, trascurando di aiutare gli alleati nel resto del Paese. E anche questa mossa sarebbe figlia di una strategia “straniera”, quella cioè dell’Iran. Teheran ha infatti interesse a garantire la sopravvivenza del regime e la sicurezza delle zone abitate da sciiti e alawiti. È su queste aree e sulla capitale che concentra la propria attenzione ma non vuole (o, anche considerato il parallelo impegno in Iraq, non può) svenarsi per combattere i ribelli in tutto il Paese.

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