Quando i Greci sconfissero definitivamente i Persiani di Serse a Salamina, nel 480 a.C., giocò un ruolo fondamentale la scoperta di un nuovo filone d’argento nel monte Laurion, che aveva consentito a Temistocle di creare una flotta permanente di 200 triremi da opporre al nemico in battaglia. Gli iraniani, cioè i moderni persiani, grazie all’accordo tra il 5+1 (gli Stati del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania) e la Repubblica Islamica, potrebbero avere – secondo le stime di una fonte Usa citata dalla Reuters – 100 miliardi di dollari di guadagno dall’allentamento delle sanzioni economiche. Considerato il numero di conflitti regionali in cui è coinvolta Teheran, politici e analisti si chiedono come quelle risorse verranno impiegate nel futuro, quante “triremi” verranno armate.
Se l’intesa raggiunta dovesse funzionare – le forze ostili al compromesso sono già al lavoro, tanto a Washington quanto a Teheran, per farlo deragliare – gli equilibri strategici del Medio Oriente potrebbero conoscere una storica rivoluzione. Al di là dei dettagli tecnici sulla questione dell’atomica, grazie a questa intesa la Repubblica Islamica, uscita dall’isolamento internazionale, può tornare ad essere un attore economico, e quindi politico-militare, di primo piano nella regione. «Nel giro di cinque-dieci anni, un tempo brevissimo nella prospettiva della geopolitica, l’Iran sarà in grado di armarsi in modo convenzionale», spiega Germana Tappero Merlo, analista internazionale esperta di sicurezza e terrorismo. «La Russia sta già prendendo accordi per fornire a Teheran i propri missili S-300 e la cosa probabilmente non si femerà qui (così, anche, si spiega la felicità per l’accordo di Mosca, altrimenti danneggiata dall’immissione nel mercato del gas e del petrolio iraniano NdR.). Inoltre l’Ayatollah Khamenei questo 30 giugno ha ordinato di aumentare di circa il 30% rispetto all’anno scorso il budget per le spese militari, facendolo salire da 14 a 17 miliardi di dollari. Sicuramente questo aumento è stato dettato dalla logica del contrasto all’Isis, contro cui Teheran è impegnata sia in Siria che in Iraq, ma le monarchie del Golfo – avversari regionali sunniti dell’Iran sciita – sono preoccupate che serva anche a sostenere l’espansionismo iraniano in corso».
Dietro la lotta al Califfato infatti si sta combattendo una guerra per espandere (o difendere) le proprie sfere di influenza tra l’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica iraniana. Questa guerra sfrutta lo scontro intra-religioso tra sunniti e sciiti, esploso con particolare violenza dopo il collasso del fragile ordine emerso in seguito alle Primavere arabe. Coinvolge in primo luogo la Siria, dove l’Iran puntella il regime alawita (l’alawismo è ritenuto oggi una minoranza dello sciismo) di Assad contro i ribelli sunniti (moderati, quelli islamisti qaedisti e quelli dell’Isis) fornendogli aiuti economici – destinati a crescere dunque – e militari, anche tramite la milizia libanese sciita dell’Hezbollah. Passa per l’Iraq, entrato di fatto oramai nella sfera di influenza iraniana, dove l’Isis gode – e godrà sempre di più in futuro – dell’appoggio delle tribù sunnite del luogo, ostili al potere centrale sciita, e dei nemici regionali di Teheran. Interessa poi lo Yemen, dove l’Iran sostiene (poco fino ad oggi, da domani potrebbe aumentare gli aiuti) i ribelli sciiti Houthi contro il governo filo-Riad, il Bahrein e, in modo più indiretto per ora, il Libano. In tutti questi scenari una immissione di ingenti risorse economiche dal lato persiano potrebbe compromettere gravemente la situazione del fronte sunnita, capeggiato da Riad, che ovviamente non rimarrebbe passivo.
«I Sauditi stanno già reagendo a questa situazione – prosegue Tappero Merlo – ad esempio intensificando come mai prima i bombardamenti sulle postazioni dei ribelli sciiti in Yemen (in seguito a tale attacco dell’aviazione le forze governative, fedeli a Riad, hanno annunciato di aver conquistato ai ribelli l’aeroporto di Aden NdR). E in tutta l’area mediorientale c’è il rischio di un inasprimento delle violenze e degli scontri. I gruppi terroristici che si oppongono agli sciiti, come tra gli altri anche lo Stato Islamico e Al Qaeda, trarranno vantaggio da questa situazione. C’è il pericolo che i Sauditi, e non solo, li vogliano sfruttare in ottica anti-Iraniana, finanziandoli e armandoli ancor più di quanto non facciano ora. Poi ovviamente anche Israele è molto preoccupato da questo accordo. Se l’Iran utilizzasse le risorse che cominceranno ad affluire nelle sue casse dall’anno prossimo per finanziare – e indirizzare contro lo Stato ebraico, di cui non ha ufficialmente smesso di propugnare la distruzione – Hamas e Hezbollah, il rischio per la sicurezza nazionale israeliana sarebbe elevatissimo. Il presidente Obama ha dichiarato di voler risolvere la questione israeliano-palestinese nei prossimi mesi, ma oramai è screditato presso troppi interlocutori, Netanyahu e monarchie del Golfo specialmente. Per le speranze di Pace in Medio Oriente – conclude l’esperta – temo che questo accordo non sia una buona notizia. Non era questo il momento più opportuno».
Secondo le analisi più ottimistiche, l’accordo potrebbe considerarsi un successo se – dopo una fase di inasprimento degli scontri nel breve periodo, data quasi per scontata, in cui tuttavia il compromesso sul nucleare non venisse violato – nel medio periodo l’Iran normalizzasse le proprie relazioni internazionali, in particolare trovando un accordo (anche segreto) con Israele per garantire la sicurezza, e un’intesa sulle aree di influenza con i Sauditi. Tuttavia la estrema complessità e liquidità dello scenario – dove anche la Turchia e l’Egitto giocano la loro partita, ai wahabiti sauditi si oppone anche la fratellanza musulmana, la questione curda sta esplodendo, e dove i conflitti in corso creano geometrie di interessi in costante evoluzione – non consente di azzardare previsioni affidabili. Quello che è certo al momento è che questa scommessa – potrà l’Iran diventare un attore responsabile con cui costruire un equilibrio di pace per il futuro? – ha una posta in gioco altissima.
Quando i Greci sconfissero definitivamente i Persiani di Serse a Salamina, nel 480 a.C., giocò un ruolo fondamentale la scoperta di un nuovo filone d’argento nel monte Laurion, che aveva consentito a Temistocle di creare una flotta permanente di 200 triremi da opporre al nemico in battaglia. Gli iraniani, cioè i moderni persiani, grazie all’accordo tra il 5+1 (gli Stati del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania) e la Repubblica Islamica, potrebbero avere – secondo le stime di una fonte Usa citata dalla Reuters – 100 miliardi di dollari di guadagno dall’allentamento delle sanzioni economiche. Considerato il numero di conflitti regionali in cui è coinvolta Teheran, politici e analisti si chiedono come quelle risorse verranno impiegate nel futuro, quante “triremi” verranno armate.