Venerdì 26 febbraio l’Iran è chiamato al voto per rinnovare il Parlamento (Majlis) e l’Assemblea degli Esperti, l’organo incaricato di eleggere una nuova Guida Suprema in caso di necessità. Dopo l’elezione del presidente moderato Rohani (nel 2013) e soprattutto dopo il successo del negoziato sul nucleare – l’accordo è stato implementato poche settimane fa, secondo diversi analisti proprio in vista di queste elezioni – c’è grande attesa, in Iran e nel resto del mondo, per l’esito di questa tornata elettorale.
La linea “moderata” di Rohani, che ha riportato Teheran – anche complice la comune battaglia con l’Occidente contro lo Stato Islamico in Iraq prima e in Siria poi – al centro dei giochi della diplomazia internazionale, verrà confermata anche per i prossimi anni, o alla fase di apertura (che ha prodotto il principale risultato sperato, cioè la fine delle sanzioni internazionali) dobbiamo aspettarci che ne segua una di chiusura? Qualche elemento utile per dare risposta a questa domanda è emerso chiaramente già durante la fase precedente al voto. L’attuale Guida Suprema, l’Ayatollah Alì Khamenei, che ha un controllo pressoché completo sulla Repubblica Islamica – nel complesso sistema istituzionale iraniano le redini, alla fine, sono tutte nelle sue mani –, ha già lasciato intravedere quella che sembra essere la sua posizione.
Per il Parlamento, 290 posti (di cui 5 riservati alle minoranze religiose), si erano presentati oltre 12 mila candidati e in un primo momento più della metà erano stati bocciati dal Consiglio dei Guardiani (il 99% dei 3 mila riformisti). Il Consiglio è un organo di 12 membri – 6 clerici nominati dalla Guida Suprema e 6 giuristi scelti dal Parlamento all’interno di una rosa stilata dal Capo del potere giudiziario, a sua volta nominato dalla Guida Suprema – che ha il compito, tra gli altri, di vagliare ed eventualmente ammettere i candidati alle varie elezioni. Attualmente è guidato da un “falco” conservatore, l’Ayatollah Ahmad Jannati, considerato molto vicino a Khamenei. Dopo le proteste per il gran numero di esclusi sono stati riammessi circa 1.400 candidati – tra cui pochi riformisti -, portando il totale degli ammessi al 51% del totale. Di fronte a questa situazione tuttavia i riformisti non hanno invitato a boicottare il voto, come successe nel 2012 quando fu eletto l’attuale Parlamento dominato dai conservatori, ma hanno anzi fatto appello al voto, in molti casi “utile” contro un’affermazione dei “falchi”. «Quello che emerge dalla corsa verso questo voto», spiega Ellie Geranmayeh, analista dell’European Council on Foreign Relations, «è che c’è un allineamento tra riformisti, moderati e conservatori “pragmatici” (quelli più concilianti con la presidenza Rohani ndr.) per impedire una netta vittoria dei falchi conservatori che erano al potere durante il mandato di Ahmadinejad. L’obiettivo di questa alleanza non è portare stravolgimenti nella politica interna o estera dell’Iran. Piuttosto è un tentativo di allentare l’attuale presa dei falchi sul potere, per consentire all’amministrazione Rohani di portare avanti le proprie priorità economiche e, nel migliore dei casi, far progredire le riforme politiche».
Per quel che è emerso finora pare che la Guida Suprema non sia ostile a un’eventualità del genere. Il fronte riformista – duramente osteggiato da Khamenei, specie a causa del sostegno che tanti suoi esponenti diedero alle proteste del 2009 dell’Onda Verde – è costretto ad annacquare le proprie rivendicazioni, a scegliere una linea pragmatica e “centrista” che sostenga l’attuale presidenza. Una sua vittoria probabilmente assorbirebbe parte del malcontento che, specie tra i giovani, ancora cova verso la teocrazia. Una alta affluenza poi, ritenuta probabile, legittimerà ancor di più la Repubblica Islamica, e un eventuale eccessivo rafforzamento di Rohani può sempre essere sterilizzato alle prossime elezioni presidenziali del 2017. Un discorso diverso vale invece per l’elezione dell’Assemblea degli Esperti.
L’Assemblea è composta da 88 membri e rimane in carica per otto anni. Alì Khamenei ha 76 anni e la possibilità che non sopravviva – o non mantenga comunque condizioni di salute idonee – fino al 2024 è ben presente a tutti gli attori della scena politica iraniana. Di 800 candidati circa il Consiglio dei Guardiani ne ha ammessi 161. «I candidati ammessi si possono dividere in quattro gruppi da un punto di vista dell’appartenenza politica: conservatori, moderati conservatori, moderati e nuovi membri di cui ancora non è chiaro l’orientamento», sostiene Shahir ShahidSaless, analista iraniano che vive all’estero. «La composizione dell’Assemblea tuttavia è nota già da adesso. I conservatori avranno la maggioranza. Tuttavia vanno notate alcune cose: moderati e riformisti pare vogliano far convergere i propri voti, in quelle circoscrizioni dove i loro candidati sono stati esclusi, su conservatori di seconda e terza fila, sperando di avere un’Assemblea dove il fronte avversario non abbia personaggi di spicco (mentre i moderati potrebbero eleggere all’Assemblea il presidente Rohani, uno dei candidati ndr.). Poi a moderati e riformisti potrebbe bastare avere 30 eletti all’Assemblea per avere una minoranza di blocco in caso di elezione della nuova Guida Suprema, che per legge deve avere i due terzi dei voti».
Khamenei ha lasciato aperta la porta a queste strategie difensive del fronte moderato-riformista, ma sta cercando di evitare una qualche sortita di riformisti e moderati per mettere le mani sul futuro della Repubblica Islamica nei decenni a venire. Hassan Khomeini, clerico sciita di 43 anni, è il nipote dell’Ayatollah Khomeini, il padre della Rivoluzione del 1979 e la prima Guida Suprema. Gode di molta fama e molta stima in diversi ambienti, ha uno stile moderno ed è considerato vicino al fronte centrista e riformista. Era uno dei candidati all’Assemblea e il suo nome girava già da qualche tempo come possibile successore di Khamenei. Forse proprio per questo il fronte conservatore – probabilmente col placet se non con l’impulso di Khamenei – ha reagito con durezza: il Consiglio dei Guardiani ha escluso la sua candidatura “perché il suo grado di conoscenza della giurisprudenza religiosa non poteva essere stabilito”, contraddicendo i numerosi attestati raccolti in passato nel mondo accademico e religioso. La verità, secondo diversi osservatori, è che Khomeini è considerato da Khamenei troppo riformista e soprattutto troppo vicino a Hashemi Rasfanjani, chierico, ex presidente un tempo molto forte nell’establishment, ora marginalizzato dopo il supporto all’Onda Verde.
Il piano dei moderati e riformisti, di mandare Khomeini, il presidente Rohani e Rasfanjani all’Assemblea per preparare l’ascesa di Khomeini a nuova Guida Suprema è probabilmente fallito. Non solo il loro nome forte è stato “bruciato” dal Consiglio, ma anche la nuova composizione dell’Assemblea pare lasciare poco spazio alle speranze. «La portata e l’estensione delle esclusioni dei candidati – dice ancora Ellie Geranmayeh – ha lasciato molti scettici se queste elezioni possano avere un impatto, anche solo nominale, sulla traiettoria politica dell’Iran». La natura teocratica e conservatrice della Repubblica Islamica può, questa sembrerebbe essere la posizione di Khamenei, essere ammorbidita in situazione di emergenza (ad esempio quando cova il malcontento della popolazione, specie giovane) ma non messa in discussione per il lungo termine.
«Stiamo assistendo a forti tensioni interne all’elite iraniana, in particolare al clero, con Rasfanjani da un lato e Khamenei dall’altro», afferma Pejman Abdolmohammadi, docente di Politiche del Medio Oriente della London School of Economics. «Non credo che queste elezioni – per il Parlamento e per l’Assemblea – possano generare proteste significative da parte della popolazione, non si respira l’aria del pre-Onda Verde. In questo momento la Repubblica Islamica pare decisamente solida. Può darsi che Rasfanjani, se continuasse a sentirsi emarginato anche da Rohani, decida di soffiare sul fuoco, come fece anche nel 2009 ma, ripeto, non mi pare che ci siano situazioni che possano portare a grandi proteste e scontri violenti». Nessuno insomma sembra aspettarsi significativi cambi di rotta da queste elezioni. Da un lato il potere teocratico sembra aver assorbito – grazie anche alla linea moderata di Rohani – il malcontento popolare. Dall’altro uno scontro tutto interno all’establishment della Repubblica Islamica non pare sufficiente a compromettere la stabilità ritrovata negli ultimi anni.
@TommasoCanetta
Venerdì 26 febbraio l’Iran è chiamato al voto per rinnovare il Parlamento (Majlis) e l’Assemblea degli Esperti, l’organo incaricato di eleggere una nuova Guida Suprema in caso di necessità. Dopo l’elezione del presidente moderato Rohani (nel 2013) e soprattutto dopo il successo del negoziato sul nucleare – l’accordo è stato implementato poche settimane fa, secondo diversi analisti proprio in vista di queste elezioni – c’è grande attesa, in Iran e nel resto del mondo, per l’esito di questa tornata elettorale.